ISSN 2039-1676


10 febbraio 2014 |

Fatti e buone intenzioni. A proposito della riforma delle sanzioni penali

Editoriale

 1. Una delle non poche Commissioni di studio nominate dal Ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri nella primavera scorsa aveva come compito quello di «elaborare proposte di interventi in tema di sistema sanzionatorio penale», provvedendo alla «prospettazione dei criteri e delle direttive per la elaborazione di uno o più testi normativi che muovano anche delle conclusioni cui altre commissioni parlamentari o ministeriali sono eventualmente pervenute» (D.M. 10 giugno 2013. N.d.r.: per il testo della relazione conclusiva e dell'articolato elaborato dalla Commissione stessa, presieduta dal Prof. Palazzo, clicca qui).

Apparve subito significativa la scelta del Ministro di riaprire il discorso sul "sistema sanzionatorio" considerato nel suo complesso. Pur essendo tutti ben consapevoli della innaturale scissione tra riforma del sistema sanzionatorio e riforma del codice, tuttavia valeva probabilmente la pena di tentare quantomeno di mettere ordine nello stratificato guazzabuglio sanzionatorio senza avventurarsi sulla strada, certo maestra ma impraticabile, della riforma del codice. Anzi, va dato al Ministro di aver saputo resistere alla tentazione della ennesima Commissione "ornamentale" per lo studio della riforma del codice, alzando però contemporaneamente il tiro verso una riforma, certamente non organica del diritto penale, ma orientata a raggiungere risultati di maggiore sistematicità seppure nel limitato (!) campo delle sanzioni.

In fondo, l'idea di «elaborare proposte di interventi in tema di sistema sanzionatorio penale» superava quella inveterata logica emergenziale, peraltro del tutto plausibile nelle instabili condizioni delle nostre perenni emergenze, di provvedere sui più caldi fronti processuale ovvero esecutivo-penitenziario, spesso con riforme non solo puntiformi ma addirittura "aritmetiche", che con lo spostamento di una soglia numerica sono però capaci di produrre - si direbbe "a buon mercato" - risultati indubbiamente consistenti.

La prospettiva di un impegno di tipo finalmente sistematico sembrerebbe corrispondere, in effetti, a un certo qual mutamento di clima, più consensuale e più favorevole a riforme di qualche respiro. Se ne vedono molti segnali. Il più autorevole viene dal Capo dello Stato, che nel suo messaggio alle Camere dell'8 ottobre 2013 apre l'elenco delle strade da percorrere per rimediare al sovraffollamento carcerario indicando le "innovazioni di carattere strutturale" tra cui «le pene limitative della libertà personale, ma "non carcerarie"». Del pari molto significativo il mònito del Primo Presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, all'inaugurazione dell'anno giudiziario: «Sembra che qualcosa cominci a muoversi. Si avvertono segni di un rinnovamento teso a realizzare scelte innovative, inserite in una visione politica proiettata nel futuro, capace di staccarsi dei una società storicamente vischiosa, corporativa e frammentata, alla quale corrispondono un sistema economico scarsamente competitivo e un apparato burocratico farraginoso. Ciò che occorre è che si facciano riforme strutturali, di contenuto. Non riforme ad horas, per parti separate, inseguendo le convenienze del momento e non ponderate in prospettiva». Bisogna puntare «non più su una mera interpolazione della legislazione vigente, ma su riforme capaci di concentrarsi su alcuni grandi temi prioritari senza pregiudiziali ideologiche». Incisivamente, nella stessa occasione, il Procuratore Generale presso la Cassazione, Gianfranco Ciani, ha affermato che «ciò che va ulteriormente percorso è un cammino più coraggioso verso la deflazione carceraria attraverso una completa razionalizzazione del sistema sanzionatorio», precisando altresì che la «variegatura delle possibili sanzioni (...) avrebbe il duplice vantaggio, (...) non soltanto di alleviare la situazione carceraria, ma soprattutto di elidere l'effetto criminogeno della struttura carceraria».

Anche l'avvocatura penale, sul punto delle sanzioni, spinge nella stessa direzione. Addirittura, come si sa, l'Unione delle Camere Penali Italiane non cessa di coltivare l'idea di una rifondazione dell'intero codice e, in quello spirito e con quella aspirazione, ha interamente dedicato il suo congresso nazionale di Novara del giugno 2012 al tema del sistema sanzionatorio. Nella recente "inaugurazione dell'anno giudiziario dei penalisti" che l'UCPI ha tenuto a Firenze il 1° febbraio scorso, pieno è stato il consenso degli avvocati all'idea della riforma "sistematica" delle sanzioni.

