ISSN 2039-1676


12 gennaio 2012 |

Sono inutilizzabili ma non "illegali" i documenti della "lista di Vaduz"

Tribunale di Milano, Uff. GIP, 15 dicembre 2011, Giud. S. Luerti.

1. Con l'ordinanza, che si può leggere in allegato, il giudice per le indagini preliminari, escludendo la necessità di tutelare la riservatezza dell'indagato e riconoscendo invece la legittimità dell'acquisizione documentale da parte dell'autorità amministrativa italiana, ha rigettato la richiesta di distruzione di alcuni documenti trasmessi dall'Agenzia delle Entrate con la comunicazione della notizia di reato.

In particolare, i documenti oggetto del procedimento incidentale, che fanno parte del materiale contenuto nella cosiddetta "lista di Vaduz" ([1]), erano stati ricevuti dall'Agenzia delle Entrate nell'ambito della cooperazione amministrativa nel settore fiscale. Il pubblico ministero, dunque, in seguito all'istanza dell'indagato, aveva attivato la procedura di distruzione, ex art. 240 c.p.p., in quanto tali materiali permetterebbero di individuare le società, riconducibili allo stesso indagato o ai suoi familiari, attraverso le quali sarebbe stato costituito uno "schermo" per sottrarre beni alla tassazione italiana.

Le condivisibili motivazioni su cui si fonda il provvedimento in commento permettono, invero, qualche riflessione.

 

2. Sotto un profilo di ordine generale, i fatti oggetto della vicenda consentono di registrare l'inadeguatezza degli strumenti di cooperazione europea per la lotta all'evasione fiscale ([2]), previsti dalla precedente Direttiva 77/799/CEE.

I limiti di utilizzabilità nel procedimento penale della documentazione derivante dall'attività di reciproca assistenza tra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette non sembravano, infatti, funzionali al contrasto anche sul piano penale delle nuove forme di evasione fiscale aventi carattere sempre più internazionale.

La Direttiva, infatti, stabiliva che i documenti e le informazioni ottenute dall'attività di reciproca assistenza fra le autorità degli Stati membri nel settore delle imposte dirette non potessero essere utilizzate in nessun caso per fini diversi da quelli fiscali e, dunque, neppure nel procedimento penale. Il pubblico ministero, quindi, per utilizzare il materiale frutto della cooperazione amministrativa nel settore fiscale avrebbe dovuto impiegare il tradizionale sistema rogatoriale ([3]) e, in effetti, nel procedimento incidentale terminato con l'ordinanza in commento il pubblico ministero ha ritenuto inutilizzabili i dati allegati alla notizia di reato trasmessa dall'Agenzia delle Entrate, in quanto raccolti nell'ambito della cooperazione amministrativa disciplinata dalla Direttiva 77/799/CE ([4]).

Un significativo passo in avanti nella direzione di una integrazione europea è stato compiuto con la Direttiva 2011/16/UE del 15 febbraio 2011 ([5]), relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale, che ha abrogato la Direttiva 77/799/CEE.

Il Consiglio d'Europa, infatti, ha ritenuto che una normazione più moderna potrebbe consentire di adeguare lo scambio di informazioni alla gamma sempre crescente di istituti giuridici, inclusi non solo gli istituti tradizionali quali trust, fondazioni e fondi di investimento, ma anche eventuali nuovi strumenti che possano essere creati dai contribuenti negli Stati membri (settimo considerando della Direttiva). Il Consiglio ha quindi concluso che l'efficacia della cooperazione amministrativa può essere ottenuta attraverso l'utilizzazione delle informazioni e dei documenti amministrativi anche per altri fini (diciottesimo considerando).

Ne è, pertanto, derivata una Direttiva che, pur con il duplice limite dell'autorizzazione da parte dell'autorità competente dello Stato membro che comunica le informazioni e soltanto nella misura consentita dalla legislazione ricevente, facoltizza l'utilizzabilità delle informazioni e dei documenti amministrativi anche nel procedimento penale.

