ISSN 2039-1676


30 gennaio 2012 |

Le Sezioni unite sul versamento di contributi previdenziali quale causa di non punibilità  della precedente omissione

Cass., Sez. un., 24.11.2011 (dep. 18.1.2012) n. 1855, Pres. Lupo, Rel. Lombardi, ric. Sodde (la citazione a giudizio, in assenza di pregressa notifica dell'accertamento da parte dell'ente previdenziale, comporta la decorrenza del termine per il versamento solo quando contenga tutti gli elementi essenziali dell'accertamento stesso; in caso di mancata o parziale decorrenza del termine, il giudizio va rinviato per consentire all'imputato di effettuare il versamento)

1. L'art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638, come modificato dall'art. 1 d.lgs. 24 marzo 1994 n. 211, dispone, tra l'altro, con riferimento al reato di omesso versamento delle ritenute assistenziali o previdenziali che «il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione».

Su questo testo legislativo erano fiorite nella giurisprudenza di legittimità difformi interpretazioni che la sentenza in commento si premura di passare scrupolosamente in rassegna, per pervenire alla soluzione più plausibile, non senza sottolineare comunque lacune e aporie del sistema legislativo, privo di regole di coordinamento tra la possibilità di definizione in sede amministrativa dell'illecito e l'avvio, inderogabile, dell'azione penale per il reato in questione.

Per il prevalente indirizzo interpretativo, ribadito più volte anche nel corso del 2011 (tra le tante decisioni di questo anno, tutte inedite, Cass. pen., sez. III, 19 luglio n. 30566, 23 giugno n. 29981, 12 maggio n. 23651, 6 aprile 2011 n. 18515, nonché sei sentenze del 16 marzo, con i numeri 17856 e 17857, 17858, 17859, 17860 e 18827), ove non risulti la contestazione o la notifica dell'avvenuto accertamento della violazione, il termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per provvedere al versamento dovuto, rendendo operante la causa di non punibilità prevista dalla disposizione citata poc'anzi, decorre dalla data di notifica del decreto di citazione per il giudizio; sicché qualora tale termine non sia decorso al momento della celebrazione del dibattimento, l'imputato può chiedere al giudice un differimento dello stesso al fine di provvedere all'adempimento. Va da sé che il decorso del termine per provvedere alla regolarizzazione non rappresenta, secondo tale orientamento, una condizione di procedibilità dell'azione penale, ma indica solo il limite temporale per la trasmissione all'autorità giudiziaria della notitia criminis da parte dell'ente previdenziale e, pertanto, «non impone di attendere il termine indicato per l'esercizio dell'azione penale».

Secondo l'opposto indirizzo interpretativo, largamente minoritario (tra le altre, Cass. pen., sez. fer., 5 agosto 2008 n. 44542, in C.e.d. Cass., n. 242294 e sez. III, 4 aprile 2006 n. 19212, in Dir. prat. lav., 2006, p. 1414) l'effettuazione di una valida contestazione o di una valida notifica dell'accertamento della violazione - e il successivo decorso del termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica senza il versamento delle somme dovute - si configurano invece come una condizione di procedibilità dell'azione penale, con la conseguenza che in assenza delle prime e in mancanza del decorso del termine di tre mesi da esse, l'azione penale non può essere iniziata, né, a fortiori, può essere emesso un valido decreto di citazione a giudizio. In tal caso il giudice avrebbe l'obbligo di rilevare e dichiarare, anche di ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, l'improcedibilità dell'azione penale ai sensi dell'art. 129 c.p.p.

Non è mancata, infine, un'isolata decisione (Cass. pen., sez. III, 1° febbraio 2005 n. 10469, in Ced. Cass., n. 230980) secondo cui il reato in questione, omissivo e istantaneo, si consuma alla scadenza dei tre mesi dalla contestazione (entro i quali si può provvedere al pagamento del debito contributivo) e non al momento dell'accertamento della violazione.

 

2. Le Sezioni unite hanno inteso subito sgombrare il campo dalla singolare interpretazione fornita in quest'ultima decisione: sarebbe impensabile l'attribuzione della natura di elemento costitutivo del reato alla notifica dell'avviso di accertamento e al decorso del termine per adempiere, dal momento che la lettera della legge prevede la sospensione del corso della prescrizione durante il termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per adempiere e tale previsione è incompatibile con la ritenuta insussistenza del reato prima che il medesimo termine sia decorso.

Subito dopo la Corte ha affrontato la questione della natura giuridica della contestazione o della notifica dell'avviso di accertamento della violazione da parte dell'ente previdenziale e del successivo decorso del termine per adempiere, muovendo dall'esame della natura e delle funzioni delle condizioni di procedibilità, che costituiscono un limite all'obbligo imposto dall'art. 112 della Costituzione al pubblico ministero di esercitare l'azione penale in presenza di una notizia di reato.

