ISSN 2039-1676


14 marzo 2014 |

Una importante sentenza della Corte di Giustizia UE in materia di diretta applicabilità  delle disposizioni della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea

Nota a Corte di giustizia UE, Grande Sezione, sent. 15 gennaio 2014, Association de médiation sociale, causa C-176/12

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1. Numerose decisioni della Corte di Giustizia, a partire dalla notissima Stauder (Corte giust.  12 novembre 1969, causa 29/69) che ha rivoluzionato la materia inerente la protezione dei diritti fondamentali in Europa occupandosi della compatibilità con il diritto dell'Unione della fornitura di burro a prezzo ridotto ai beneficiari di determinate forme di assistenza pubblica, toccano principi fondamentali di diritto interno e sovranazionale assumendo effetti che non possono dirsi confinati allo specifico settore di appartenenza, tendendo a travalicarne il campo per rivestire una portata generale che ne impone la conoscenza ad ogni interprete.

Si tratta, peraltro, di un fenomeno in espansione, soprattutto in seguito al conferimento alla Carta dei Diritti Fondamentali del rango di diritto primario dell'Unione, trovandosi l'interprete al cospetto di nuovi strumenti normativi la cui applicabilità nell'ordinamento interno è ancora, in parte, da definire

E' questo sicuramente il caso della sentenza qui commentata che, pur non riguardando direttamente il diritto penale sostanziale o processuale, assume un imprescindibile rilievo  per l'interprete con riguardo ai rapporti fra ordinamento interno e ordinamento dell'Unione, in quanto involgente le modalità applicative delle disposizioni della Carta dei Diritti Fondamentali nonché il ruolo del giudice.

 

2. La domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull'interpretazione dell'art. 27 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, nonché della direttiva 2002/14/CE del Parlamento e del Consiglio, istitutiva di un quadro generale relativo all'informazione e la consultazione dei lavoratori, ed era stata proposta nell'ambito di una controversia che vedeva contrapposti l'Association de Médiation sociale francese (AMS) all'Union locale des syndicats CGT ed altri, in merito alla creazione, da parte dell'unione sindacale territorialmente competente, di organismi di rappresentanza sindacale in seno all'AMS.

In particolare, la Cour de cassation aveva deciso di sospendere il giudizio in sede di gravame avverso la decisione del Tribunal d'Instance di Marsiglia - che aveva ritenuto di disapplicare le disposizioni di cui all'art. L.1111-3 del code du travail francese ritenendole non conformi al diritto dell'Unione - e di sottoporre alla Corte di giustizia due questioni pregiudiziali.

La suddetta disposizione del codice francese del lavoro - già ritenuta conforme  alla Costituzione dal Conseil constitutionnel - esclude dal calcolo dei lavoratori effettivi (il cui numero deve essere preso in considerazione, secondo la normativa interna, per verificare la necessità di elezione di delegati sindacali nell'unità produttiva che occupi più di undici dipendenti o di comitati d'impresa nell'unità che occupi più di cinquanta dipendenti) gli apprendisti, i lavoratori titolari di un contratto di inserimento professionale o di un contratto di accompagnamento al lavoro, nonché i lavoratori titolari di contratti di qualificazione  professionale. 

Con il proprio rinvio pregiudiziale, quindi, la Cour de cassation poneva le due questioni, trattate dalla Corte congiuntamente, con le quali intendeva sapere se il diritto fondamentale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori, riconosciuto dall'articolo 27 della Carta, come precisato dalle disposizioni della direttiva 2002/14, possa essere invocato in una controversia tra singoli al fine di verificare la conformità di una misura nazionale di trasposizione direttiva; e, in caso di risposta affermativa, se l'art. 27 della Carta e le norme della direttiva debbano essere interpretate nel senso che ostano ad una disposizione legislativa nazionale che esclude dal computo degli effettivi dell'impresa, segnatamente per stabilire le soglie legali per la creazione degli organismi di rappresentanza del personale, i lavoratori titolari di contratti agevolati.

 

3. Nella precedente sentenza del 18 gennaio 2007 resa nella causa C-385/05, Confédération générale du travail, la Corte aveva già precisato che una normativa nazionale come quella in discussione nel procedimento principale, che esclude dal calcolo degli effettivi dell'impresa una determinata categoria di lavoratori, produce la conseguenza di sottrarre taluni datori di lavoro agli obblighi previsti dalla direttiva 2002/14 e di privare i loro dipendenti dei diritti riconosciuti da quest'ultima. Pertanto, secondo la Corte, essa è idonea a svuotare tali diritti della loro sostanza, togliendo così alla direttiva il suo effetto utile. Nonostante, pertanto, l'incentivazione all'occupazione invocata dal governo francese costituisca un obiettivo legittimo di politica sociale e gli Stati membri dispongano di un ampio margine di discrezionalità per attuarla, tale discrezionalità non può risolversi nello svuotare di ogni sostanza l'attuazione di un principio fondamentale del diritto dell'Unione o di una norma di tale diritto.

