ISSN 2039-1676


14 dicembre 2012 |

La Corte costituzionale puntualizza vari aspetti del procedimento che culmina con l'ordine giudiziale di formulare l'imputazione

Corte cost., 12 dicembre 2012, n. 286, Pres. Quaranta, Rel. Lattanzi (è infondata la questione di legittimità dell'art. 409 c.p.p. nella parte in cui non prescrive che il p.m. spedisca l'avviso di cui all'art. 415-bis anche quando l'imputazione è formulata per ordine del giudice che rigetta la richiesta di archiviazione)

1. Con l'ordinanza qui pubblicata la Corte costituzionale è intervenuta, per la quarta volta, su di una questione che, per vero, non pare problematica quanto potrebbe sembrare a fronte di sollecitazioni tanto ripetute.

Il giudice rimettente ha preso le mosse da un assunto largamente condiviso, e cioè che il pubblico ministero, quando deve formulare l'imputazione perché in tal senso intimato dal giudice, in sede di rigetto della richiesta di archiviazione, non è tenuto ad effettuare il previo deposito degli atti e, comunque, a spedire l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, che pure è prescritto dall'art. 415-bis c.p.p., quale condizione di legittimità per un successivo atto di esercizio dell'azione penale[1].

Pare però, allo stesso giudice rimettente, che una tale disciplina contrasti con la Costituzione, oltreché (forse) con la Convenzione edu, nonostante il contrario avviso già espresso dalla Consulta. Non gli sembra convincente, infatti, l'argomento fondamentale già speso sul tema, e cioè che all'indagato è garantita comunque una occasione di interlocuzione antecedente all'atto di imputazione, dato che il relativo ordine di formulazione interviene in esito ad una procedura camerale partecipata[2].

In realtà la sostanziale assimilazione tra indagato raggiunto dall'avviso di conclusione delle indagini preliminari ed indagato coinvolto nella procedura giudiziale di cui all'art. 409 c.p.p. - che sottende all'argomento appena evocato - non sarebbe giustificata. Nel primo caso «la contestazione è già delineata e cristallizzata, la discovery degli atti processuali trova massima estrinsecazione avendo il P.M. un preciso obbligo in merito alla piena ostensione di tutti gli atti di indagine (a pena di inutilizzabilità degli atti inizialmente criptati e successivamente scoperti), sussiste l'obbligo di procedere all'interrogatorio dell'indagato che lo richieda, pena la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti ad essa successivi». Nel secondo caso, cioè nell'ipotesi di cui al secondo comma del'art. 409 c.p.p., non vi sarebbe «una contestazione determinata e cristallizzata ma una fluida ipotesi accusatoria, la discovery sugli atti di indagine potrebbe essere incompleta (non essendo gravato il P.M. da alcun obbligo in tal senso) ed infine non vi è alcun obbligo di procedere all'interrogatorio dell'indagato che ne faccia richiesta».

Su queste premesse, la disciplina censurata contrasterebbe con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, proprio in forza della disparità di trattamento tra il destinatario dell'avviso previsto dal comma 2 dell'art. 409 e il destinatario dell'avviso ex art. 415-bis c.p.p. Oltretutto, nella procedura giudiziale l'indagato sarebbe discriminato rispetto alla persona offesa (che con l'atto di opposizione può indicare specifiche iniziative di integrazione della prova), ed i potenziali limiti della base cognitiva violerebbero il diritto alla piena informazione garantiti dall'art. 6 della Convenzione edu (qui il rimettente ha evocato il parametro interposto ma non il primo comma dell'art. 117 Cost., di talché la Corte non ha ritenuto sollevata un'autonoma questione).

 

2. Alla luce della struttura assunta dall'ordinanza di rimessione, la Corte è stata chiamata a verificare l'attendibilità delle asserzioni compiute dal rimettente circa alcuni profili del procedimento camerale che il giudice deve avviare, a mente dell'art. 409 c.p.p., quando valuta di non potere accogliere, almeno sullo stato degli atti, la richiesta di archiviazione.

Andiamo per punti. In primo luogo non è vero che sia diverso l'ambito di ostensione degli atti che il pubblico ministero deve esibire quando effettua il deposito ex art. 415-bis e quando trasmette al giudice la richiesta di archiviazione. Nel primo caso va depositata presso la segreteria la «documentazione relativa alle indagini», e nel secondo caso il fascicolo va confezionato inserendovi «la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari» (è appena il caso di ricordare che gli atti allegati alla richiesta di archiviazione, quando il giudice avvia il procedimento camerale in vista del rigetto, vanno depositati in cancelleria ex art. 409, comma 2, c.p.p.). Potrebbe aggiungersi che il criterio non è diverso da quello che regola la formazione del fascicolo da allegare alla richiesta di rinvio a giudizio, come fissato nell'art. 130 disp. att. c.p.p. (che indica gli atti mediante rinvio al comma 2 dell'art. 416, il quale a sua volta si riferisce alla «documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari). Non è configurabile - come la giurisprudenza (anche costituzionale) ha chiarito da tempo - alcun potere di selezione degli atti da parte del pubblico ministero, avuto riguardo alle notitiae criminis per le quali esercita l'azione oppure chiede la «autorizzazione» giudiziale a non esercitarla. La simmetria della base cognitiva è coerente con l'identità di oggetto delle valutazioni demandate al giudice: se sussistano o non i presupposti per un'utile celebrazione del giudizio.

