ISSN 2039-1676


03 luglio 2012 |

La Corte d'Appello di Milano assolve un ente imputato ex d.lgs. n. 231/2001 in ragione dell'adeguatezza del modello.

Nota a Corte d'Appello Milano, 21.03.2012, n. 1824 (sent.), Pres. ed est. Paparella, Imp. Impregilo Spa

 

1. La sentenza della Corte d'Appello di Milano - scaricabile in allegato - si segnala per aver assolto l'ente imputato ex d.lgs. n. 231/01 dall'accusa di aggiotaggio (art. 25 ter co. 1 lett. a, r), reato commesso dal presidente del consiglio di amministrazione e dall'amministratore delegato della società.

La Corte conferma il giudizio - già espresso dal giudice di prime cure, all'esito di un'articolata motivazione (già pubblicata su questa Rivista) - di adeguatezza del modello di organizzazione e gestione adottato dell'ente, individuando nella condotta dei soggetti apicali un'elusione fraudolenta del medesimo modello.

 

2. Il fatto sottoposto al giudizio della Corte aveva ad oggetto la diffusione, avvenuta ad opera delle due figure apicali, di notizie false e concretamente idonee ad alterare il valore delle azioni dell'ente e delle obbligazioni da quest'ultimo emesse. In particolare, era stato accertato che i vertici aziendali non avevano rispettato il complesso sistema di elaborazione delle comunicazioni rivolte al mercato, previsto dalle procedure interne al fine di scongiurare il rischio specifico di commissione del reato di cui all'art. 2637 c.c., manipolando la bozza di alcuni comunicati stampa elaborati (utilizzando dati corretti) dalle funzioni interne della società.

Il Procuratore Generale aveva impugnato la sentenza assolutoria di primo grado, dolendosi della carente verifica, in sede di giudizio abbreviato, del corretto funzionamento del modello organizzativo: "ciò che conta è l'attuazione del modello e non la sua configurazione sulla carta", osservava la pubblica accusa.

La Corte d'Appello rigetta tale doglianza, confermando integralmente l'impianto motivazionale del giudice di prime cure.

 

3. In primo luogo, la Corte rileva che l'ente aveva tempestivamente adottato ed efficacemente attuato un adeguato modello di organizzazione e gestione, in quanto rispondente ai requisiti di cui all'art. 6 del D.lgs. n. 231/01.

Esso prevedeva infatti:

a) un sistema di controllo interno coerente con i principi del codice di autodisciplina promosso da Borsa Italiana s.p.a. e costruito attraverso una puntuale individuazione delle aree a rischio;

b) un organo di vigilanza regolato in conformità con le linee guida emesse da Confindustria - posizione ricoperta, nel caso in questione, dal responsabile della Funzione internal auditing, il quale rispondeva direttamente al presidente del consiglio di amministrazione - ;

c) procedure atte a regolamentare i flussi informativi verso l'organismo di vigilanza, con la previsione di specifici obblighi di informazione;

d) un sistema disciplinare calibrato sulla violazione delle regole previste dal modello di organizzazione;

e) controlli annuali volti a vagliare la validità delle procedure di controllo e protocolli diretti ad assicurare l'adeguata formazione del personale.

Con riguardo, poi, allo specifico rischio di realizzazione del delitto di aggiotaggio, la procedura interna prevedeva la partecipazione di almeno due soggetti per il compimento di attività a rischio, con la nomina di un responsabile dell'operazione.

Più in dettaglio, essa articolava un complesso iter formativo delle notizie destinate al pubblico, con la predisposizione di una prima bozza ad opera della funzione aziendale coinvolta ed il coinvolgimento dell'ufficio relazioni esterne; l'approvazione del comunicato era quindi riservata alle più alte figure aziendali, e cioè il presidente del consiglio di amministrazione e l'amministratore delegato della società.

 

4. Accertata l'esistenza di un modello 'sulla carta' adeguato, il collegio si sofferma poi sulla prova dell'avvenuta elusione fraudolenta del sistema di regole approntato dalla società.

Per comprendere se di elusione fraudolenta si è trattato (e non, piuttosto, di inadeguatezza del modello), occorre, ad avviso della Corte, individuare la causa del mancato funzionamento del sistema di regole approntato dalla società; diversamente opinando, osserva ancora il collegio, l'esimente prevista dall'articolo 6 del d.lgs. non verrebbe pressoché mai applicata.

A tal riguardo, merita di essere notata la prospettiva proposta dalla Corte d'appello per valutare l'esistenza o meno del criterio di fraudolenza.

Secondo i giudici, "la frode cui si fa riferimento nell'art. 6 [..] deve riguardare [..] gli altri protagonisti della procedura, in quanto la frode deve avere funzione strumentale rispetto all'elusione del modello di organizzazione e delle sue procedure": la 'frode' deve pertanto avere di mira gli altri soggetti che - in un sistema di controllo efficiente, laddove le operazioni 'a rischio' vedono il coinvolgimento di più persone - sono chiamati a partecipare alla realizzazione dell'atto che ha determinato la realizzazione del reato.

"Nel caso di specie - osserva il collegio - v'è stata manipolazione dei dati forniti dagli uffici competenti della società", in ciò concretandosi la frode messa in atto dai due apicali nei confronti degli altri attori coinvolti nell'iter di formazione dei comunicati, e cioè le funzioni interne che avevano correttamente elaborato la bozza dei comunicati manipolati da ultimo dal presidente del CdA e dall'amministratore delegato.

 

5. La valutazione positiva di entrambi gli snodi probatori - e dunque provata tanto la tempestiva adozione e l'efficace attuazione del modello di organizzazione e gestione, quanto l'elusione fraudolenta del medesimo ad opera degli autori del reato - vale a ritenere integrata l'esimente prevista all'art. 6 del decreto legislativo, posto che - osserva conclusivamente la Corte - "il comportamento fraudolento non può essere impedito da nessun modello organizzativo [e] nemmeno dal più diligente organismo di vigilanza".