ISSN 2039-1676


30 ottobre 2014 |

Vita, patrimonio e difesa legittima. La vita del ladro in fuga

Recensendo la seconda edizione del volume di Domenico Siciliano: Das Leben des fliehenden Diebes: Ein strafrechtliches Politikum, Peter Lang, Frankfurt am Main, 2013

 

1. A dieci anni dalla prima edizione, Domenico Siciliano offre alla comunità scientifica uno sviluppo del suo "Das leben des fliehenden Diebes: Ein strafrechtliches Politikum", arricchito con interessanti approfondimenti, ma di certo non trasformato nella sua struttura-base.

Inserendosi in un periodo storico felicemente lontano da quel tecnicismo asettico che provocava paralizzanti indifferenze tra filosofi (del diritto) e giuristi (criminalisti), l'opera regala al lettore un viaggio nel labirinto del fatto illecito e offensivo da giustificare: in questo caso, mediante l'utilizzo della difesa legittima (Notwehr) fra privati. Nello specifico, è chiamato in causa, e criticato, il "programma" d'Oltralpe fissato da quel parziale silenzio del § 32 StGB diretto a preservare un concetto di autodifesa allargata e quanto più libera da "brodaglie" garantiste, come il vincolo di stretta proporzione tra reazione e aggressione. La legittimità del ricorso inevitabile a condotte difensive (anche) letali in tutela di semplici beni materiali, nel dibattito tedesco, è, in effetti, qualcosa di pacificamente accettato. Una scelta, questa, che non solo persiste nonostante l'esistenza di un dato normativo vincolante per tutti gli Stati membri come l'art. 2 CEDU, ma che pare insinuarsi nelle feritoie più sensibili (opinione pubblica e manifesti politici) delle principali realtà giuridiche contemporanee.

 

2. Sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa, avverte l'art. 52, comma 1, del codice penale italiano nel descrivere i caratteri della reazione immediata contro il pericolo attuale prodotto da un torto ingiusto. Il segmento codicistico, prima del 1930 solo sottointeso dal codice Zanardelli, tipizza oggi il nucleo più intimo del limite che, insieme all'attualità dell'aggressione, separa il reato giustificato dalla vendetta: la proporzionalità dei beni giuridici compromessi, più che dei mezzi utilizzati. Anche se il legislatore italiano del 2006, come si vedrà, ha goffamente tentato di sovvertire tale approccio nei casi di difesa legittima all'interno del domicilio.

D'altra parte, benché in casi simili l'aggressore (colpevole) appaia meno degno di protezione rispetto al suo corrispondente (innocente) nel diverso stato di necessità, la massima cautela rimane un obbligo sia nel giustificare - in generale - un omicidio, sia nel valutare - in concreto - la reazione dell'aggredito.

Certo, il tema è assai complesso. La comparazione di beni è un'attività che richiede un accordo sull'utilizzo di criteri-guida: in estrema sintesi, in presenza di interessi omogenei occorrerà valutare il diverso grado delle due offese; al cospetto di beni eterogenei, invece, la questione solitamente si complica per via della presenza di casi "evidenti" e di casi "difficili". In verità, anche la comparazione omogenea, data la natura necessariamente relativa del valore di molti beni aggredibili, non sempre pare del tutto agevole: è ben vero che un animale domestico potrebbe essere l'unico compagno di vita di un uomo estremamente solo, ma quando l'esistenza incontra la proprietà, ci si ritrova in quel confronto poc'anzi richiamato tra beni eterogenei in rapporto evidente.

È il caso classico della vita del ladro colto in flagranza, appunto.

Due beni, quello della vita (del ladro) e del patrimonio (del derubato), che solo sul piatto della bilancia formano valori suscettibili di scelta di prevalenza astratta dell'uno sull'altro; del primo sul secondo, come già insegnava Franco Bricola utilizzando la Costituzione come pesa. La reazione mortale in parola non può costituire un diritto; essa, infatti, essendo del tutto diversa da un'azione indifferente come gustare un ottimo bicchiere di vino, non può che rimanere un illecito offensivo eventualmente giustificabile.