In secondo luogo, non è vero che l'indagato «chiamato» all'udienza ex art. 409 c.p.p. perde il diritto, rispetto a quello destinatario dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, di rendere interrogatorio sui fatti in contestazione. Meglio, se è vero che nell'udienza camerale non è prescritto che l'audizione dell'accusato assuma le forme dell'interrogatorio, è vero certamente che l'indagato ha comunque il  diritto di essere ascoltato[3], pena la nullità dell'udienza medesima. La differenza terminologica, cui sottendono in effetti differenze strutturali e procedimentali, non può oscurare l'analoga essenza delle situazioni nella prospettiva del diritto di difesa, cioè quella che conta: in entrambi i casi, l'interessato può cercare di prevenire l'atto di imputazione (parlando con il giudice, che ha il potere di evitarlo attraverso l'accoglimento della richiesta di archiviazione, o con il diretto titolare del potere di azione). Le garanzie costituzionali vanno assicurate nella sostanza, e senza differenze irragionevoli di procedimento, ma certo il legislatore non è costretto a garantire un determinato interesse, allo stesso modo, quale che sia la situazione nella quale viene in rilievo (giurisprudenza costituzionale pacifica).

Terzo passaggio. Non è vero che l'accusato sarebbe privo, nel procedimento di cui all'art. 409 c.p.p., della possibilità di sollecitare approfondimenti di indagine, e ciò a prescindere dal fatto che nel procedimento in questione egli parte avvantaggiato, rispetto alla persona offesa, dal fatto che è già stata formulata una richiesta di archiviazione. Infatti, stabilito il diritto di parola nell'udienza, è ben possibile che l'interessato se ne avvalga per sollecitare una ordinanza «istruttoria», la cui deliberazione costituisce uno dei possibili esiti del giudizio.

Ultimo passaggio. È vero che nel caso dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari il fatto è contestato nella forma sostanziale dell'imputazione, anche se il capo di accusa non è completamente immutabile, mentre nel caso della richiesta di archiviazione è spesso indicata la mera notizia di reato, con una descrizione spesso priva di riferimenti al fatto, e comunque decisamente sommaria. Non è una condizione necessaria (si pensi solo all'ipotesi che vi siano state contestazioni cautelari), e non può definirsi buona abitudine quella di limitarsi all'indicazione della norma sostanziale, o poco più. Va preso atto, però, che in molti casi l'indagato può essere convocato all'udienza camerale con la sola informazione che si potrebbe procedere contro di lui per un reato, genericamente indicato con il nomen iuris.

Ciò detto, la Corte nota come l'indagato abbia comunque accesso agli atti, e come, ancora una volta, egli abbia la possibilità di difendersi nell'udienza, con un raggio di azione la cui ampiezza corrisponde a quella del thema decidendum fissato con la richiesta di archiviazione.

Qui si impone, poi, una qualche riflessione supplementare. Appartiene francamente alla patologia del processo la prassi, purtroppo non estirpata, di formulare richieste di archiviazione assai generiche, magari riferibili ai «reati risultanti dagli atti». La domanda però, sul piano della valida insaturazione del rapporto processuale, deve riferirsi almeno ad una o più notizie di reato poste ad oggetto di formale iscrizione nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. L'oggetto del procedimento camerale non può che essere delimitato almeno dal riferimento ad un fatto individuato e pur genericamente qualificato. Tanto questo è vero che il giudice non può ordinare la formulazione di imputazioni per fatti diversi da quelli iscritti nel registro delle notizie di reato[4]. La questione è controversa[5], ma la tesi opposta non sembra facilmente sostenibile, e lo sarà ancora meno dopo l'ordinanza qui in commento.

La possibilità che venga elevata una imputazione senza previa contestazione, neppure nella forma più blanda del riferimento ad una notizia di reato formalmente iscritta e qualificata, aprirebbe spazi nuovi per il dubbio che, in casi del genere, l'accusato sia oggetto di sperequazione rispetto a colui che riceve la formale «contestazione» insita nell'avviso ex art. 415-bis c.p.p. Al contrario, la necessità che il giudice imponga l'iscrizione delle notizie non registrate dal pubblico ministero, e attenda le determinazioni dello stesso pubblico ministero, prima di formulare un eventuale ordine di imputazione, garantisce che la fisiologia del procedimento sia comunque assicurata, e che l'imputato abbia una opportunità di interlocuzione antecedente con riguardo a qualsiasi capo d'accusa.

