30 novembre 2011 |
Una rivoluzionaria circolare dell'Amministrazione penitenziaria che introduce un regime "aperto" per i detenuti comuni e che propone una nuova strategia per prevenire il rischio suicidiario all'interno delle carceri
Ministero della Giustizia, D.A.P., Circolare 25 novembre 2011 "Modalità di esecuzione della pena. Un nuovo modello di trattamento che comprenda sicurezza, accoglienza e rieducazione"
Con la circolare del 25 novembre 2011 (Ministero della Giustizia n. 3594/6044) il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria introduce un nuova modalità di esecuzione della pena per i detenuti c.d. 'comuni', ossia per i soggetti ristretti nel circuito della media sicurezza.
Mentre vi sono diverse circolari che disciplinano in modo analitico le modalità custodiali per gli altri due circuiti penitenziari (quello dell'alta sicurezza e quello della custodia attenuata), mancava sino ad oggi una normativa in relazione al circuito di media sicurezza, che era rimasto pertanto ancorato alla disciplina del relegamento all'interno della camera di detenzione (ossia della 'cella'), salvo i momenti di permanenza all'aria aperta o nei locali comuni (art. 6 co. 2 o.p., artt. 8, 36 e 40 co. 1 reg. penit.).
Con previsione di portata fortemente innovativa, la circolare ha ora previsto l'istituzione all'interno di questo circuito penitenziario di reparti aperti: in base alle nuove disposizioni, il perimetro della detenzione non è più quello della cella, bensì quello della sezione, all'interno della quale la vita penitenziaria sarà connotata da libertà di movimento, ovviamente secondo precise regole di comportamento che ne condizionino l'andamento.
L'ammissione del detenuto - sia esso condannato o imputato - al regime aperto è subordinata ad una valutazione della sua pericolosità. A questo fine ad ogni soggetto viene attribuito un 'codice' (bianco, giallo, verde o rosso), che indica la probabilità di commissione, da parte dello stesso, di fatti di evasione o di turbamento dell'ordine e della sicurezza interna all'istituto.
Quanto ai parametri per tale classificazione, la circolare indica oltre alla considerazione del titolo di reato che ha originato la detenzione, anche la condotta intramuraria e la partecipazione alle proposte trattamentali.
La circolare, che prevede in capo al comandante di reparto di polizia penitenziaria di ogni singolo istituto un potere di proposta circa l'ammissione di un detenuto al 'reparto aperto', affida la decisione finale all'equipe di trattamento, coordinata dal direttore dell'istituto.
Secondo obiettivo di questa importante circolare è quello di chiarire i criteri a cui deve essere improntata l'azione dell'Amministrazione Penitenziaria, nella delicata questione della prevenzione dei suicidi all'interno delle carceri.
Partendo da una ricognizione delle circolari emesse in passato sul tema, si osserva che le misure sino ad oggi poste in essere sono finalizzate solamente a intensificare la vigilanza (prevedendo ad es. la 'sorveglianza a vista'), nei confronti dei soggetti ritenuti a rischio, e cioè essenzialmente nei confronti dei soggetti al momento del loro ingresso nell'istituto penitenziario (c.d. nuovi giunti).
Per rispondere più efficacemente al problema, si prevede ora l'istituzione a livello regionale di gruppi di lavoro all'interno dei già esistenti 'Osservatori permanenti sulla Sanità Penitenziaria', a cui si attribuisce il compito di elaborare dei "programmi operativi di prevenzione del rischio autolesivo e suicidiario in carcere", basati su nuovi criteri che la circolare appunto indica.
In particolare, in relazione alle prassi esistenti si osserva che le misure deputate ad intensificare la vigilanza hanno un obiettivo limitato, che è quello di impedire fisicamente l'attuazione del gesto suicidiario, ma che non intervengono in alcun modo sulle cause del disagio e che, anzi, si traducono spesso in una limitazione ulteriore degli spazi di libertà del soggetto. Per ovviare a ciò, nella circolare si prevede che alla tradizionale attività di sorveglianza debba essere sostituita una nuova attività di sostegno da parte di uno staff multidisciplinare, composto da operatori penitenziari e operatori sanitari.
Un'altra indicazione contenuta nella circolare in esame per i costituendi gruppi di lavoro riguarda l'estensione degli interventi sulla prevenzione dei suicidi a tutte le categorie dei detenuti, non limitandola solo, come sino ad oggi accade, ai c.d. nuovi giunti, ma modulando semmai, le attività in considerazione dell'intensità del rischio di suicidio (che è statisticamente maggiore in occasione dei trasferimenti di sede o di tutti quei mutamenti logistici che possono rappresentare dei fattori di destabilizzazione per il soggetto).