 

3. Sotto la diversa angolatura del diritto interno, le conclusioni sviluppate dal giudice milanese consentono di mettere a fuoco i presupposti del procedimento incidentale, disciplinato dall'art. 240, commi 2 - 6, c.p.p., diretto alla distruzione dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi a traffico telefonico o telematico, illegittimamente formati o acquisiti (attraverso il cosiddetto spionaggio illecito), nonché dei documenti forniti attraverso la raccolta illegale di informazioni (dossieraggio illecito)([6]).

Definito l'oggetto della procedura, prodotto della temperie politico - legislativa seguita ad una nota vicenda giudiziaria ([7]), va anzitutto segnalato l'impreciso linguaggio impiegato: il legislatore, infatti, richiama la categoria metagiuridica della "illegalità" - "intercettazioni illegali" e "raccolta illegale di informazioni"-, rendendo oltremodo faticoso armonizzare l'istituto all'interno del tessuto codicistico.

Per quanto attiene ai materiali provenienti dalle attività di spionaggio illecito, al fine di evitare indebite sovrapposizioni tra gli artt. 240 e 271 c.p.p., sembra esatto ritenere che la disciplina dettata dalla prima norma si applichi alle intercettazioni ed all'attività di ricerca probatoria illecite, mentre il disposto della seconda norma continui a trovare applicazione per le ipotesi di intercettazioni illegittime ([8]).

Risulta invece più complesso definire la latitudine della illegalità dei materiali derivanti dal dossieraggio illecito. A tale riguardo occorre valorizzare il riferimento normativo alla "raccolta illegale" di informazioni: posto che la raccolta rappresenta una delle modalità del trattamento di dati personali, ai sensi dell'art. 4, lett. a), d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (codice privacy), sembra allora corretto concludere che l'espressione impiegata nell'art. 240 c.p.p., si riferisca non alla raccolta proveniente da qualunque illecito penale, ma solamente da quella derivante da un trattamento illecito di dati personali, sanzionato dagli artt. 167 - 171 codice privacy. Del resto, il d.l. n. 259 del 2006, che ha rimodulato l'art. 240 c.p.p., aveva quale precipua finalità quella di impedire la raccolta e la successiva diffusione di dati personali.

Devono pertanto ritenersi estranei all'ambito applicativo della norma tutti quei documenti che non abbiano per oggetto dati e contenuti relativi al traffico telefonico o telematico e che non siano stati formati attraverso un trattamento illecito, sanzionabile ai sensi degli artt. 167 e ss. codice privacy ([9]).

Di conseguenza, il giudice milanese con l'ordinanza in commento ha correttamente osservato che non si sono verificate formazioni o acquisizioni di documenti illegali (ovvero illecite nel senso più sopra precisato) secondo l'ordinamento italiano. L'illiceità della raccolta dei documenti avvenuta in Liechtenstein non riverbera sulla successiva acquisizione delle informazioni da parte dell'amministrazione italiana nell'ambito della cooperazione internazionale. Il trattamento dei documenti, per cui è stata richiesta la distruzione, infatti, non può essere sanzionato, ai sensi degli artt. 167 e ss. codice privacy, in quanto estraneo all'ambito di applicazione della disciplina sulla riservatezza così come definito dall'art. 5 codice privacy. D'altra parte, la raccolta delle informazioni ricevute dall'Agenzia delle Entrate nell'ambito della cooperazione internazionale non può integrare una raccolta illegale, pena il paradossale risultato di ritenere l'autorità amministrativa italiana, qualora venga ordinata la distruzione dei documenti, responsabile del reato previsto dall'art. 3 l. n. 281 del 2006.

In conclusione, la documentazione oggetto della procedura incidentale risulta essere il frutto di un trattamento lecito per il diritto italiano con l'unico limite della inutilizzabilità nel procedimento penale dei materiali trasmessi all'autorità amministrativa nazionale, derivante dalla Direttiva 77/799/CEE e dalle leggi di ratifica delle Convenzioni contro le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio, stipulate dal nostro Paese con Regno Unito e Australia.

