ISSN 2039-1676


09 maggio 2014 |

Alle Sezioni Unite la questione relativa all'incompatibilità  del giudice che abbia precedentemente pronunciato un patteggiamento nei confronti di un coimputato nel medesimo reato associativo

Cass. Pen., sez. V, ord. 4 aprile 2014 (dep. 17 aprile 2014), n. 17078, Pres. Dubolino, Rel. Caputo, Ric. Della Gatta.

 

1. La Quinta Sezione, con l'ordinanza qui pubblicata, si è trovata ad affrontare l'annosa problematica concernente l'eventuale incompatibilità[1] del giudice dibattimentale, che abbia pronunciato sentenza di applicazione della pena nei confronti di un coimputato, a giudicare gli altri concorrenti nel medesimo reato[2].

Per una migliore comprensione della questione, paiono indispensabili alcuni cenni relativi al caso di specie.

Il Tribunale di Roma, a seguito di un decreto di giudizio immediato riguardante una molteplicità di reati (tra cui un'imputazione per associazione per delinquere), applicava sentenza ex art. 444 c.p.p. a un coimputato e procedeva al dibattimento nei confronti di altri due. A questo punto, su sollecitazione della difesa, i giudici si astenevano, aderendo alla tesi per cui la sentenza di patteggiamento già pronunciata contenesse, in relazione al reato di cui all'art. 416 c.p., un'anticipazione del giudizio. Ma tale dichiarazione non veniva accolta dal Presidente del Tribunale, che non ravvisava alcun profilo di incompatibilità, non ritenendo di potersi evincere dalla pronuncia ex 444 c.p.p. che i giudici avessero valutato in alcun modo, neanche implicitamente, la posizione dei singoli coimputati. Veniva quindi proposta istanza di ricusazione, rigettata con ordinanza dalla Corte di appello. Avverso tale pronuncia proponevano ricorso per cassazione i difensori, rilevando che i giudici, almeno in relazione al reato di associazione per delinquere, avrebbero necessariamente operato una valutazione sulla responsabilità penale dei coimputati, avendo ritenuto che almeno due di essi si fossero associati con il patteggiante. Dal canto suo, il Procuratore generale concludeva per il rigetto del ricorso, riassumendo la questione «nell'interrogativo se la valutazione - in astratto e in concreto - operata nel procedimento di applicazione di pena alla luce dell'art. 129 c.p.p. sia riconducibile alla valutazione che diviene rilevante (ossia inquinante) ai fini dell'imparzialità (ossia del pre-giudizio) del giudice».

 

2. Investita del ricorso, la Corte precisa subito la necessità di rimetterlo alle Sezioni unite e prende le mosse da una ricognizione della «giurisprudenza costituzionale in tema di incompatibilità in caso di pluralità di procedimenti nei confronti di concorrenti nel medesimo reato».

In breve, la Cassazione ricorda che una costante giurisprudenza della Corte costituzionale[3] ha risolto in senso negativo l'interrogativo se il giudice che si sia pronunciato in un precedente giudizio sulla responsabilità di alcuni concorrenti, sia colpito da incompatibilità in relazione al processo che venga successivamente celebrato nei confronti degli altri. Infatti, secondo l'insegnamento di tale Corte, non sarebbe ravvisabile un'identità dell'oggetto del giudizio «nell'ipotesi di concorso di persone nel medesimo reato, perché alla comunanza dell'imputazione fa necessariamente riscontro una pluralità di condotte distintamente ascrivibili a ciascuno dei concorrenti, le quali, ai fini del giudizio di responsabilità, devono formare oggetto di autonome valutazioni sotto il profilo tanto materiale che psicologico, e ben possono, quindi, sfociare in un accertamento positivo per l'uno e negativo per l'altro»[4].

Subito dopo, l'ordinanza rimettente precisa che la validità di tali considerazioni è stata delimitata da altre decisioni della medesima Corte, che ha individuato delle "ipotesi estreme" in cui tale regola generale non opera[5].