Per quanto riguarda poi la dottrina è quasi scontato ricordarne l'orientamento del tutto favorevole, anzi addirittura impetrante una riforma organica del sistema sanzionatorio: basterebbe ricordare i lavori del I Congresso nazionale che l'allora neonata Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale intese dedicare proprio al tema della pena e del sistema sanzionatorio (novembre 2012). Parole forti ha espresso al riguardo uno studioso equilibrato e attento alla concretezza, come David Brunelli: «Proporre ancora - come si sente dire in questi giorni a proposito dei compiti delle commissioni ministeriali di nuova istituzione - agli studiosi di fabbricare ordigni di pronto impiego per tamponare le falle, è una scelleratezza pari a (o peggiore di) quella di decidere di non fare nulla». «In assenza di una rifondazione radicale, qualunque intervento contingente, fosse anche quello tecnicamente più raffinato e politicamente più condiviso, è destinato a sicuro fallimento».

Insomma, davvero molti e univoci sono i segnali che paiono rivelare l'assunzione di un atteggiamento riformistico di più ampio respiro. E per la verità non manca qualche indizio che anche il legislatore - governo e parlamento - abbia assunto una nuova consapevolezza al riguardo. Fu Paola Severino, nella sua veste di Ministro della giustizia, a proporre il disegno di legge sulla introduzione della detenzione domiciliare tra le pene principali. Da quella matrice trae sostanzialmente origine la proposta di legge dell'On.le Donatella Ferranti (AS 925), che sembra ora avvicinarsi al traguardo dell'approvazione parlamentare e di cui diremo tra breve.

Questo era il clima in cui la Commissione ministeriale per la revisione del sistema sanzionatorio aveva iniziato i propri lavori, sempre peraltro dotata di quello spirito di concretezza e di realismo, da tutti i commissari professato, ma specialmente da quelli professionalmente calati nella quotidiana realtà applicativa.

 

2. La Commissione delimitò, innanzitutto, l'ampio spettro del suo compito ritenendo di non dover affrontare il tema della depenalizzazione, sulla base anche del fatto che erano ancora freschi i lavori della precedente Commissione ministeriale istituita dal Ministro Severino e presieduta da Antonio Fiorella. Ritenne, dunque, di concentrare il proprio impegno prevalentemente sulla revisione del catalogo sanzionatorio delle pene principali e sulla sospensione condizionale della pena, nonché sugli ineludibili rapporti di quest'ultima con l'affidamento in prova, senza entrare nel campo più propriamente dell'esecuzione penitenziaria, opportunamente affidato ad altra Commissione.

La Commissione, però, non è stata affatto insensibile alle contingenti esigenze che venivano via via manifestandosi, e dette pertanto prova di duttilità nell'adattare il proprio programma di lavoro e i propri obiettivi alle sollecitazioni provenienti da varie istanze e situazioni. Senza, però, perdere di vista il disegno originario e complessivo: anche a costo di qualche piccolo sacrificio nell'organizzazione dei lavori. E furono due i documenti ad oggetto più delimitato che la Commissione varò nell'ottobre scorso prima di quello finale.

Il primo documento interinale è costituito da una proposta di revisione della preclusione assoluta all'accesso ai benefici penitenziari da parte dei soggetti autori di reati di cui all'art. 4-bis, comma 1, dell'ord. penit. per il solo fatto della loro mancata "collaborazione" (ai sensi dell'art. 58-ter ord. penit.). Considerato che le ragioni personali della mancata collaborazione possono anche non essere espressione di mancata rieducazione e considerato, altresì, che tale preclusione rende l'ergastolo una detenzione ineluttabilmente perpetua (c.d. ergastolo ostativo), vi sono buone ragioni di ordine costituzionale, anche sotto il profilo della compatibilità con la giurisprudenza di Strasburgo, per rivedere la disposizione in questione. La proposta della Commissione, senza prevederne l'abrogazione secca, mirava a trasformare l'attuale presunzione di non rieducatività in assenza di collaborazione da assoluta in relativa.