 

4. La dimostrata liceità nella raccolta delle informazioni contenute nei documenti oggetto del procedimento incidentale, ex art. 240 c.p.p., sarebbe sufficiente a concludere la procedura attraverso la restituzione degli atti al pubblico ministero; tuttavia, il giudice nell'ordinanza annotata svolge un'ulteriore considerazione, affermando che il presunto diritto alla privatezza dell'imputato deve nel caso in esame cedere il passo alla necessità di accertamento delle violazioni fiscali, effettuate tramite allocazione di redditi e cespiti in Paesi off-shore o comunque a regime fiscale agevolato.

Seguendo il percorso argomentativo del provvedimento annotato, ne deriverebbe che il giudice non può disporre la distruzione dei documenti, qualora questi formino, in tutto o in parte, la piattaforma probatoria dei reati oggetto del procedimento.

Il passaggio motivazionale è di non poca importanza e permette di svolgere qualche ulteriore osservazione sulla natura degli interessi tutelati, sulla struttura e sugli esiti dell'istituto in esame.

 

5. La distruzione dei documenti sacrifica senz'altro l'interesse al completo accertamento dei reati per i quali si procede, poiché i semplici verbali delle operazioni di distruzione non possono consentire un pieno dispiegamento delle facoltà probatorie delle parti ([10]). Il bene giuridico che il legislatore del 2006 ha inteso tutelare con la rimodulazione dell'art. 240 c.p.p., non andrebbe quindi limitato al right to privacy del singolo, ma dovrebbe essere esteso a "un interesse diffuso sovra - individuale e finanche politico istituzionale" ([11]), che verrebbe messo in pericolo dalla circolazione di una massa di dati e notizie raccolte in maniera "illegale". Del resto, sembra ragionevole giustificare la distruzione, anche solo parziale, del materiale probatorio con l'esigenza di prevenire il pericolo di una destabilizzazione politico - istituzionale, provocata dalla diffusione di documenti raccolti illegalmente. A tale proposito, peraltro, la Corte Costituzionale ha sottolineato che la distruzione dei documenti appare come un rimedio d'emergenza da azionare contro indebite diffusioni di informazioni riservate ([12]).

L'interesse tutelato impone, dunque, una lettura restrittiva del meccanismo in esame, diretta a valorizzare il ruolo del giudice per le indagini preliminari, il cui giudizio prognostico sul materiale raccolto dal pubblico ministero ([13]) dovrà articolarsi in due momenti distinti. In primo luogo, dovrà essere valutata la modalità della raccolta delle informazioni contenute nei documenti; in secondo luogo, qualora tale modalità dovesse essere risultata illecita, in quanto frutto di un trattamento sanzionabile, ai sensi degli artt. 167 e ss. codice privacy, il giudice dovrà compiere un bilanciamento degli interessi in gioco, disponendo la distruzione unicamente nell'ipotesi in cui l'interesse super individuale a impedire la diffusione di notizie, frutto di comportamenti seriali idonei a destabilizzare l'assetto istituzionale, venga ritenuto meritevole di tutela attraverso la soppressione dei documenti.

La procedura dovrà invece concludersi con la restituzione dei documenti al pubblico ministero, anzitutto, qualora venga dimostrato che la raccolta delle informazioni non sia sanzionabile ai sensi del codice privacy; il medesimo esito dovrà essere registrato qualora il giudice, pur riscontrando una violazione nella raccolta delle informazioni contenute nei documenti, ritenga preminente l'accertamento dei reati per cui si procede rispetto alle esigenze di distruzione ([14]). Quest'ultima ipotesi dovrebbe poter garantire il diritto alla prova, non soltanto del pubblico ministero, che nella fase delle indagini ha un diretto controllo sul materiale acquisito, ma soprattutto dell'imputato ([15]), che attraverso la documentazione potrebbe dimostrare la propria innocenza, e delle eventuali persone offese o danneggiati, che servendosi dei documenti potrebbero, a loro volta, dimostrare la reità ovvero l'entità del risarcimento che verrà richiesto. Una tale ricostruzione avrebbe inoltre l'ulteriore pregio di garantire il rispetto dei principi del giusto processo, del diritto di difesa e di azione e dell'effettivo esercizio dell'azione penale, che devono essere comunque garantiti anche nella procedura incidentale.