Conseguentemente, secondo i giudici di Lussemburgo, l'art. 3 paragrafo 1 della direttiva 2002/14, osta ad una norma nazionale che esclude i titolari di contratti agevolati dal calcolo degli effettivi dell'impresa al fine della determinazione delle soglie legali di istituzione degli organismi di rappresentanza.

Il nodo centrale della decisione, che involge una tematica di portata generale afferente l'efficacia delle direttive e delle disposizioni della Carta e la loro applicabilità nelle controversie fra privati, attiene, tuttavia, in primo luogo alla questione relativa al quesito se lo stesso art. 3 paragrafo 1 della direttiva soddisfi le condizioni per produrre un effetto diretto e, quindi se sia invocabile tra le parti del procedimento principale.

Secondo la Corte, il margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri nell'adozione dei provvedimenti necessari per l'adozione della direttiva non pregiudica il carattere preciso ed incondizionato dell'obbligo di prendere in considerazione tutti i lavoratori stabilito nell'art. 3 e, pertanto, tale norma soddisfa le condizioni necessarie - dettate dalla Corte a partire dalla decisione del 15 luglio 1964 nella causa C-6/64, Costa/Enel - per produrre un effetto diretto.

Nondimeno, come la Corte osservava nella nota sentenza Pfeiffer  (Corte giust. 5 ottobre 2004, cause riunite C-397/01 - C403/01, Pfeiffer, Racc. I- 8835) e ribadiva nella ancor più nota Kucukdeveci  (Corte giust. 19 gennaio 2010, Kucukdeveci, C-555/07, Racc., I-365)  anche una disposizione chiara, precisa ed incondizionata di una direttiva volta a conferire diritti od imporre obblighi ai singoli, non può essere applicata in quanto tale nell'ambito di una controversia intercorrente tra privati (Kucukdeveci cit., punto 46).

Nel caso di specie, essendo l'AMS un'associazione di diritto privato, nei suoi confronti non possono essere applicate le disposizioni di cui alla direttiva 2002/14 (così la Corte in Dominguez, sentenza del 24 gennaio 2012, causa C-282/10, non ancora pubblicata in Racc., punto 42).

 

4. Entra in gioco, a questo punto, lo strumento principale che, negli ultimi anni, la Corte ha sollecitato quale più efficace estrinsecazione dell'obbligo di collaborazione che, ai sensi dell'art. 4 n. 3 TUE grava sul giudice nazionale: l'obbligo di interpretazione conforme.

Già dalla citata Costa/ Enel si evinceva, infatti, che il punto cruciale è rappresentato dalla consistency, dalla compatibilità, al punto che una misura nazionale incoerente con il diritto della Comunità e, poi, dell'Unione, non può essere applicata.

Sembrerebbe emergere dalle più recenti pronunzie della Corte di giustizia che quando il risultato sperato di uniformità del diritto interno al diritto dell'Unione può essere ottenuto accantonando gli ostacoli immanenti nella legge nazionale, ciò può essere fatto mediante il solo principio di primazia, senza far ricorso alla verifica delle condizioni per l'operatività dell'effetto diretto oltre che senza aver riguardo alle procedure interne delle Corti nazionali.

Come chiarito nella già citata Pfeiffer, l'interpretazione conforme con riguardo al diritto dell'Unione Europea si estrinseca nell'obbligo gravante su tutti gli interpreti del diritto nazionale  "di prendere in considerazione tutte le norme del diritto interno - ed utilizzare tutti i metodi di interpretazione ad esso riconosciuti - per addivenire ad un risultato conforme  a quello voluto dall'ordinamento comunitario" (sul punto, anche, Adeneler, sentenza del 4 luglio 2006, C-212/04, in Racc., I-6057, nonché Dominguez, cit.): si tratta di una estrinsecazione della primazìa e della leale collaborazione; essa è "effetto strutturale" della norma comunitaria, in quanto diretta ad assicurare il continuo adeguamento del diritto interno al contenuto ed agli obiettivi del diritto dell'Unione.