Tra queste, assume un'importanza decisiva per il caso di specie la sentenza n. 371 del 1996, più volte richiamata dalle difese. Infatti, in tale pronuncia, concernente proprio un reato a concorso necessario, i giudici costituzionali, pur confermando in linea di principio la valenza del precedente orientamento, lo hanno precisato, rilevando come «nel caso in cui non solo vi sia concorso nel medesimo reato ma la posizione di uno dei concorrenti costituisca elemento essenziale per la stessa configurabilità del reato contestato agli altri concorrenti, ai quali soltanto sia formalmente riferita l'imputazione per la quale si procede, la valutazione della posizione del terzo, della quale non si sia potuto prescindere ai fini dell'accertamento della responsabilità degli imputati, costituisce sicuro ed evidente motivo di incompatibilità nel successivo processo a carico del terzo [corsivi aggiunti]». L'incompatibilità, si aggiunge ancora, sussiste «non solo quando nel primo giudizio la posizione del terzo sia stata valutata a seguito di un puntuale ed esaurente esame delle prove raccolte a suo carico, ma anche quando abbia formato oggetto di una delibazione di merito superficiale e sommaria». Come noto, proprio in base a tali considerazioni, la ricordata sentenza ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 34, comma 2, c.p.p., «nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata».

 

3. Nel caso di specie, si trattava dunque di valutare se quest'ipotesi di incompatibilità, introdotta nella sentenza n. 371 del 1996, a partecipare al giudizio nei confronti di un imputato del giudice che abbia pronunciato una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, possa essere estesa anche all'ipotesi in cui la prima decisione sia una sentenza negoziata.

Sul tema, secondo l'ordinanza in esame, sussistono tre diversi indirizzi nella giurisprudenza di legittimità[6].

Un primo orientamento[7] esclude alla radice il configurarsi di tale incompatibilità, soffermandosi sulla particolare natura della sentenza di patteggiamento[8]. Si afferma che il giudice che abbia pronunciato sentenza di patteggiamento «nei confronti di un concorrente nel reato, pur quando quest'ultimo sia necessariamente plurisoggettivo, non è incompatibile con il giudizio degli altri concorrenti che non abbiano patteggiato la pena, data la peculiarità della citata sentenza che non postula la dimostrazione in positivo della responsabilità dell'imputato, ma solo l'accertata inesistenza di cause di non punibilità a norma dell'art. 129 [...], sicché è irrilevante a tale fine la sentenza n. 371 del 1996»[9]. Né assumerebbe rilievo un'argomentazione basata sulla valutazione negativa ex 129 c.p.p.[10] a cui è chiamato il giudice in sede di vaglio dell'accordo: «infatti, la sentenza con la quale il giudice applica la pena su richiesta delle parti [...], non può essere assimilata ad una sentenza che accerta la colpevolezza dell'imputato, né tale accertamento può considerarsi coincidente con la valutazione negativa dell'applicabilità dell'art. 129 [...] che costituisce il presupposto della sentenza anzidetta; pertanto, in tale pronuncia non può ritenersi implicita quella valutazione di responsabilità penale del terzo non imputato che la sentenza [...] n. 371 del 1996 considera causa di incompatibilità del giudice»[11].

Un secondo indirizzo[12] non esclude a priori l'idoneità della sentenza di patteggiamento ad assumere una valenza pregiudicante, ma delimita la portata di questa attitudine all'ipotesi in cui, nel vagliare le posizioni degli altri concorrenti, lo stesso giudice abbia effettuato una concreta delibazione dell'accusa concernente l'imputato rimasto estraneo al patteggiamento[13]. Peraltro, rileva la Corte, tale orientamento è stato confermato anche con riferimento al reato necessariamente plurisoggettivo, affermandosi che non può essere ricusato il giudice che abbia pronunciato sentenza di applicazione della pena nei confronti di un altro soggetto, un tempo coimputato, quando tale decisione - anche se concernente un reato a concorso necessario - «non contenga alcun cenno alla posizione dell'imputato concorrente in quel reato, per il quale il procedimento sia proseguito nelle forme ordinarie»[14]. Sarebbe, invece, configurabile una situazione di incompatibilità ove venga dimostrato che il giudice del patteggiamento non si sia limitato al controllo ex 129 c.p.p., ma abbia proceduto a valutazioni di merito, sufficienti a ledere la posizione del terzo[15].