Il duplice controllo, cui è chiamato il giudice per le indagini preliminari, sulla liceità della raccolta delle informazioni e sugli interessi in gioco consentirebbe, in definitiva, l'armonizzazione di un istituto tanto eccentrico all'interno del sistema.


[1] Un archivista di una società fiduciaria di Vaduz ha sottratto dagli archivi della società i nominativi dei clienti e gli importi presenti sui conti correnti accesi presso la stessa società. La documentazione sarebbe stata poi venduta ai servizi segreti civili tedeschi e, quindi, trasmessa anche all'Agenzia delle Entrate; sul punto, ampiamente, F. Cagnola, La circolazione della prova nell'Unione Europea: la vicenda della "Lista di Vaduz", in La circolazione della prova nell'Unione Europea e la tutela degli interessi finanziari, A. Bana e L. Camaldo (a cura di), Forlì, 2011, p. 393 e s.

[2] I risultati di un interessante studio sull'evasione fiscale in Europa sono stati offerti da D. Pagnoni, Evasione fiscale in UE:Italia sul podio, IlSole240re, 24 agosto 2011, p. 13.

[3] Sul processo di profonda trasformazione del sistema rogatoriale, si rinvia all'approfondito contributo di G. De Amicis, Limiti e prospettive del mandato europeo di ricerca della prova, in questa Rivista, Papers, 5 aprile 2011.

[4] La Direttiva 77/799/CEE è stata pubblicata in G.U.C.E., 27 dicembre 1977, N. L. 336/15. I documenti per i quali è stata attivata la procedura di distruzione erano stati, invero, acquisiti dall'Agenzia delle Entrate anche in forza della l. 5 novembre 1990, n. 329 e della l. 27 maggio 1985, n. 292. Entrambe le leggi hanno ratificato le Convenzioni stipulate dal nostro Paese rispettivamente con Regno Unito e Australia. Entrambe le leggi prevedono l'inutilizzabilità delle informazioni e dei documenti a fini diversi da quelli fiscali (cfr. art. 27 l. n. 329 del 1990 e  art. 26 l. n. 292 del 1985).

[5] La Direttiva 2011/16/UE è stata pubblicata in G.U.C.E., 11 marzo 2011, L. 64/1.

[6] I materiali indicati, oltre alla sanzione della distruzione, sono affetti dalla inutilizzabilità processuale e dal divieto per le parti di effettuarne copia. Il d. l. 22 settembre 2006, n. 259 ha inoltre introdotto una fattispecie di reato che prevede la pena da sei mesi a quattro anni per chi consapevolmente detiene gli atti, i supporti ed i documenti di cui sia stata disposta la distruzione; mentre il successivo art. 4 del d. l. n. 259 del 2006 ha introdotto un severo meccanismo di riparazione pecuniaria nel caso di pubblicazione dei materiali in questione.

[7] In argomento, ampiamente, C. Gaio, Il caso Telecom, in questa Rivista, 4 novembre 2011; sul procedimento incidentale, ex art. 240 c.p.p., si rinvia alla nota redazionale, La procedura incidentale per la distruzione dei dossiers nel caso Telecom, in questa Rivista, 11 gennaio 2011.

[8] L. Filippi, Distruzione di documenti e illecita divulgazione di intercettazioni: lacune ed occasioni perse di una legge nata già "vecchia", in Dir. pen. proc., 2007, p. 154 ss.

[9] C. Conti, Le intercettazioni "illegali": lapsus linguae o nuova categoria sanzionatoria?, in Dir. pen. proc., 2007, p. 163. E' stata altresì esclusa l'assoggettabilità alla disciplina prevista dall'art. 240 c.p.p., per i documenti "contenenti notizie palesemente false, ovvero formati attraverso la raccolta di informazioni reperibili da chiunque ovvero delle quali l'indagato assuma l'origine lecita", da Trib. Milano, 25 ottobre 2010 (ord.), GIP Gennari, in questa Rivista, 25 ottobre 2010.