Detto per inciso, non si nutre alcun dubbio sulla possibilità del reo di opporsi alla reazione difensiva del proprietario - solo se sproporzionata o vendicatoria, s'intende - laddove il ladro in fuga (armato) dovesse accorgersi della presenza dello stesso sul balcone di casa, magari munito di una carabina già puntata. A meno che non si accetti di cristallizzare un fantomatico "dovere" del reo di farsi assassinare, l'esito pare ovvio: egli potrebbe girarsi, sparare ed uccidere per primo, se sfornito di alternative.

 

3. A differenza della nostra, come si è detto, la cultura giuridica tedesca nega il principio di proporzione; lì, nonostante qualche timido correttivo, il diritto pare cedere (quasi) mai nei confronti dell'illecito. Quasi mai, appunto.

Già dai primi anni del secondo Novecento, la discussione sui limiti della difesa legittima prendeva vita a seguito di una celebre condanna di una guardia armata che, avendo sorpreso un giovanotto rubare un vasetto di sciroppo alla frutta, lo aveva rincorso senza successo e dunque ferito gravemente con l'arma da fuoco in dotazione. Negli anni successivi, pur mantenendo l'idea della difesa legittima di beni dal modesto valore a scapito di altri sicuramente più importanti (fra gli altri, Klaus Volk), parte della dottrina tedesca approfondiva il concetto di proporzione (per primo, Friedrich Schaffstein), "ridimensionando" la lacuna codicistica col limite negativo della smisurata sproporzione dei beni in gioco (fra gli altri, Volker Krey). Un'espressione, questa, che di lì a poco si sarebbe diffusa nella principale manualistica, provocando il rifiuto di reazioni letali a offese bagatellari (si veda, fra i tanti, Günther Jakobs, Joachim Renzikowski, Kristian Kühl), consistenti anche in lesioni non rilevanti alla proprietà come un furto di meno di cinquanta Euro (Claus Roxin).

 

4. Proprio in questa discussione si sviluppa la prima parte dell'analisi di Siciliano.

Nella nuova edizione, il lettore troverà puntuali ricostruzioni del più recente dibattito - l'autodifesa come indicatore di visioni politiche fondamentali di Friedrich Christian Schroeder o la concezione della vita come "conquista culturale" di Knut Amelung, ma anche la quantificazione del concetto di (s)proporzione di Claus Roxin, la posizione più critica di Volker Krey, quella di Rudolf Rengier, le indagini comparate e le proposte di Gerhard Dannecker, etc. - oltre che inediti approfondimenti sul diritto alla vita (non solo dell'innocente) contenuto nel § 2 dell'E.M.R.K. (CEDU). Tra gli altri puntuali aggiornamenti, particolarmente interessante pare lo studio del pensiero di uno scrittore attento al dibattito penalistico italiano: Manfred Maiwald. La sua opinione sul rapporto vita/patrimonio è chiara: tenendo in debito conto che l'eliminazione, o la lesione, di taluno per evitare un furto modesto urta manifestamente contro i principi morali condivisi, il patrimonio rimane comunque tutelabile "anche a costo della vita dell'aggressore". Tale preferenza, così come quella di Claus Roxin, muove sostanzialmente da ragioni general-preventive negative, dirette a glorificare l'affermazione secondo cui l'efficacia deterrente della legittima difesa risulterebbe offuscata laddove il ladro sapesse di non rischiare la vita.

La domanda vien spontanea: da dove derivano queste strategie metaindividuali "di selezione" fra diritto e torto, volte a intravedere nell'autodifesa una riaffermazione dell'ordine della legge, capace addirittura di giustificare la prevalenza del patrimonio (del derubato) sulla vita (del ladro in fuga)? Quando s'intraprende per la prima volta il sentiero che conduce verso il peggiore dei mondi possibili?

