ISSN 2039-1676


30 ottobre 2015 |

L'art. 75-bis del d.P.R. n. 309 del 1990 al vaglio della Corte costituzionale: ovvero della neve e della droga insieme

Cass., Sez. VI penale, ord. 17 giugno 2015 (dep. 23 settembre 2015), n. 38561, Pres. Conti, Est. Mogini

 

1. Con l'ordinanza qui pubblicata, la Sesta Sezione penale della Corte di cassazione ha dichiarato «rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 75-bis del d.P.R. n. 309 del 1990, inserito dall'art. 4-quater del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, in riferimento all'art. 77, secondo comma, Cost.».

Viene così rimessa al vaglio della Corte costituzionale una tra le più controverse modifiche del Testo unico delle leggi in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope introdotte dalla cd. legge "Fini-Giovanardi"[1], con cui si è previsto un inedito e variegato sistema di misure restrittive della libertà personale e della libertà di movimento nei confronti di diverse categorie di tossicodipendenti ed assuntori di sostanze stupefacenti che, «in relazione alle modalità od alle circostanze dell'uso» di queste ultime, possano rappresentare un «pericolo per la sicurezza pubblica»[2].

Ed - in effetti - ostaggio della "cognitive trap of 'goals' in using the criminal law"[3] e - al tempo stesso - valido supporto alla cd. strategia di Schéhérazade[4], la legislazione in materia di stupefacenti difficilmente si sarebbe potuta sottrarre, come in effetti non è accaduto, alla nouvelle ligne narrative della politica contemporanea che, come è noto, annovera tra i suoi argomenti principali quello della sicurezza ed in cui «sécurité intérieure et extérieure, stratégie de dissuasion et protection de l'ordre public se confondent»[5].

È stato così che, tra le altre, la previsione di nuovo conio di cui al vigente art. 75-bis del Testo unico, rubricato "Provvedimenti a tutela della sicurezza pubblica", è venuta a contemplare un elenco di misure limitative della libertà personale «modellate sulla falsariga delle misure di prevenzione previste nei confronti dei soggetti pericolosi per la sicurezza pubblica e per i mafiosi, vista anche l'identità dell'autorità competente ad applicarle, id est il Questore»[6].

Più precisamente, a codeste misure - a contenuto assimilabile ora a misure di sicurezza non detentive personali, ora a misure cautelari e a misure di prevenzione, ora a sanzioni accessorie[7] -  sarebbe sottoposto colui che sia risultato già condannato, anche non definitivamente, per reati contro la persona, contro il patrimonio o per quelli previsti dalle disposizioni del d.P.R. n. 309 del 1990 o dalle norme sulla circolazione stradale, oppure sanzionato per violazione delle norme del d.P.R. n. 309 del 1990 o destinatario di misura di prevenzione o di sicurezza, qualora, in relazione alle modalità od alle circostanze dell'uso, dalla sua condotta di cui all'art. 75, co. 1, del d.P.R. n. 309 del 1990 possa derivare pericolo per la sicurezza pubblica.

La disposizione, individuate le condizioni per l'adozione delle misure ivi previste, ne disciplina poi il relativo procedimento applicativo, tra l'altro dettando norme in ordine alla convalida del provvedimento questorile ed alla possibile modifica e/o revoca delle misure già applicate, su istanza dell'interessato, da parte del giudice di pace.

Infine, vi si prevede una contravvenzione per il caso della violazione anche di una soltanto delle misure contemplate dal comma 1 del medesimo art. 75-bis[8].

 

2. Ora, venendo alle ragioni alla base dei dubbi di costituzionalità sollevati dalla Corte di cassazione, esse sono, in definitiva, le medesime che la Terza sezione penale ha posto a fondamento dell'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità degli artt. 4-bis e 4-vicies ter [comma 2, lett. a) e comma 3, lett. a), n. 6)] del d.l. n. 272 del 2005, introdotti in sede di conversione dalla legge n. 49 del 2006[9] e che hanno condotto alla ormai nota declaratoria di incostituzionalità delle disposizioni concernenti i core principles della riforma "Fini-Giovanardi"[10].

Nello specifico, motivata la rilevanza della questione per il giudizio a quo con la sua incidenza sull'applicabilità al ricorrente delle misure preventive disposte col provvedimento questorile che veniva convalidato dal decreto oggetto di impugnazione[11], i giudici della Sesta Sezione argomentano in ordine alla non manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalità circa l'art. 75-bis del d.P.R. n. 309 del 1990, per come inserito dall'art. 4-quater del d.l. n. 272 del 2005, convertito dalla l. n. 49 del 2006, in relazione all'art. 77, co. 2, Cost., valorizzando, in via gradata, due distinti profili.

