ISSN 2039-1676


04 febbraio 2014 |

E' ammissibile l'impugnazione spedita con raccomandata recapitata da poste private

Nota a Cass., Sez. III (sent.), ud. 28.11.2013 (dep. 22.1.2014), Pres. Teresi, Rel. Andreazza, ric. Padovano

L'impugnazione proposta con atto trasmesso a mezzo raccomandata è ammissibile anche se non sia stato utilizzato per la trasmissione il servizio di Poste italiane s.p.a.

 

1. La sentenza che qui si pubblica non è importante solo per il principio che afferma (a quanto risulta, la prima volta in ambito penale), ma anche per profili più generali riguardanti la cultura nomofilattica della Corte di cassazione, ai quali, vuoi per i precedenti specifici in materia di impugnazioni penali proposte mediante l'utilizzo del servizio postale, vuoi per il ripetersi, ancora in epoca recentissima e su temi di rilievo, di pronunce poco perspicue, anche al più alto livello di giurisdizione (da ultimo, Sez. un., 18 aprile 2013 n. 33742, in questa Rivista, 21 ottobre 2013) pare opportuno svolgere qualche riflessione supplementare.

Ma andiamo per ordine. E muoviamo dalla soluzione affermativa (ineccepibile) data al problema che il ricorso poneva: è ammissibile l'impugnazione proposta con il mezzo del servizio postale, se questo è espletato da un'agenzia di recapiti privati?

Qui la Corte di merito aveva ritenuto la trasmissione dell'atto di appello - avvenuta mediante raccomandata con avviso di ricevimento spedita da una società in accomandita semplice (la Postal service s.a.s., regolarmente autorizzata ad operare in forza di licenza individuale) - assimilabile a una trasmissione effettuata mediante posta ordinaria e quindi aveva tenuto conto, ai fini della tempestività dell'impugnazione, non del giorno di spedizione, come impone l'art. 583, comma 2, c.p.p., ma di quello di arrivo dell'atto all'Ufficio.

Conseguenza: appello ritenuto tardivo e quindi dichiarato inammissibile, quantunque spedito il giorno prima della scadenza del termine ultimo di impugnazione. Inevitabile la censura: nessuna disposizione impone di identificare la raccomandata prevista dall'art. 583 c.p.p. con quella spedita da un ufficio di Poste italiane s.p.a., stante la riconosciuta equiparazione - stabilita dal d.lgs. n. 58 del 2011, sia pure con eccezioni non riguardanti il caso e comunque non estensibili ad esso - tra il gestore universale e le altre "poste private".

La Corte accoglie il ricorso e vedremo tra poco l'iter seguito per motivare la decisione.

Ma quali sono (sono stati) gli orientamenti della Cassazione civile sull'utilizzo di servizi di recapito privato?

Non pare inutile ricordare che nella giurisprudenza civile il problema del valore da assegnare a raccomandate spedite mediante l'utilizzo di servizi offerti da soggetti diversi da Poste italiane s.p.a. non è nuovo ed è insorto prevalentemente sul terreno delle notificazioni di atti di accertamento dell'Amministrazione finanziaria, ma non solo.

Prescindendo dalle decisioni rese in materia di notificazioni di atti di accertamento, ferme sul principio che queste ultime non sono consentite se eseguite da agenzie di recapito private (con il temperamento, emerso in qualche pronuncia, della legittimità della notifica se il plico, pervenuto al destinatario ad opera di un'agenzia privata, sia stato tuttavia consegnato dal notificante all'ufficio postale che l'abbia poi affidato con propria, autonoma determinazione, al soggetto privato: Cass. civ., sez. V, 6 giugno 2012 n. 9111, in C.e.d. Cass., n. 622973), sarà utile soffermarsi su quel che è stato affermato, in un caso contiguo, ma non identico a quello qui esaminato, dalla giurisprudenza civile di legittimità.

Si tratta di Cass. civ., sez. VI, 31 gennaio 2013 n. 2262, ivi, n. 625082, la cui massima così recita:

"In tema di notifiche a mezzo posta, il d.lgs. 22 luglio 1999 n. 261, pur liberalizzando i servizi postali in attuazione della direttiva 97/67/CE, all'art. 4, comma quinto, ha continuato a riservare in via esclusiva, per esigenze di ordine pubblico, al fornitore del servizio universale (l'Ente Poste), gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie. Ne consegue che, in tali procedure, la consegna e la spedizione mediante raccomandata, affidata ad un servizio di posta privata, non sono assistite dalla funzione probatoria che l'art. 1 del citato d.lgs. n. 261 del 1999 ricollega alla nozione di «invii raccomandati» e devono, pertanto, considerarsi inesistenti."