 

3. Su queste premesse, alla Corte non restava che rilevare come - nelle forme discrezionalmente diverse che sono consentite al legislatore nell'opera di costruzione delle forme processuali - non vi siano né le ingiustificate disparità di trattamento né le violazioni del diritto di difesa prospettate dal ricorrente.

Soccorre anche un'esigenza di ragionevole semplificazione. Il meccanismo dell'art. 415-bis ha la funzione di garantire che non vengano inutilmente promossi procedimenti giudiziari quando la persona accusata risulta in grado di documentare che l'accusa risulterà non sostenibile. La stessa funzione assolve la procedura camerale avviata dal giudice, che ben può essere convinto ad accogliere la richiesta di archiviazione in base ad un analogo esercizio delle facoltà difensive. Dopo l'ordinanza per la formulazione dell'imputazione, ulteriori sforzi difensivi sarebbero inutili: il giudice ha già deciso, ed il pubblico ministero non potrebbe sottrarsi al dovere di promuovere l'azione; l'oggetto della tenzone è ormai trasferito nell'udienza preliminare o nel dibattimento, e non è più possibile difendersi per evitare il processo (o, comunque, il vaglio giudiziale d'una accusa ormai definitivamente formalizzata). Il «rideposito» degli atti, con la connessa spedizione dell'avviso e con i connessi ed eventuali adempimenti successivi,  non avrebbero alcun senso, e si risolverebbero in una duplicazione difficilmente giustificabile sul piano della logica e della ragionevole durata.

Sempreché, naturalmente, le garanzie difensive siano effettivamente assicurate attraverso una corretta gestione del procedimento camerale, e degli atti ad esso propedeutici.

 


[1] La giurisprudenza è unanime, e ravvisa in genere l'abnormità del provvedimento del giudice dibattimentale che dichiari la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, proposta a seguito dell'ordine di formulare l'imputazione, per non essere stata la stessa preceduta, in applicazione dell'art. 415-bis c.p.p., dall'avviso di conclusione delle indagini preliminari: da ultimo, Cass., sez. IV, 19 novembre 2009, n. 48033, P.m. in proc. Caldarar, in C.E.D. Cass., n. 245795.

[2] Come accennato, la Consulta era già intervenuta tre volte sul tema. Con l'ordinanza 19 novembre 2002, n. 460, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 409, comma 5, 415-bis e 552, comma 2, c.p.p., censurato, in riferimento agli artt. 24, 101 e 112 Cost., nella parte in cui prevede che, nei reati a citazione diretta - in esito a richiesta di archiviazione, avanzata dal pubblico ministero oltre la scadenza dei termini di indagine e non accolta dal giudice delle indagini preliminari - il pubblico ministero, richiesto di formulare dal giudice l'imputazione, debba provvedere a tale adempimento ed alla successiva emissione del decreto che dispone il giudizio senza il previo invio, all'indagato, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis cod. proc. pen., per l'avvenuta scadenza del termine delle stesse. L'orientamento è stato ribadito con l'ordinanza 26 novembre 2002, n. 491, in relazione agli stessi parametri già valutati con il provvedimento precedente, e poi con l'ordinanza 16 dicembre 2004, n. 441. Nella specie, era stata prospettata la violazione degli artt. 3 e 24 Cost. La Corte aveva stabilito che, quando «l'esercizio dell'azione penale consegua all'ordine del giudice di formulare l'imputazione, previsto dall'art. 409, comma 5, cod. proc. pen. nel caso di mancato accoglimento dell'anzidetta richiesta, il contraddittorio sulla eventuale incompletezza delle indagini si esplica necessariamente nell'udienza in camera di consiglio che, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, il giudice è tenuto a fissare ove non accolga la richiesta di archiviazione del pubblico ministero; [...] tale circostanza esclude dunque la configurabilità della violazione degli artt. 3 e 24 Cost., ventilata dal rimettente».

[3] La Consulta, nella sentenza annotata, cita Cass., Sez. IV, 14 gennaio 2004, n. 29864, P.o. in proc. Gori, in C.E.D. Cass., n. 229444; il principio è stato ribadito più volte riguardo al diritto di essere ascoltato dell'opponente, ma è valevole per tutte le parti dell'udienza (ad esempio, Cass., Sez. IV, 16 aprile 2008, n. 20391, P.o. in proc. Mercuri, ivi, n. 240227).

[4] Cass., sez. V, 16 febbraio 2012, n. 12987, P.m. in proc. De Felice, ivi, n. 252312: «È abnorme il provvedimento del giudice delle indagini preliminari con il quale, nel rigettare la richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero, ordini a quest'ultimo la formulazione dell'imputazione anche per fatti diversi da quelli per i quali il procedimento era stato iscritto».

[5] In senso opposto, ad esempio, Cass., sez. V, 17 ottobre 2008, n. 43262, Frizzo, ivi, n. 241724.