Nel caso di specie, tuttavia, secondo la Corte, lo strumento di chiusura rappresentato dall'interpretazione conforme, non può essere invocato: invero, nella citata Dominguez, ma già in precedenza in Impact (sentenza del 15 aprile 2008, C-268/06, Racc., I-2483)  la Corte aveva precisato che l'obbligo per il giudice nazionale di far riferimento al contenuto di una direttiva nell'applicazione e nell'interpretazione delle norme pertinenti del proprio diritto interno incontra un limite nei principi generali del diritto e non può servire per un'interpretazione contra legem del diritto nazionale.

Secondo la Corte, nel procedimento principale risulta dalla decisione di rinvio della Cour de cassation che il giudice interno si trovi di fronte a detto limite, talché l'art. L.1111-3 del code du travail francese non può essere interpretato in modo conforme alla direttiva 2002/14, pena una interpretazione contra legem del diritto interno.

 

5. Si giunge qui al nodo gordiano affrontato dalla Corte nella importante decisione in esame: occorre stabilire, infatti, se la situazione oggetto del procedimento principale sia simile a quella esaminata nella causa conclusasi con la citata sentenza Kucukdeveci sì da comportare che l'art. 27 della Carta, da solo o in combinato disposto con le norme della direttiva 2002/14, possa essere invocato in una controversia tra privati al fine di disapplicare, se del caso, la norma nazionale non conforme alla citata direttiva.

L'Avvocato generale Cruz Villalón aveva sostenuto, nelle proprie conclusioni, una particolare forma di "effetto orizzontale": qualificando l'art. 27 della Carta come un "principio" ai sensi dell'art. 52, par. 5, cioè come disposizione che può essere invocata dinanzi ad un giudice "solo ai fini dell'interpretazione e del controllo di legalità degli atti legislativi e esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi dell'Unione e da atti di Stati membri allorché essi danno attuazione al diritto dell'Unione, nell'esercizio delle loro rispettive competenze, per dare attuazione a tali principi", nonostante la lettera dell'art. 52(5) inibisca il riconoscimento di effetti diretti, anche verticali, dei "principi", aveva tuttavia sollecitato la Corte ad ammettere la possibilità di invocare (anche) orizzontalmente le disposizioni di una direttiva che "concretizzano in modo essenziale ed immediato" il contenuto di un "principio" della Carta come accadrebbe per l'art. 3, paragrafo 1, della Direttiva 2002/14/CE (par. 66). Conseguentemente, spetterebbe al giudice l'obbligo di disapplicare la disposizione contraria del Code du travail.

La Corte segue un'altra strada. Essa premette, con riferimento all'art. 27 della Carta, che i diritti fondamentali garantiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione sono destinati ad essere applicati in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell'Unione.

Il principio, più volte enunciato dalla Corte, che trova un addentellato nelle c.c.d.d. clausole orizzontali della Carta dei Diritti Fondamentali, è stato ribadito con particolare enfasi nella recente Akeberg Fransson, sentenza del 26 febbraio 2013, C-617/10, non ancora  pubblicata in Racc., al punto 10. La Grande Sezione, in particolare, indivuando un legame "meno intenso" fra diritto interno e diritto dell'Unione e, cioè, occupandosi di una situazione in cui "l'operato degli Stati membri non è del tutto determinato dal diritto dell'Unione",  aveva ivi affermato che, qualora al giudice nazionale sia richiesto di verificare la conformità ai diritti fondamentali della disciplina interna attuativa del diritto dell'Unione, egli potrà applicare "gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l'unità e l'effettività del diritto dell'Unione". La possibilità per gli Stati membri di offrire standard di tutela più elevati, sottolineata dalla Corte a partire dalla sentenza del 14 ottobre 2004, nella causa C-36/02, Omega, trova, allora, una sorta di "inversione di tendenza" ogni qualvolta l'applicazione di standard di tutela rischi di compromettere primato, unità ed effettività del diritto dell'Unione.

Nel caso di specie, tuttavia, non v'è necessità di fare ricorso ad un legame "meno intenso" fra diritto interno e diritto dell'Unione, poiché oggetto del procedimento principale è proprio l'attuazione di una direttiva, la 2002/14: conseguentemente, secondo la Corte, l'art. 27 della Carta è destinato a trovare applicazione nel procedimento principale.