Assume rilievo centrale in proposito il carattere di normativa speciale e derogatoria, rispetto alla disciplina ordinaria, delle disposizioni che introducono condizioni di procedibilità dell'azione penale, sicché ne è esclusa l'interpretazione analogica (e qui sicuramente si fa ricorso all'analogia per ricondurre a una condizione di procedibilità dell'azione penale l'atto di contestazione della violazione, comunque essa venga effettuata).

Ma v'è di più. E cioè che l'art. 2, d.l. n. 463 del 1983 non solo non subordina l'esercizio dell'azione penale alla contestazione della violazione ovvero alla notifica del relativo accertamento da parte dell'ente previdenziale e al decorso del termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per adempiere, ma prevede esclusivamente la non punibilità del reato, pertanto già perfezionatosi, per effetto di una condotta successiva in qualche modo riparatoria del danno subito dall'ente pubblico. Dunque, esso prevede una tipica causa di non punibilità, destinata ad operare solo sul piano sostanziale.

D'altronde, a voler aderire all'idea che la contestazione o notificazione dell'avviso sia una condizione di procedibilità dell'azione penale, non si potrebbero ignorare i dubbi di legittimità costituzionale a cui, sotto il profilo della violazione dell'art. 112 Cost., una siffatta ricostruzione potrebbe dar luogo.

 

3. Questa premessa, tuttavia, non può far passare sotto silenzio che la sistemazione normativa non appare delle più felici, specie in relazione a disfunzioni patologiche del procedimento per la definizione del contenzioso in sede amministrativa.

Sicché accade con una certa frequenza che l'azione penale venga esercitata, benché l'imputato non sia stato posto in condizione di fruire della causa di non punibilità prevista dalla legge, non essendo contemplato alcun meccanismo di sospensione del procedimento penale in pendenza della possibilità di definizione amministrativa della violazione.

Osservano, al riguardo, le Sezioni unite che «l'art. 2, comma 1-ter, d.l. n. 463 del 1983, nel regolare i rapporti tra l'esercizio della facoltà, attribuita al datore di lavoro, di fruire della causa di non punibilità prevista dal comma 1-bis, ultima parte, e il procedimento penale, ovvero al fine di impedire l'esercizio dell'azione penale in presenza di una causa di non punibilità, ha esclusivamente previsto, autorizzandola, la posticipazione dell'invio della denuncia di reato al pubblico ministero al versamento delle ritenute non corrisposte da parte del datore di lavoro o alla scadenza del termine per provvedervi», ma che «nulla è, invece, previsto dalla norma con riferimento all'ipotesi in cui l'esercizio dell'azione penale sia avvenuto prima che l'imputato sia stato messo in condizione di fruire della causa di non punibilità o per l'omessa contestazione e notificazione dell'accertamento delle violazioni o per irregolarità della notificazione dell'accertamento».

Di qui le incertezze giurisprudenziali e le contrastanti interpretazioni, alle quali le Sezioni unite cercando di porre rimedio, affermando che:

a) anzitutto «incombe in primo luogo sull'ente previdenziale l'obbligo di assicurare la regolarità della contestazione o della notifica dell'accertamento delle violazioni e attendere il decorso del termine di tre mesi, in caso di inadempimento, prima di trasmettere la notizia di reato al pubblico ministero»;

b) è, poi, «compito dello stesso pubblico ministero verificare che l'indagato sia stato posto concretamente in condizione di esercitare la facoltà di fruire della causa di non punibilità», informando, in caso di esito negativo di detta verifica, l'ente previdenziale perché adempia all'obbligo di contestazione o di notifica dell'accertamento della violazione;

c) ancora, «il giudice di entrambi i gradi di merito dovrà provvedere alla verifica che l'imputato sia stato posto in condizione di fruire della causa di non punibilità, accogliendo, in caso di esito negativo, l'eventuale richiesta di rinvio formulata dall'imputato, finalizzata a consentigli di provvedere al versamento delle ritenute;

d) Infine, in ordine alla questione sottoposta al loro esame e relativa alla equipollenza del decreto di citazione a giudizio alla notifica dell'avviso di accertamento della violazione, il Supremo Collegio, in ciò precisando con maggior rigore la posizione della prevalente giurisprudenza, ha ritenuto che «il decreto di citazione a giudizio è equivalente alla notifica dell'avviso di accertamento solo se, al pari di qualsiasi altro atto processuale indirizzato all'imputato, contiene gli elementi essenziali del predetto avviso». Conseguentemente, è tempestivo l'adempimento (e trova applicazione la causa di non punibilità), in qualsiasi momento esso avvenga, quando in precedenza l'obbligato non abbia ricevuto un avviso rituale.

Corollario di tale principio è che, qualora il procedimento sia pervenuto in sede di legittimità senza che l'imputato sia stato posto in grado di fruire della causa di non punibilità, deve essere disposto l'annullamento con rinvio della sentenza per consentirgli di fruire della facoltà riconosciutagli dalla legge.