Il secondo documento interinale trae origine dal fatto che, poco dopo l'avvio dei lavori, il 4 luglio 2013, la Camera dei deputati approvava in prima lettura la proposta di legge "Ferranti e altri", contenente - oltre la sospensione del procedimento con messa alla prova - delega per l'introduzione della detenzione domiciliare quale pena principale di sostituzione della detenzione carceraria, da irrogare in sede di cognizione. A questo punto, d'intesa con l'Ufficio legislativo del ministero, la Commissione ritenne di proporre un consistente emendamento a quel testo, che avrebbe dovuto esser presentato dal governo nella fase successiva dell'iter parlamentare, verosimilmente in Senato. L'intento del documento era duplice e, indubbiamente, ambizioso. Da un lato, si tendeva ad ampliare la portata del progetto di legge sia sotto il profilo quantitativo, dilatando il campo d'incidenza della detenzione domiciliare rispetto a quella carceraria, sia sotto il profilo qualitativo, non limitando l'alternativa alla detenzione domiciliare ma prevedendo anche altre tipologie di pene, in particolare prescrittive. Dall'altro lato, l'emendamento proposto cercava di realizzare una sorta di virtuosa gradualità riformistica, nel senso che proponeva soluzioni di "pronto uso" ma coerenti con quella revisione più organica del sistema sanzionatorio cui la Commissione si sarebbe poi dedicata in esecuzione del suo mandato principale. In realtà, l'iter legislativo prese in Senato un'altra piega: dopo qualche iniziale difficoltà e in mancanza di un diverso input governativo, la Commissione giustizia preferì puntare sull'abbinamento della depenalizzazione agli originari contenuti del progetto, approvandolo quindi il 21 gennaio scorso.

 

3. Mentre la Commissione ministeriale era tornata, approssimandosi tra l'altro la sua scadenza, ai suoi obiettivi originari, incalzava l'urgenza derivante dai termini dettati dalla Corte di Strasburgo (maggio 2014!). Già c'era stato il primo decreto legge "svuota carceri" del 1° luglio 2013, n. 78, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 78, che - tra l'altro - ha opportunamente ridimensionato le preclusioni alle misure alternative nei confronti dei condannati recidivi. Poi è la volta del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 146, col quale - tra l'altro - si allargano i presupposti per la concessione dell'affidamento in prova e si dilatano gli sconti di pena della liberazione anticipata. Dopo una non facile navigazione in Commissione giustizia, la legge di conversione (AC 1921) è stata approvata in prima lettura dalla Camera con voto di fiducia del 4 febbraio scorso. Questo è ciò che in sostanza abbiamo sul tappeto.

Indubbiamente, l'azione del governo è stata segnata pesantemente dall'urgenza e bisogna dare atto che, sotto la spada di Damocle della sentenza Torreggiani di Strasburgo, i rimedi non potevano che essere di questo tenore. Cioè, ancora una volta interventi non solo operanti sul fronte preferito e di più immediato impatto dell'esecuzione penitenziaria, ma anche consistenti in quelle che il Primo Presidente della Cassazione chiama "mere interpolazioni della legislazione vigente" e che potrebbero esser dette, specie le ultime, riforme "aritmetiche" dal sicuro e facile effetto immediato, anzi retroattivo.

Dall'altro lato, sul tappeto c'è l'originario progetto "Ferranti" che si appresta probabilmente a tagliare il traguardo della terza lettura alla Camera. Difficile immaginare che, tra i provvedimenti urgenti del governo e il progetto di legge "Ferranti", tutto parlamentare sia nella sua proposta che nella sua elaborazione, rimanga spazio - almeno in un lasso di tempo ragionevole - per mettere in campo riforme di più ampio respiro. Sia chiaro: il progetto oggi "Ferranti" e in origine "Severino" ha indubbi meriti e assume anche un significato in qualche modo "strategico" a fronte della perdurante ed invincibile vischiosità in cui annaspa ogni coraggioso programma di revisione radicale del nostro sistema sanzionatorio. In effetti, quel testo riesce per la prima volta a insidiare il primato della pena carceraria sul piano delle tipologie sanzionatorie e nella fase già della cognizione, superando anche la tradizionale logica della discrezionalità sostitutiva con la quale si rimette sempre al giudice la scelta sulle pene diverse dal carcere, che invece, al di fuori della prospettiva di individualizzazione risocializzativa, è opzione di politica sanzionatoria necessariamente legislativa.