Infine, un terzo gruppo di pronunce[16] si contrappone agli altri due, sostenendo che, a seguito della più volte citata sentenza n. 371 del 1996, debba ritenersi sussistente un'incompatibilità a giudicare un soggetto, in ogni caso in cui un giudice abbia in una precedente sentenza espresso incidentalmente valutazioni di merito in ordine alla sua responsabilità penale e, quindi, anche quando la sentenza "pregiudicante" sia di patteggiamento. Se è corretto affermare che mediante una sentenza ex 444 c.p.p. il giudice non compie un vero e proprio giudizio di colpevolezza, ciononostante egli perviene comunque a una valutazione di merito sulla regiudicanda, sufficiente a pregiudicare la sua imparzialità nel nuovo giudizio.

Dopo tali considerazioni, la Cassazione esplicita i profili di contrasto tra l'ultimo orientamento e gli altri due.

In breve, il terzo orientamento, a differenza del secondo, riconosce la valenza pregiudicante della sentenza di patteggiamento, nelle ipotesi riconducibili alla sentenza n. 371 del 1996, anche in assenza di alcun esplicito riferimento alla posizione di uno dei terzi coimputati[17]. Mentre, a differenza del primo, ritiene configurabile la causa d'incompatibilità introdotta dalla sentenza n. 371, anche quando la pronuncia in cui è stata vagliata incidentalmente la posizione dell'imputato sia di patteggiamento, in quanto, in tale caso, sarebbe pur sempre necessaria una delibazione sull'inoperatività dell'art. 129 c.p.p., che concretizzerebbe un vero e proprio giudizio incidentale sulla posizione dei concorrenti necessari o di quei correi la cui posizione è strettamente collegata a quella del patteggiante[18].

Infine, i giudici rimettenti, a supporto della prospettiva concernente la riconducibilità della sentenza ex 444 c.p.p. nel quadro delle possibili decisioni pregiudicanti l'imparzialità del giudice, richiamano una pronuncia della Corte costituzionale, ove si è affermato, che la sentenza di patteggiamento presuppone una «valutazione di merito concernente [...] l'inesistenza delle condizioni legittimanti il proscioglimento ex art. 129 c.p.p.»[19].

 

4. In attesa della pronuncia del Collegio allargato della Corte, merita osservare che sussistono già numerosi precedenti specifici nella giurisprudenza costituzionale[20], non richiamati[21] dalla corposa ordinanza di rimessione, che potrebbero essere d'ausilio per la soluzione della questione di diritto.

Infatti, diversi giudici a quo hanno posto al vaglio della Corte costituzionale questioni di legittimità[22] riguardanti l'art. 34 c.p.p. «nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice del dibattimento, che abbia pronunciato sentenza di applicazione della pena nei confronti di un concorrente nel reato, a giudicare altri concorrenti nel medesimo reato»[23].

Se è pur vero che, in tali occasioni, la Corte si è sempre pronunciata in termini d'infondatezza, essa ha comunque sviluppato alcune considerazioni interessanti. Merita rilevare che un'ordinanza del 1997 ha risolto un caso in cui un giudice a quo lamentava di aver compiuto, nell'emettere sentenza di patteggiamento nei confronti di alcuni coimputati, una «valutazione [...] di contenuto circa l'idoneità delle risultanze delle indagini preliminari a fondare un giudizio di responsabilità" in ordine ai medesimi fatti contestati agli imputati non patteggianti [...], il cui diritto di difesa risulterebbe compromesso»[24]. Né, a parere del giudice rimettente, si sarebbe potuto risolvere il problema facendo ricorso all'incompatibilità introdotta dalla sentenza n. 371 del 1996. La Corte ha risposto precisando che «solo attraverso la puntuale analisi dell'effettivo contenuto della sentenza che si assuma pregiudicante può essere accertato l'eventuale compimento di una valutazione in ordine alla responsabilità del terzo, suscettibile di determinare l'incompatibilità del giudice al successivo giudizio». E, poco dopo, i giudici hanno affermato ancora che «nel caso di specie non risulta che il tribunale [...] nelle sentenze di applicazione della pena rese nei confronti di alcuni dei concorrenti abbia espresso una valutazione, neppure superficiale o sommaria, circa la responsabilità degli ulteriori concorrenti estranei al processo, la posizione dei quali è quindi rimasta non pregiudicata». Di conseguenza, si può rilevare come, indirettamente, la Corte abbia ritenuto astrattamente possibile che anche una sentenza ex 444 c.p.p. possa concretizzare l'incompatibilità introdotta dalla pronuncia n. 371 del 1996.