Nondimeno, osservano i giudici di Lussemburgo, la disposizione de qua stabilisce che ai lavoratori devono essere garantite, a diversi livelli, l'informazione e la consultazione nei casi e alle condizioni previsti dal diritto dell'Unione nonché dalle legislazioni e dalle prassi nazionali. Osserva la Corte che risulta chiaramente dallo stesso tenore letterale dell'art. 27 che tale articolo, per produrre pienamente i propri effetti, deve essere precisato mediante disposizioni del diritto dell'Unione o del diritto nazionale, non presentando quei connotati di precisione e cogenza che lo rendano immediatamente applicabile.

E' in questo che si estrinsecano le diversità fra le circostanze di cui al procedimento principale e quelle all'origine della citata sentenza Kucukdeveci, nella misura in cui il principio di non discriminazione in base all'età in quella sentenza esaminato, sancito dall'art. 21, par. 1 della Carta, è di per sé sufficiente per conferire ai singoli un diritto soggettivo invocabile in quanto tale.

Diversamente, invece, proprio a cagione della necessità di un supporto attuativo in sede nazionale, l'art. 27 della Carta non può, in quanto tale, essere invocato in una controversia, come quella oggetto del procedimento principale, al fine di pervenire alla conclusione che la norma nazionale non conforme alla direttiva 2002/14 deve essere disapplicata.

Tale conclusione, osserva la Corte, non può essere inficiata da una lettura dell'art. 27 in combinato disposto con le norme della direttiva 2002/14, posto che, non essendo detto articolo sufficiente a conferire ai singoli un diritto invocabile in quanto tale, a diverso risultato non condurrebbe neanche una sua lettura in combinato disposto con le norme della direttiva medesima.

 

6. Resta alla parte lesa dalla non conformità del diritto nazionale al diritto dell'Unione, la possibilità di far valere la giurisprudenza Francovich (sentenza del 19 novembre 1991, Francovich, cause C-6/90 e C-9/90, Racc., I-5357) onde ottenere, ove ne ricorrano i presupposti, il risarcimento del danno subito per il mancato adeguamento del diritto interno al diritto dell'Unione.

Conseguentemente, la Corte ha concluso affermando il seguente principio: L'articolo 27 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, da solo o in combinato disposto con le norme della direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori nella Comunità europea, deve essere interpretato nel senso che esso - ove una norma nazionale di trasposizione di detta direttiva, come l'articolo L. 1111-3 del code du travail francese, sia incompatibile con il diritto dell'Unione - non può essere invocato in una controversia tra privati al fine di disapplicare tale norma nazionale.

 

7. La decisione in commento, chiarissima nelle sue conclusioni, evoca la distinzione fra diritti e principi sanciti dalla Carta dei Diritti Fondamentali e richiama l'interprete ancora una volta all'adozione di tutte le cautele idonee per arrivare al risultato voluto dalla direttiva.

Chiarisce bene, tuttavia, il limite che l'interpretazione conforme trova nei principi generali del diritto e nella interpretazione contra legem del diritto nazionale.

Essa, d'altro canto, evidenzia come talune disposizioni (lo aveva già fatto in modo assai chiaro per il diritto penale la citata Akeberg Fransson, con riferimento al ne bis in idem) come nella stessa Carta - che in ogni caso, con il Trattato di Lisbona,  esce dalla nebulosa della soft law, assumendo il rango di diritto primario dell'Unione, -  esistano disposizioni atte ad essere applicate direttamente ed orizzontalmente nei rapporti fra privati ed altre prive di tale forza cogente.

La peculiarità di tale conclusione resta nella circostanza che, finora, come si evince dalla già citata Kucukdeveci, ma anche dalla Grande Sezione Association Belge des Consummateurs (sentenza del I marzo 2011, causa C-236/09) è soprattutto con riguardo al principio di uguaglianza, vero e proprio metaprincipio del diritto dell'Unione che viene testata questa efficacia diretta ed orizzontale.

Questo il più significativo distinguo fra Association de mèdiation sociale e Kucukdeveci: da un lato, una norma "claudicante", bisognosa dell'attuazione da parte dell'ordinamento nazionale e, pertanto, non in grado di esplicare direttamente i propri effetti nei rapporti fra privati. Dall'altro, una disposizione già perfetta, nella quale il principio di uguaglianza rivela in modo dirompente tutta la sua efficacia e la sua forza, una disposizione che  chiarisce che quel principio, sostenuto da una interpretazione conforme estesa ben oltre gli originari confini, va assumendo un'efficacia straordinaria di riduzione della linea rigida di demarcazione fra fonti di diritto interno e fonti di diritto comunitario, conducendo, mediante l'efficace strumento dell'interpretazione conforme, a un nuovo assetto della giurisprudenza multilivello.