Dato volentieri atto di ciò, rimane una forte sfasatura tra il limitato impatto del testo che si avvia a diventare legge e gli orizzonti che aveva cercato di schiudere la Commissione ministeriale, interpretando quella sorta di idem sentire che pare ormai circolante tra teorici e pratici del diritto penale, come comprova il «pieno consenso» manifestato autorevolmente dal Presidente Santacroce nei confronti dei risultati della Commissione ministeriale.

 

4. Sarebbe un fuor d'opera indugiare qui in un'analisi dettagliata dei vari profili su cui si poteva "fare di più". E, d'altronde, il Ministro Cancellieri non ha mancato, anche nell'"inaugurazione" fiorentina del 1° febbraio scorso prima ricordata, di richiamare i limiti - politici, ovviamente - delle possibilità di riforma: «le riforme possibili non sono pertanto quelle migliori, assumendo in questa definizione - va da sé - un punto di vista spiccatamente soggettivo, ma sono quelle che danno le maggiori garanzie di buon funzionamento», in relazione segnatamente alla attuale complessità della compagine socio-politica e alla necessità del massimo coinvolgimento possibile di tutti coloro che saranno protagonisti della loro attuazione.

Detto ciò, non possiamo però fare a meno di due o tre rapide notazioni. Con riguardo all'immediata operatività della detenzione domiciliare in funzione sostitutiva della pena carceraria come comminata dalle vigenti previsioni incriminatrici ed irrogata dal giudice di cognizione, le differenze tra il progetto parlamentare e le proposte della Commissione sono certo rilevanti ma non oppositive. I due testi concordano sulla sostituzione dell'arresto sempre e comunque con la detenzione domiciliare. Mentre, per i delitti, il progetto adotta il criterio della pena edittale astratta, prevedendo la sostituzione della reclusione con la reclusione domiciliare quando si tratta di delitti puniti nel massimo fino a tre anni (sostituzione obbligatoria) ovvero fino a cinque (sostituzione discrezionale); la Commissione aveva invece adottato il criterio della pena in concreto, prevedendo la sostituzione obbligatoria per reclusioni fino a due anni, discrezionale fino a quattro.

Con riguardo alle prospettive di più lungo termine, la Commissione aveva ritenuto di arricchire con juicio il catalogo delle tipologie sanzionatorie utilizzabili come pene principali dal futuro legislatore, dettando i principi direttivi della disciplina generale di ciascuna specie di pena. E così, accanto alla detenzione domiciliare, vi sono le pene prescrittive e le pene interdittive, senza contare l'articolata disciplina della confisca estrapolata dalla vetusta categoria delle misure di sicurezza e considerata come un genere sanzionatorio autonomo. La Commissione ha avuto chiarissimo fin dall'avvio dei suoi lavori che uno dei nodi centrali delle nuove tipologie sanzionatorie è quello dei rapporti tra queste ultime e la sospensione condizionale della pena, e di conseguenza delle sorti dell'affidamento in prova. Pur non avendo avuto il tempo, anche a causa delle "diversioni" di cui s'è detto, di arrivare a formulare proposte articolate sul punto, la Commissione aveva già individuato le possibili linee evolutive della sospensione condizionale. Da un lato, rispetto all'area della pena carceraria è immaginabile uno sviluppo anche forte della sospensione (con verosimile assorbimento dell'affidamento in prova) in chiave essenzialmente probatoria e risocializzativa, con "pienezza di contenuti" e largo spazio ad una necessaria discrezionalità giudiziale. Dall'altro, rispetto all'area delle pene non carcerarie è immaginabile una tendenza quasi opposta, nel senso di un ridimensionamento della sospensione che può arrivare per taluno fino alla sua esclusione, almeno per alcune delle nuove pene, ferma restando in ogni caso l'opportunità di un irrigidimento dei suoi presupposti applicativi e di una semplificazione dei suoi contenuti.

Il progetto Ferranti appare decisamente rinunciatario sia sul piano della tipologie sanzionatorie sia su quello dei rapporti con la sospensione condizionale. La detenzione domiciliare è l'unica pena alternativa non carceraria e nemmeno una parola è dedicata al rapporto tra questa pena e la sospensione condizionale. Così che il legislatore delegato di troverà a scegliere senza guida su un nodo molto delicato dell'intera disciplina.