In via principale, viene evidenziata l'estraneità della dianzi citata previsione del Testo unico sugli stupefacenti, introdotta dalla legge di conversione del provvedimento interinale, all'oggetto, alle finalità ed alla ratio dell'originario contenuto del d.l. n. 272 del 2005.

In via subordinata, la Sezione rimettente rileva il difetto - quanto alla medesima disposizione - del presupposto della necessità ed urgenza, la cui ricorrenza deve potersi apprezzare, a pena della loro illegittimità costituzionale, anche in relazione alle norme che siano aggiunte ad un decreto-legge in sede di sua conversione.

 

3. Più in dettaglio, quanto alla censura formulata in via principale, innanzitutto, i giudici ripercorrono la recente giurisprudenza costituzionale sui limiti alla emendabilità di un decreto-legge[12], la quale, messo in luce il nesso di interrelazione funzionale, istituito dall'art. 77, co. 2, Cost., tra decreto-legge e relativa legge di conversione, ha escluso la possibilità di inserire emendamenti del tutto estranei all'oggetto e alle finalità del primo per il tramite della seconda e, al contempo, delineato i criteri in base ai quali effettuare la valutazione circa l'eventuale suddetta estraneità (punto 5 del Considerato in diritto).

In secondo luogo, in ragione delle caratteristiche del d.l. n. 272 del 2005, il Collegio rimarca la prospettiva preminentemente teleologica cui deve essere informata la verifica in questione nel caso di provvedimenti governativi ab origine a contenuto eterogeneo, ipotesi in cui il limite all'introduzione di ulteriori disposizioni in sede di conversione sarà rappresentato, in particolare, dal rispetto di quella che ne è la ratio.

Sulla base di tali premesse, l'ordinanza di rimessione si diffonde nel dare conto, in generale, della profonda distonia di contenuto, di finalità e di ratio tra il d.l. n. 272 del 2005 e le nuove disposizioni introdotte in sede di conversione e, in particolare, della profonda distonia di contenuto, di finalità e di ratio riscontrabile tra l'art. 4 del d.l. n. 272 del 2005 e l'art. 4-quater inserito, successivamente, con la l. n. 49 del 2006 (punti 6, 7, 8 e 9 del Considerato in diritto).

In specie, quanto al rapporto tra le due disposizioni da ultimo menzionate, ne viene sottolineata in primis l'eterogeneità contenutistica, resa palese dalla circostanza che, mentre l'art. 4 concerneva lo specifico e circoscritto tema dell'esecuzione di pene detentive nei confronti di tossicodipendenti recidivi che avessero in corso programmi terapeutici di recupero presso servizi pubblici o strutture autorizzate, l'art. 4-quater emendava il Testo unico sugli stupefacenti introducendovi l'art. 75-bis e, con esso, come si è già detto, un inedito, «articolato e dettagliato sistema di misure preventive di pubblica sicurezza applicabili a "qualificati" assuntori di stupefacenti, eventualmente anche a prescindere dall'esecuzione di pene detentive, dalla recidiva penale dei soggetti sottoposti e finanche dall'esistenza di un programma terapeutico in corso nei loro confronti».

Accanto alla eterogeneità di tipo contenutistico - secondo la Corte di cassazione - sarebbe dato cogliere soprattutto un'eterogeneità finalistica fra le due previsioni divisate, in considerazione del fatto che l'art. 4 del d.l. n. 272 del 2005 perseguiva lo scopo di evitare che l'allora recentissima legge ex-Cirielli - che aveva inserito l'art. 94-bis nel d.P.R. n. 309 del 1990 - potesse comportare una massiva e pregiudizievole (ri-)carcerizzazione di condannati tossicodipendenti, in quanto soggetti, questi ultimi, naturaliter recidivanti, e l'art. 4-quater, quello, diametralmente opposto, di scongiurare i pericoli che tossicodipendenti o, comunque, assuntori 'problematici' potessero far sorgere per la sicurezza pubblica.