 

5. Il viaggio proposto da Siciliano continua con un ricco capitolo dedicato all'evoluzione storico-filosofica del rapporto vita/patrimonio nella legittima difesa. Dall'esaltazione dell'esistenza umana - unica e irripetibile - propria del giusnaturalismo cristiano ad un capovolgimento di tendenza diretto ad elogiare inasprimenti sanzionatori contro i ladri; "pericoli gravi", questi ultimi, per la sicurezza pubblica e personale, come sosteneva Benedikt Carpzov.

In questa fase, il lettore troverà un nuovo approfondimento - excursus - che accoglie l'analisi del dibattito tra Ugo Grozio e Samuel von Pufendorf. Tra gli argomenti ivi affrontati, particolarmente curioso pare l'intreccio di un noto archetipo della legittima difesa - il fur nocturnus - con la riflessione del pensatore olandese. Chi attenta alla proprietà dei beni durante la notte, si dice nella legge delle XII Tavole, merita la morte; chi compie il furto di giorno, invece, può essere eliminato solo se armato e dopo aver chiesto inutilmente aiuto. Insomma, un'impostazione secondo cui all'aggravarsi della minaccia (giorno/notte), i limiti dell'immediatezza e della proporzione sfumano, divenendo flessibili e vaghi; ma qui, almeno, qualche differenziazione (r)esiste ancora.

Durante il XVII sec., la "forca", non curandosi più della tipologia delle sue vittime, si oggettivizza divenendo capace di scindere solo tra essere umano e deviante, tra cittadino e criminale, tra onesto e ladro, tra benestante e povero. Ma non sarà sempre così.

Quasi un secolo dopo, in effetti, è col pensiero di menti illuminate come Hanns Ernst von Globig, Johann Georg Huster, e Julius Friedrich von Soden, che prende vita l'idea di risparmiare il ladro se non in quei casi limite (giustamente utopici) in cui l'entità del furto mette in serio pericolo il sostentamento del derubato e della sua famiglia. Un'impostazione sensibile alla condizione dei più deboli che sarà poi recuperata da altri pensatori e inserita in progetti legislativi non troppo fortunati come quello dell'Allgemeines Gesetzbuch für die preußischen Staaten.

Ben presto, però, la legittima difesa di stampo liberale avrebbe assunto le sembianze di un mezzo di selezione per il dominio di classi particolarmente agiate e insensibili alla questione sociale. L'idea di equità, oscurandosi, avrebbe lasciato i riflettori ad una disuguaglianza "dogmatica", capace di confondere l'interprete nel buio labirinto della gerarchia dei valori.

Tali schemi, come sottolinea bene l'A., avrebbero di lì a poco inevitabilmente subito declinazioni teoriche tipiche del XIX sec., come l'idea del Karl Ludwig Wilhelm Grolman dei fuorilegge (Vogelfreye) senza diritti, come il recupero della feuerbachiana Rechtlosigkeit, presente nel vecchio lavoro di Karl Wilhelm Friedrich Grattenauer (Ueber die Nothwehr, Breslau, 1806), o come la convinzione berneriana, che il diritto non debba mai arretrare davanti alla (sua concezione di) illecito.

La prevalenza del patrimonio sulla vita (del ladro) è ormai un dogma; potrà essere quantificato il primo e risparmiata la seconda in presenza di bottini davvero poco generosi, ma le premesse - come ben sottolinea Siciliano - non muteranno affatto.

 

6. Questa seconda edizione, a tacer d'altro, pare uno studio estremamente utile per i Paesi che, più o meno esplicitamente, rifiutano il sacrificio della vita del ladro in tutela del patrimonio. L'autodifesa, non vi è dubbio, rimane un istituto giuridico universalmente riconosciuto - si veda, addirittura, l'intervento di Papa Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium Vitae, 25 marzo 1995 -, ma i suoi requisiti essenziali, al contrario, sono costantemente sottoposti a stress mediatici diretti a ridurne il contenuto garantista.