Fu, infine, molto "sofferto" in Commissione il problema dell'impossibilità di eseguire la detenzione domiciliare per mancanza di un domicilio adeguato. "Sofferto" non nel senso di incomponibili contrasti di vedute, quanto piuttosto nel senso della profonda consapevolezza che, da un lato, questo è il punto sul quale si giocano le sorti della detenzione domiciliare e, dall'altro, qui si annidano i rischi di una profonda sperequazione di trattamento se la disponibilità del domicilio dovesse essere la linea discriminante tra chi può beneficiare della nuova sanzione e chi è invece costretto a rimanere nell'inferno carcerario. Il problema è dunque davvero tale da generare disagio, specie avendo consapevolezza che la detenzione domiciliare è probabilmente destinata ad essere in ogni caso l'asse portante della riforma. La Commissione ha immaginato una soluzione articolata in due fasi cronologicamente distinte. A lungo termine, si è proposta l'istituzione di quelli che sono stati chiamati "luoghi di dimora sociale", destinati appositamente all'esecuzione della nuova pena e modellati nei limite del possibile sulle caratteristiche appunto dell'abitazione domestica. Si può anche pensare che, una volta a regime la riforma, i costi di gestione di questi "luoghi" non sarebbero più alti, o addirittura potrebbero essere inferiori rispetto a quelli attuali di gestione carceraria. A breve termine, in attesa della realizzazione dei "luoghi di dimora sociale", si è proposto il ricorso ad una forma speciale di semidetenzione per così dire "aggravata" da speciali obblighi e limitazioni per il tempo trascorso in libertà.

Il progetto approvato dal Senato mantiene sul punto la più semplice ma certo potenzialmente discriminatoria soluzione del ritorno al carcere in caso di indisponibilità del domicilio.

Un'esigenza di equilibrio complessivo del sistema ha portato la Commissione ad una revisione anche della "parte alta" dell'edificio sanzionatorio, rimodulando i limiti massimi della reclusione nonché confinando l'ergastolo ai casi di concorso di reati gravissimi, nella piena consapevolezza comunque che questa è materia davvero dominata dalle valutazioni della politica.

 

5. A questo punto non è fuor di luogo interrogarci sulle ragioni di un'apparente contraddizione. Come abbiamo visto, sembrerebbe ormai consolidato il consenso e il favore, tra tutti coloro che si occupano del sistema penale, per una riforma organica delle sanzioni. Però, le esitazioni della politica su questo fronte sono sempre tante e forti: abbiamo visto la distanza esistente tra il pur meritorio progetto Ferranti e le conclusioni della Commissione ministeriale, senza che il ministero abbia ritenuto di doverla accorciare. Peraltro, è invece sempre intenso il lavorìo riformistico di tipo "interpolativo" più che "novellistico" su disposizioni processuali o di ordinamento penitenziario, sempre dettato dall'urgenza di acquisire risultati immediatamente spendibili. E ciò è abbastanza comprensibile, sia perché è nel momento processuale e in quello carcerario che i problemi si presentano con tutta la loro urgenza, talvolta di vere e proprie lacerazioni della legittimità costituzionale e convenzionale; sia perché è agendo su questi fronti che si possono raggiungere i maggiori risultati al minimo "costo", giuridico-normativo e politico.

In effetti, qualunque riforma che voglia operare con più largo respiro sul sistema sanzionatorio non cessa di produrre qualche diffidenza nel legislatore, parlamentare o governativo. In primo luogo, perché i suoi risultati "efficientistici" sono più incerti, meno facilmente calcolabili e proiettati comunque in un futuro più lontano di quanto non sia possibile ottenere con le riforme "interpolative" o "aritmetiche".

In secondo luogo, e soprattutto, perché le riforme che intervengono su disposizioni processuali o di ordinamento penitenziario hanno per lo più un alto grado di tecnicismo, e talvolta di vera e propria complicatezza che le rende se non estranee all'opinione pubblica quantomeno poco "appassionanti". Completamente diverse sono le cose per quanto concerne le riforme del sistema sanzionatorio, specie quando riguardano la tipologia delle pene, avendo tutti ben chiara la differenza che passa tra una pena carceraria e una detenzione domiciliare o un lavoro di utilità sociale, ed essendo un po' tutti inclini ad "appassionarsi" alle sorti del condannato e alla sua punizione. E poiché, ad onta di tutte le statistiche serie sulla criminalità, la cosiddetta opinione pubblica finisce per identificarsi con l'opinione dei media e con il loro allarmismo pagante, è facile comprendere come anche il più illuminato degli uomini politici tenda ad assumere atteggiamenti di perenne vischiosità più che di cautela, impedendo così che dalle buone intenzioni si passi ai fatti.