[10] Alla disposizione fa da pendant il comma 1-bis dell'art. 512 c.p.p., introdotto dall'art. 2 d.l. n. 259 del 2006, che permette sempre la lettura dei verbali relativi all'acquisizione ed alle operazioni di distruzione dei documenti.

[11] F. Palazzo, Tolleranza zero per le intercettazioni illecite?, in Dir. pen. proc., 2006, p. 1326.

[12] Corte Cost., sent. 11 giugno 2009, n. 173, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 240, commi 4 e 5, c.p.p. nella parte in cui non prevede, per la disciplina del contraddittorio, l'applicazione dell'art. 401, commi 1 e 2, c.p.p., e del comma 6 della norma de qua nella parte in cui non esclude dal divieto di fare riferimento al contenuto dei documenti, supporti e atti, nella redazione del verbale previsto dalla stessa norma, le circostanze inerenti l'attività di formazione, acquisizione e raccolta degli stessi documenti, supporti e atti. La sentenza è pubblicata in Giur. cost., 2009, p. 1936 ss., con nota di M. Villani, La distruzione del corpo del reato all'esame della Corte: spunto per una riflessione sul rapporto tra sanzioni processuali e diritti sostanziali; Cass. pen., 2009, p. 4627, con nota di F. Siracusano, L'insufficienza dell'intervento additivo della Corte Costituzionale in tema di intercettazioni "illegali" rende indispensabile il "ritorno" al legislatore; in Riv. it. dir. e proc. pen., 2009, p. 2051, con nota di C. Marinelli, Le "intercettazioni illegali" al vaglio della Corte costituzionale: prospettive e limiti di un intervento conservativo; nonché in Foro it., 2010, I, c. 1737, con nota di G. Biondi. La sentenza della Corte Costituzionale è altresì commentata da C. Cesari, Su captazioni e dossiers illeciti, un intervento non risolutivo, in Giur. cost., 2009, p. 3537 ss.

[13] Come esattamente osservato da Trib. Milano, 20 dicembre 2010 (ord.), GIP Gennari, in questa Rivista, 20 dicembre 2010, il richiamo operato dalla Corte Costituzionale ai soli commi 1 e 2 dell'art. 410 c.p.p. e non anche agli ulteriori commi che regolano lo svolgimento dell'incidente probatorio, deve essere inteso nel senso che l'unico materiale sul quale i contraddittori possono interloquire è il materiale raccolto dal pubblico ministero.

[14] Sottolinea, invece, il ruolo delle parti, Trib. Milano, 20 dicembre 2010 (ord.), GIP Gennari, cit., che conclude nei seguenti termini: "ove le parti contestino i presupposti della distruzione e chiedano di poter articolare prove a sostegno dei loro argomenti difensivi, il giudice non potrà che rigettare l'istanza di distruzione, la quale potrà invece essere accolta nei confronti di atti e documenti la cui origine illecita appaia certa ed evidente (come nel caso di e-mail illecitamente intercettate), e rispetto alle quali non si pongano problemi di sovrapposizione necessaria tra contenuto distrutto e prova dei reati per cui si procede". Sulla base di tale ordinanza è stata disposta l'acquisizione al fascicolo del dibattimento della documentazione non distrutta, quale corpo del reato, ai sensi dell'art. 431, comma 1, lett. h), da C. Assise Milano, 18 maggio 2011 (ord.), Pres. Gamacchio, in questa Rivista, 18 maggio 2011.  

[15] R. Bricchetti e L. Pistorelli, La distruzione immediata della prova rischia di ledere i diritti dell'imputato, in Guida dir., 2006, n. 39, p. 22; M. Chiavario, Passi avanti sulle intercettazioni illegali ma c'è bisogno di un ampio ripensamento, in Guida dir., 2006, n. 39, p. 13.