In Italia, ad esempio, il legislatore del 2006 - circa dieci mesi prima di dichiarare guerra ai recidivi - ha ceduto ad istanze ingiustificate di panico diffuso introducendo una novella simbolica, ma fortunatamente incomprensibile: la legge 3 febbraio 2006, n. 59 ("Modifica dell'art. 52 del codice penale in materia di diritto all'autotutela in un privato domicilio").

Qui di seguito il testo attuale:

Art. 52. Difesa legittima. Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.

Nei casi previsti dall'art. 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria e l'altrui incolumità;

b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione. [....]

L'istituto diviene apparentemente qualcosa di non sindacabile con limiti troppo stringenti. In altre parole, se è in gioco la vita o l'incolumità personale, ogni "reazione" all'interno del domicilio si considera proporzionata fino a prova contraria; se, invece, la minaccia cade su beni patrimoniali, la presunzione agisce nei limiti dell'assenza di desistenza (come, invece, nel caso del ladro in fuga senza bottino, ad es.) e del pericolo attuale di aggressione.

Pur tralasciando la maggior parte delle dure critiche avanzate dalla dottrina, questa nuova ipotesi di legittima difesa presenta almeno due punti particolarmente deboli, entrambi contenuti nella lettera b) del secondo comma.

Il primo concerne il pericolo di aggressione. Ebbene, riferirlo alla vita, o all'integrità fisica, piuttosto che al patrimonio, è null'altro che una pregevole opzione ermeneutica e, pertanto, in un sistema di civil law, suscettibile di stravolgimenti improvvisi.

Il secondo, invece, interessa l'esportabilità dell'attualità come requisito dell'aggressione (a questo punto, fisica) all'interno dell'ipotesi di cui al comma secondo dello stesso articolo. Anche su codesto versante, la dottrina maggioritaria e la principale giurisprudenza (cfr., per tutti, Cass. pen., 23 marzo 2011, n. 11610) credono che impedirne l'insediamento, significhi giustificare reazioni normalmente sproporzionate, ma regolarizzate da percezioni di pericolo del tutto personali, potenzialmente errate e spesso non suscettibili di prova contraria. Ciò nondimeno, il merito di aver perseguito una lettura conforme alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali va anche questa volta agli interpreti, non al legislatore; il quale, non vi è dubbio, confidava più in un revival del pieno "diritto" di assassinare il ladro all'interno del proprio domicilio, così come prescritto già nell'Antico Testamento (Esodo, 22, 2-3).

 

6. Per concludere, corre l'obbligo di ricordare come l'opera di Siciliano si inserisca implicitamente anche nel dibattito in corso in Paesi influenzati dalla dottrina d'Oltralpe. Il pensiero va ad alcuni sistemi romano-germanici come quello del Portogallo o del Brasile, dove la manualistica principale, salvo rare eccezioni, condivide parte del contenuto di quella tedesca, ma anche a realtà anglosassoni come gli Stati Uniti d'America, dove - dopo lo scempio della "Three Strikes" law - imperversa ora la c.d. reazione ad oltranza ("Stand Your Ground" laws).

Un anticorpo teorico, quello sviluppato dall'A., d'importanza centrale per sistemi penali sempre più infettati dal terrore del nemico (l'immigrato, il tossicodipendente, il terrorista, il recidivo o, appunto, anche il ladro) e pregiudicati da febbri illiberali protese ad utilizzare le cause di giustificazione per la concretizzazione della "tolleranza zero".

Al lettore l'arduo compito di valutare la bontà dei modelli giuridico-filosofici esistenti sul tema e di comprendere in quale di essi voler sviluppare il proprio pensiero.

Est modus in rebus: sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum, diceva Orazio.