Posta in questi termini, la decisione non aggiunge molto al patrimonio di conoscenze in tema di notifiche affidate a servizi di posta privati. Ma guardiamo alla fattispecie esaminata, non richiamata nella massima: ricorso in opposizione avverso ordinanza-ingiunzione in materia di violazione al codice della strada (a seguito della sentenza 98/2004 della Corte costituzionale che aveva ritenuto ammissibile l'utilizzo del servizio postale per proporre l'impugnazione in discorso). Dunque, almeno a prima vista, anche qui un'impugnazione per la cui notifica si era fatto ricorso all'utilizzo di un servizio di posta privata, dopo la liberalizzazione attuata nell'ordinamento interno per ragioni di adeguamento a direttive comunitarie. Impugnazione, però, dichiarata inammissibile, proprio per essere stato utilizzato il servizio di un'agenzia privata di recapiti, stante la permanenza di riserva stabilita per la notificazione di atti giudiziari.

Contrasto, dunque, tra giurisprudenza civile e giurisprudenza penale sul medesimo tema?

Tutt'altro. Le cose non stanno così; o almeno la questione non è sovrapponibile a quella qui esaminata. Lo dimostra more geometrico la sentenza in commento.

 

2. Torniamo, dunque, al problema da essa affrontato. Che è, all'evidenza, diverso da quello esaminato nella sentenza civile appena evocata, la quale perciò non può giovare alla sua soluzione.

Vediamo perché. Come osserva la pronuncia in commento, la liberalizzazione dei servizi postali, realizzata compiutamente dal d.lgs. n. 58 del 2011, non è stata totale perché a "Poste italiane s.p.a." è stato affidato in via esclusiva, per quel che interessa in questa sede, il servizio relativo alle "notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla legge 20 novembre 1982 n. 890 e successive modificazioni", con una ulteriore restrizione rispetto al testo originario dell'art. 4 d.lgs. n. 261 del 1999 che riservava al servizio universale "gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie".

Ora, se questo è vero, non è possibile, ricorrendo nel caso di specie la spedizione di un appello, altra soluzione che quella di ritenere utilmente esperita la spedizione postale (purché per telegramma o raccomandata) con il ricorso a un qualsiasi gestore del servizio, non potendo essere assimilate le nozioni di notificazione di un atto e di spedizione di un atto (e quindi anche dell'atto di impugnazione).

Il caso all'attenzione del giudice penale, riguardante la spedizione dell'impugnazione (che si ha quando il relativo atto non venga direttamente depositato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato o del diverso giudice del luogo in cui parti private o difensori si trovino: art. 582 c.p.p.), si riferisce ai rapporti tra parte (o difensore) e giudice; quello presentatosi all'esame del giudice civile la notificazione (nella specie di un atto di impugnazione), e quindi si riferisce ai rapporti tra parte e controparte concernenti atti giudiziari.

Non v'è ombra di dubbio, perciò, che si tratti di situazioni ontologicamente diverse e che la spedizione dell'impugnazione non possa ricondursi all'ipotesi "coperta" dalla riserva alle Poste italiane prevista dal d.lgs. n. 58 del 2011: solo un approccio superficiale potrebbe confondere le due diverse situazioni e trarre dal principio enunciato in sede civile motivi per estenderlo tout court, con una operazione di improponibile semplificazione, all'ambito penale.

In proposito, molto opportunamente la sentenza ricorda come il legislatore abbia consapevolezza del diverso valore e significato dei concetti di spedizione e notificazione dell'impugnazione. Difatti l'art. 584 c.p.p. disciplina proprio la notificazione dell'impugnazione (alle parti private a cura della cancelleria) separatamente dalla spedizione: notificazione che può avvenire anche col mezzo del servizio postale (per un esempio si veda Cass. pen., sez. VI, 19 giugno 2008 n. 28729, inedita).

Il resto viene da sé ed è corollario immediato dell'art. 583 c.p.p., secondo il quale le parti e i difensori possono proporre l'impugnazione con telegramma ovvero con atto da trasmettersi a mezzo di raccomandata alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (comma 1), e l'impugnazione si considera proposta nella data di spedizione della raccomandata o del telegramma (comma 2). Come si vede, non è prescritto il ricorso all'utilizzo del servizio offerto da Poste italiane s.p.a., né questo è reso obbligatorio dalla riserva prevista dai d.lgs. n. 261 del 1999 e n. 58 del 2011.

Ma anche a voler ammettere che residuasse qualche incertezza e comunque anche prima del 1999 la soluzione oggi fatta propria dalla Corte di cassazione sarebbe (sarebbe stata) imposta dal favor impugnationis (principio enucleabile dall'art. 568, comma 5, c.p.p. e più volte affermato dalle Sezioni unite: da ultimo, 29 marzo 2007 n. 27614, in Cass. pen., 2007, p. 4464).