Alla luce delle superiori considerazioni, i giudici a quibus ribadiscono la totale estraneità della disposizione censurata rispetto al testo originario del decreto-legge, affermando, con efficace sintesi, che, mentre l'art. 4 del d.l. n. 272 del 2005 «contiene norme di natura processuale, attinenti alle modalità di esecuzione della pena, il cui fine era quello di impedire l'interruzione dei programmi di recupero dalla tossicodipendenza», le norme di cui all'art. 4-quater, introdotte dalla legge di conversione, sono, per converso, «norme a connotazione sostanziale, del tutto svincolate da finalità di recupero del tossicodipendente ed espressamente orientate a fini di prevenzione di un eventuale pericolo per la sicurezza pubblica».

 

4. Quanto alla questione sollevata in via subordinata e relativa, come si è anticipato, alla carenza dei presupposti della necessità ed urgenza, il provvedimento di rimessione dà atto che, alla stregua della pertinente giurisprudenza costituzionale, anche le disposizioni introdotte dalla legge di conversione e non del tutto dissonanti rispetto al contenuto originario del decreto legge[13], devono essere assistite, a pena di illegittimità, dai requisiti in discorso (punto 10 del Considerato in diritto).

Conseguentemente, i giudici di legittimità illustrano le circostanze che renderebbero evidente il segnalato difetto, all'uopo valorizzando, in particolare, da un lato, la assoluta mancanza di qualsivoglia motivazione - tanto nel preambolo dell'atto normativo, quanto nella discussione parlamentare - circa la necessità ed urgenza di procedere ad una riscrittura "a regime" del Testo unico sugli stupefacenti e, dall'altro, la giustificazione a corredo del maxiemendamento in cui veniva per la più gran parte incorporato il disegno di legge S-2953 sugli stupefacenti[14] (punto 11 del Considerato in diritto).

In tal modo, se ne ricava - ricalcando testualmente taluni passi della sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012 - che, all'evidenza, l'art. 4-quater pone una «normativa a regime, del tutto slegata da contingenze particolari, inserita tuttavia nella legge di conversione di un decreto-legge», che non fa riferimento «a situazioni già esistenti e bisognose di urgente intervento normativo, ma in via generale e ordinamentale per tutti i casi futuri».

 

5. Sintetizzato il contenuto dell'ordinanza in epigrafe, ci limitiamo a formulare talune riflessioni.

Ebbene, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, ampiamente richiamata nel corpo del provvedimento in commento, si sarebbero nutriti pochi dubbi sul fatto che, in linea di principio[15], le argomentazioni che avevano condotto alla declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, verosimilmente, avrebbero potuto essere replicate - per lo più con successo - anche in relazione agli articoli da 4-ter a 4-vicies bis del d.l. n. 272 del 2005, convertito con modificazioni nella legge n. 49 del 2006[16].

L'intervento normativo resosi necessario dopo quella pronuncia - vale a dire il d.l. n. 36 del 2014 e, più ancora, la relativa legge di conversione n. 79 - ha interpolato molte delle previsioni del d.P.R. n. 309 del 1990, per come già riformate ad opera della legge cd. "Fini-Giovanardi", ma non avrebbe sanato eventuali vizi di incostituzionalità inficianti le disposizioni non interessate dalla pronuncia del 2014.

In particolare, anche a seguito del citato provvedimento d'urgenza e della rispettiva legge di conversione, ci era parso che l'art. 75-bis del d.P.R. n. 309 del 1990, inserito nel Testo unico dall'art. 4-quater del d.l. n. 272 del 2005, convertito dalla l. n. 49 del 2006, continuasse ad esibire - appunto non inciso dalla novella del 2014 - criticità del tipo di quelle evidenziate, mutatis mutandis, dalla sentenza n. 32 dello stesso anno[17].

Pertanto, a nostro sommesso avviso, appaiono del tutto condivisibili i rilievi formulati dalla Sesta Sezione penale nell'ordinanza che si commenta, in disparte gli eventuali ulteriori profili di illegittimità costituzionale, per vero già da tempo segnalati dalla dottrina in riferimento alla disposizione impugnata[18].

Vorremmo semplicemente aggiungere che, con difficoltà, i rilievi in parola potrebbero venir superati dalla forza evocativa del tema della sicurezza pubblica.

Si tratta di un tema che, forse, potrebbe portare taluno ad accostare (e, per tale via, a non ritenere del tutto estranea) ad un decreto inteso a garantire la sicurezza (e i finanziamenti) delle Olimpiadi invernali una previsione, quale quella dell'art. 4-quater, recante pur sempre norme a presidio, appunto, della sicurezza pubblica.