In un altro caso, un giudice a quo aveva già sollevato la questione se la sentenza di patteggiamento, pronunciata nei confronti di alcuni concorrenti, comporti anche una valutazione incidentale del merito dell'accusa mossa al coimputato del medesimo reato e non "patteggiante", non ritenendo di poter applicare la causa d'incompatibilità prevista dalla sentenza n. 371 del 1996[25]. A tale riguardo, la Corte costituzionale ha precisato che «non può spettare a questa Corte confermare o smentire quanto affermato nelle ordinanze di rimessione, che cioè nelle fattispecie delle quali si occupa la Corte d'appello le pronunciate sentenze di applicazione della pena su richiesta contengono una valutazione incidentale del merito dell'accusa mossa al concorrente nel reato e non patteggiante». Di conseguenza, la Corte sembra ammettere implicitamente che, in un caso concreto, ove effettivamente si presentino i requisiti di applicabilità della sentenza 371 del 1996, anche una pronuncia di patteggiamento possa comportare il verificarsi dell'incompatibilità ivi prevista; per altro verso, rileva che tale valutazione le è preclusa direttamente, in quanto spettante solo al giudice del merito.

 

5. In conclusione, alla luce del confuso quadro esistente nella giurisprudenza di legittimità, bene ha fatto la Quinta Sezione a investire finalmente le Sezioni Unite del compito di porre un po' di chiarezza nel mare, fin troppo agitato, delle incompatibilità. Non resta ora che attendere la pronuncia Suprema Corte, sperando che, a quasi un ventennio di distanza dalla sentenza 371 del 1996, venga risolto un contrasto che si protrae da troppo tempo.

 

 


[1] In merito all'istituto generale dell'incompatibilità non si può qui richiamare che G. Di Chiara, L'incompatibilità endoprocessuale del giudice, Torino, 2000; T. Rafaraci, Commento all'art. 34, in G. Conso- V.Grevi (a cura di), Commentario breve al codice di procedura penale, Padova, 2005, p. 88 s.; P. P. Rivello, L'incompatibilità del giudice penale, Milano, 1996; G. Todaro, L'incompatibilità del giudice penale tra indirizzi consolidati e vuoti di tutela, in Cass. pen., 2007, p. 2074.

[2] Sul tema si vedano ex multis; S. Carnevale,  Imparzialità del giudice dibattimentale che applica la pena al coimputato: una proposta interpretativa nello scenario dei rimedi contro lo iudex suspectus, in Cass. pen., 1999, p. 3494; M. L. Paesano, Orientamenti di legittimità in tema di imparzialità del giudice chiamato a pronunciarsi su coimputato non patteggiante, ivi, 2005, p. 119 s.; D. Potetti, Principi fondamentali elaborati dalla Corte costituzionale in tema di art. 34 c.p.p. In paritcolare: incompatibilità del giudice e concorso di persone nel reato, ivi, 1997, p.943 s.; P. P. Rivello, Un nuovo approfondimento giurisprudenziale sulla tematica dell'incompatibilità (a proposito del giudice che abbia precedentemente emesso una sentenza di patteggiamento su richiesta di un coimputato del medesimo reato), ivi, 1999, p. 1507; F. Traverso, Reato associativo e patteggiamento per un solo coimputato: un limite all'imparzialità del giudice?, ivi, 1995, p. 2716.

[3] Si ricordino, ex multis, Corte cost., 8 maggio 2013, n. 86; Corte cost., 29 novembre 2010, n. 347; Corte cost., 4 giugno 2003, n. 218; Corte cost., 20 novembre 2002, n. 490; Corte cost., 10 luglio 2002, n. 367; Corte cost., 13 aprile 2000, n. 113; Corte cost., 7 febbraio 1994, n. 42; Corte cost., 2 dicembre 1993, n. 439; Corte cost., 13 aprile 1992, n. 186.

[4] Corte cost., 13 aprile 1992, n. 186.

[5] Si fa riferimento a Corte cost., 9 giugno 1999, n. 241 e Corte cost., 17 ottobre 1996, n. 371.

