ISSN 2039-1676


11 gennaio 2013 |

Il lento adeguamento dell'Italia allo statuto della Corte penale internazionale: pubblicata la legge sulla cooperazione giudiziaria con la Corte e sull'esecuzione dei suoi provvedimenti

Legge 20 dicembre 2012, n. 237 (“Norme per l’adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale”, pubblicato in GU n. 6, 8 gennaio 2013)

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La legge n. 237/2012 è stata approvata in via definitiva alla Camera dei deputati il 4 dicembre 2012, dopo essere stata modificata in Senato il 19 settembre 2012.

Il testo adottato è una sintesi di varie proposte di legge di iniziativa parlamentare presentate tra il 2008 e il 2009 e rappresenta l’adempimento di un impegno assunto dall’Italia oltre 14 anni fa.

Occorre ricordare in proposito che nel luglio del 1998 l’Italia ospitò la Conferenza diplomatica che portò all’adozione dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, per questo infatti anche chiamato Statuto di Roma.

Com’è noto, tale Corte, che ha sede all’Aia, rappresenta la prima giurisdizione penale sovranazionale indipendente, permanente e con competenza non retroattiva. Essa, infatti, a differenza dei Tribunali ad hoc per la ex-Jugoslavia e per il Ruanda, non è un organo dell’Onu ed il suo Procuratore è svincolato dal controllo degli Stati.

L’Italia ha giocato un ruolo essenziale di supporto alla creazione di tale istituzione già nella fase dei negoziati, è stata il primo paese firmatario del trattato istitutivo della Corte ed uno dei primi – il quarto per la precisione - a depositare lo strumento di ratifica di tale trattato (sulla base della legge n. 232 del 1999).

Il trattato istitutivo della Corte penale internazionale, e quindi il suo Statuto, è entrato in vigore nel luglio 2002, al raggiungimento della sessantesima ratifica. Nei dieci anni da allora trascorsi il numero di Stati parte è più che raddoppiato: sono oggi ben 121 i paesi che hanno ratificato lo Statuto di Roma e 139 gli Stati firmatari.

D’altro canto, all’iniziale sollecitudine e ruolo attivo dell’Italia sono seguiti molti anni di sostanziale inerzia: ci sono voluti ben sette anni dalla entrata in vigore dello Statuto perché il Parlamento italiano iniziasse l’esame di un provvedimento normativo di adeguamento della legislazione interna, ed ulteriori tre anni per arrivare al completamento dell’iter legislativo. E ciò nonostante il fatto che la Corte in questi anni abbia avuto ben due giudici di nazionalità italiana (il Prof. Mauro Politi prima, e il magistrato Cuno Tarfusser oggi), l’attuale cancelliere (Registrar) della Corte sia italiana (il magistrato Silvana Arbia), e numerosi giuristi italiani occupino altri posti di notevole rilievo all’interno di tale istituzione (come ad esempio Paolina Massidda, a capo dell’ufficio per la difesa delle vittime).

La legge appena approvata è di fondamentale importanza poiché permette finalmente all’Italia di potere cooperare con tale istituzione, cosa che fino a questo momento – in mancanza di una normativa di adeguamento - sarebbe stata preclusa. Tuttavia, sebbene si tratti un passo cruciale, esso non rappresenta ancora il completamento del percorso di adeguamento della normativa italiana allo Statuto della Corte penale internazionale. Il testo adottato tralascia, infatti, gli aspetti relativi al diritto penale sostanziale e si limita a considerare gli aspetti procedurali relativi al rapporto tra giurisdizione italiana e Corte penale internazionale.

In particolare sono due gli aspetti presi in considerazione dalla legge: (a) la cooperazione giudiziaria dell’Italia con la Corte e (b) l’esecuzione interna dei provvedimenti della Corte, incluse le sentenze di condanna. Solo qualche cenno più nel dettaglio, rinviando ad un prossimo più approfondito commento l’analisi puntuale della normativa.

La legge di adeguamento stabilisce anzitutto un obbligo di cooperazione dell’Italia con la Corte, conformemente alle disposizioni dello Statuto, reso esecutivo con legge n. 232 del 12 luglio 1999, nel rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano (art. 1). Si individua nel Ministro della giustizia l’organo competente per i rapporti con la Corte, eventualmente d’intesa con gli altri ministri interessati. Il Ministro della giustizia riceve la richieste, vi dà seguito e presenta alla Corte atti e richieste (art. 2). La legge stabilisce inoltre che le richieste formulate dalla Corte penale internazionale siano trasmesse per l’esecuzione al Procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma. Giudice competente è la Corte d’appello di Roma. La normativa regola inoltre la procedura di consegna di una persona oggetto di un mandato di arresto della Corte, nonché l’eventuale applicazione di un provvedimento di custodia cautelare, anche prima che sia intervenuta la richiesta di consegna vera e propria. Sono previste infine le procedure per l’esecuzione delle pene inflitte dalla Corte in Italia.

Come anticipato, manca ancora dunque nell’ordinamento italiano la normativa di adattamento al diritto penale internazionale sostanziale: non tutti i crimini di competenza della Corte costituiscono infatti reato ai sensi dalla legislazione italiana. La maggior parte dei crimini di competenza della Corte, che integrano le “macrofattispecie” dei crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, non sono in realtà previsti come tali nel nostro ordinamento. Non a caso una delle modifiche apportate durante l’ultima lettura in Senato è stata quella di eliminare dalla legge la condizione che per il riconoscimento di una sentenza di condanna della Corte (presupposto per la sua esecuzione in Italia) il fatto per cui è stata pronunciata la sentenza debba essere previsto come reato dalla legge italiana.

Se la strada è dunque ormai tracciata, si attende ora il passo successivo da parte del legislatore italiano, ossia l’adozione di una normativa contenente la definizione delle fattispecie incriminatrici nonché dei principi di diritto penale generale applicabili in materia, a cominciare da una necessaria disciplina specifica in materia di immunità e di prescrizione riguardo a tali crimini, e ad alcuni criteri di imputazione peculiari dell’ordinamento penale internazionale (come la responsabilità del superiore o del comandante).

Tale ulteriore adeguamento è imposto dal principio di complementarietà, di cui all’art. 17 dello Statuto di Roma, che regge l’intero impianto di cooperazione e interazione tra la Corte penale internazionale e gli Stati membri. Il principio attribuisce anzitutto ai singoli Stati il compito di procedere nei confronti di sospetti crimini internazionali commessi sul proprio territorio o da parte di propri cittadini, la giurisdizione della Corte operando soltanto nei i casi in cui lo Stato avente giurisdizione non voglia o non possa procedere; il che presuppone, ovviamente, che lo Stato sia munito di una legislazione che incrimini a livello interno le fattispecie di reato in questione.