Corollario ulteriore della decisione è che anche le istanze di riesame presentate per mezzo del servizio postale possono essere affidate a un'agenzia privata di recapiti, tenuto conto di quanto dispongono gli artt. 309 e 324 c.p.p. (quest'ultimo nell'interpretazione fornitane dalle Sezioni unite e di cui postea).

 

3. Dal fatto che la sentenza in rassegna non risulti avere precedenti noti non può inferirsi che il principio in essa affermato sia una novità. È molto probabile, infatti, che esso per la prima volta abbia formato oggetto di una "questione" e che in svariate circostanze precedenti, per essere stata pacificamente ritenuta ammissibile l'impugnazione spedita mediante servizio di recapito postale privato, il problema non si sia neanche posto e non sia, quindi, mai approdato al vaglio del giudice di legittimità.

Ma dal fatto che la sentenza sia da condividere e che gli argomenti spesi a suo sostegno siano incontrovertibili non può essere tratto l'ulteriore corollario che la questione sia chiusa per sempre. Nulla infatti garantisce, per il futuro, che l'ipotesi virtuosa persista nel trend interpretativo e che non si affermino, in seno alla giurisprudenza di legittimità, decisioni di segno opposto.

Solo chi non abbia dimestichezza con le oscillazioni da sempre coessenziali a questa giurisprudenza e la immagini come il migliore dei mondi possibili può coltivare opposti convincimenti o nutrire illusorie speranze. Poco più di tre anni or sono, commentando favorevolmente una decisione (Cass., sez. I, 24 giugno 2009 n. 29871, in Cass. pen., 2010, p. 3494) che aveva affermato la (ovvia) impugnabilità per cassazione dell'ordinanza che decide sull'istanza di correzione dell'errore materiale, con un revirement rispetto a una precedente e inopinata decisione di segno contrario (Sez. I, 8 maggio 2002 n. 23176, ivi, 2003, p. 544), scrivevamo che "la storia della Corte ci ha insegnato che spesso [...] prevale il principio per cui la moneta cattiva scaccia quella buona" e, ancora, che, "nell'interpretazione giurisprudenziale, di ovvio oramai c'è ben poco, per la cronica oscillazione delle decisioni anche su conclusioni incontrovertibili".

Tuttavia, con troppa fiducia nelle virtù della ragion pura, e certamente con una dose di eccessiva ed evitabile ingenuità, aggiungemmo che con quella sentenza la questione era definitivamente chiusa. Senza sapere che, nel momento stesso in cui scrivevamo, un altro collegio della Corte di cassazione aveva ripetuto l'errore commesso dalla prima sentenza, riaprendo la questione (Cass., sez. V, 15 ottobre 2009 n. 43989, in C.e.d. Cass., n. 245094).

Ecco perché la cautela è d'obbligo anche con riferimento alla pronuncia che qui si commenta.

Nell'incipit della presente nota non a caso abbiamo fatto cenno a richiami di precedenti specifici in materia di impugnazioni penali proposte mediante l'utilizzo del servizio postale.

Già altrove ci siamo soffermati sull'argomento, ma repetita iuvant, quanto meno in funzione preventiva. Lo notavamo oltre quattro anni fa, commentando in termini favorevoli una decisione delle Sezioni unite che erano dovute nuovamente intervenire sulla possibilità di proporre istanza di riesame mediante l'uso del servizio postale.

Non è qui il caso di ripercorrere il faticoso cammino cui tale questione è andata incontro perché alla fine si affermasse la soluzione corretta. Basterà solo ricordare che dopo una ineccepibile sentenza delle Sezioni unite (11 maggio 1993 n. 8, Esposito Mocerino, in Cass. pen., 1994, p. 34) con la quale era stato affermato il principio secondo cui la richiesta di riesame di misure cautelari, sia personali, sia reali, poteva essere proposta anche mediante telegramma o con atto trasmesso a mezzo raccomandata, a norma dell'art. 583 c.p.p., alcune decisioni di sezioni semplici (tra esse, particolarmente diffusa, Sez. II, 31 ottobre 2003 n. 45795, ivi, 2004, p. 2940, con nostro commento) avevano ritenuto che la proposizione del riesame di misure cautelari reali non fosse consentita mediante il ricorso al servizio postale.

Come si è detto, è stato necessario un ulteriore intervento delle Sezioni unite (Sez. un., 20 dicembre 2007 n. 230/2008, in Guida dir., 2008, fasc. 4, p. 81, con nota di chi scrive) per ripristinare i nessi elementari di una sintassi stravolta.

Sarebbe grave iattura se anche con riguardo alla questione qui affrontata e correttamente risolta si dovesse assistere ad una analoga telenovela.