[6] In dottrina si veda, in particolare, M. L. Paesano, Orientamenti, cit., p. 119 s.

[7] Sono qui richiamate: Cass., Sez. II, 20 giugno 2003, Lucarelli, in Ced. Cass., n. 226453; Cass., Sez. VI, 14 maggio 1998, Cerciello, ivi, n. 211078; Cass., Sez. VI, 16 aprile 1998, n. 1385, ivi, n. 210664; Cass., Sez. VI, 3 ottobre 1997, Giallombardo, ivi, n. 209077.

[8] Per un opportuno quadro di sintesi, si possono solo richiamare: P. Ferrua, Il 'giusto processo', 3a ed., Bologna, 2012, p. 27 s.; G. Lozzi, Lezioni di procedura penale, 8a ed., Torino, 2013, p, 475 s.; R. Orlandi, Procedimenti speciali, in G. Conso- V. Grevi- M. Bargis (a cura di), Compendio di procedura penale, 6a ed., Padova, 2012, p. 685 s.; P. P. Paulesu, La presunzione di non colpevolezza dell'imputato, Torino, 2009, p.283 s.; F. Peroni, La fisionomia della sentenza, in P. Pittaro- G. Di Chiara- F. Rigo- F.Peroni- G.Spangher, Il patteggiamento, Milano, 1999, p. 119 s.; P. Tonini, Manuale di procedura penale, 14a ed., Milano, 2013, p. 780 s.

[9] Cass., Sez. II, 20 giugno 2003, Lucarelli, cit.

[10] Per un confronto tra lo standard proprio della decisione dibattimentale (l'al di là di ogni ragionevole dubbio) e la valutazione effettuata dal giudice in sede di patteggiamento: F. Callari, Patteggiamento e canone decisorio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio": i termini di un binomio "impossibile", in questa Rivista; P. P. Paulesu, La presunzione, cit., p. 315 s.

[11] Cass., Sez. VI, 16 aprile 1998, n. 1385 cit.

[12] Vengono qui richiamate: Cass., Sez. V, 26 gennaio 2005, Cacciurri, in Ced. Cass., n. 231490; Cass., Sez. IV, 23 settembre 2003, Broch, ivi, n. 226409; Cass., Sez. VI, 17 luglio 2003, Tagliafierro, ivi, n. 226511.

Si ricordi che esiste anche un indirizzo che riprende una posizione intermedia tra il primo e il secondo gruppo di sentenze; si veda ad esempio Cass., Sez. IV, 14 dicembre 2010, Serra, ivi, n. 249632.

[13] Cass., Sez. V, 26 gennaio 2005, Cacciurri, cit.

[14] Cass., Sez. IV, 23 settembre 2003, Broch, cit.

[15] Cass., Sez. IV, 23 settembre 2003, Broch, cit.

[16] Cass., Sez. II, 13 gennaio 1999, Compagnon, in Ced. Cass., n. 212785; Cass., Sez. VI, 11 dicembre 1996, Di Donato, ivi, n. 208192.

[17] Al riguardo, i giudici ricordano la decisione Cass., Sez. II, 13 gennaio 1999, Compagnon, cit.

[18] Cass., Sez. II, 13 gennaio 1999, Compagnon, cit.

[19] Corte cost., 16 marzo 1992, n. 124.

[20] Come rilevato già da M. L. Paesano, Orientamenti, cit., p. 120, a cui si rimanda.

[21] La quale, come si è già rilevato ha invece richiamato Corte cost., 24 giugno 1999, n. 281.

[22] Si ricordino, tra le tante: Corte cost., 22 marzo 1999, n. 107; Corte cost., 22 marzo 1999, n. 106; Corte cost., 22 marzo 1999, n. 105; Corte cost., 10 novembre 1997, n. 340; Corte cost., 10 novembre 1997, n. 331; Corte cost., 13 aprile 1992, n. 186. Si tenga presente anche, seppur con riferimento all'art. 36 c.p.p., la sentenza Corte cost., 13 aprile 2000, n. 113.

[23] Corte cost., 22 marzo 1999, n. 106.

[24] Corte cost., 10 novembre 1997, n. 340, da cui sono tratte le citazioni successive.

[25] Corte cost., 22 marzo 1999, n. 106, da cui sono tratte le citazioni successive.