E, a tal proposito, non c'è dubbio che con l'art. 75-bis del d.P.R. n. 309 del 1990, inserito dal citato art. 4-quater, il legislatore abbia reso esplicita la connotazione spiccatamente securitaria dell'intervento di riforma del 2005-2006.

Addirittura, la sicurezza pubblica, già ascrivibile all'orizzonte di tutela alla stregua della previgente disciplina[19], così come affermato dalla Corte costituzionale[20], avrebbe ricevuto dalla legge "Fini-Giovanardi"  il riconoscimento di fine immediatamente traguardato o, forse, di vero e proprio interesse tutelato. Una up-graduation di tale bene o fine o ratio[21] che ha avuto luogo, massimamente, proprio per il tramite dell'invenzione del «'bene giuridico' della sicurezza pubblica quale oggetto di tutela della mera detenzione di stupefacenti per uso personale» ex art. 75-bis del d.P.R. n. 309 del 1990[22].

Del resto, in una disamina di qualche anno fa sulle ragioni che si sarebbero opposte alla decriminalizzazione dell'uso di droghe in Belgio, è stato messo in luce che il reale impedimento ad abbracciare (più) lenient policies in materia di stupefacenti sarebbe stato da individuare non tanto nello (asserito) sbarramento opposto dalle convenzioni internazionali in materia - argomento, quest'ultimo, che sembrerebbe più retorico che giuridico -, ma, piuttosto, nell'associazione, rintracciabile nell'immaginario collettivo, tra uso di droga ed insicurezza[23].

D'altronde, come autorevolmente rilevato, la dimensione della "sicurezza pubblica" innerverebbe la stessa normativa europea antidroga, se è vero che la Decisione quadro del Consiglio 2004/757/GAI, del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti[24], fa riferimento nel suo preambolo alla sicurezza, dicotomicamente declinata come safety and security[25]. In effetti, con affermazione invero sin troppo tranchante rispetto alla pluricorde politica dell'Unione in materia di stupefacenti[26], si è sostenuto che con la menzionata Decisione quadro: «L'Europe se positionne symboliquement sur l'échiquier mondial et affiche sa volonté de contribuer à la lutte contre la drogue, consacrant à son tour une approche plus sécuritaire que socio-préventive ou sanitaire de la prise en charge de la problématique des drogues»[27].

E non è un caso che la stessa questione pregiudiziale sui coffee shops olandesi, sollevata di recente dinanzi ai giudici di Lussemburgo, ricalcasse problematicità di stampo latu senso securitario, riconducibili alle turbative all'ordine pubblico ed alla pubblica sicurezza causate dal rilevante afflusso di cc.dd. turisti della droga nel territorio comunale di Maastricht e che avevano portato il sindaco della città all'adozione di un provvedimento che vietava l'ingresso ai coffee shops ai non residenti (nei Paesi Bassi).

Come noto, la decisione della Corte di giustizia è stata nel senso di ritenere il provvedimento di cui alla causa principale conforme al diritto comunitario, stante l'impossibilità di invocare quest'ultimo in relazione ad un'attività - che è attività vietata - quale quella di commercializzazione della cannabis[28]. Soprattutto, per quel che rileva ai nostri fini, la legittimità comunitaria del provvedimento impugnato è stata sancita anche nella parte in cui esso precludeva anche ai non residenti che volessero consumare esclusivamente sostanze alimentari e bibite analcoliche l'ingresso ai summenzionati coffee shops: in merito la Corte ha ritenuto che, pur rappresentando l'adottata misura una limitazione alla libera prestazione dei servizi sancita dal Trattato CE, essa tuttavia appariva giustificata dall'obiettivo di contrastare il turismo della droga e il disturbo da questo provocato («Cette restriction est cependant justifiée par l'objectif visant la lutte contre le tourisme de la drogue et les nuisances qu'il draine/Tale limitazione è tuttavia giustificata dall'obiettivo di contrastare il turismo della droga e il disturbo da esso provocato»)[29]. Evidente, dunque, anche in questo caso, l'associazione tra droga (nella variante turismo della droga a fini di consumo di quest'ultima) e nuisance (nella versione francese della sentenza) o public nuisance (nella versione inglese), tra droga e dis-ordine pubblico[30], tra droga ed in-sicurezza pubblica[31].

Orbene, ciò premesso circa l'art. 75-bis del d.P.R. n. 309 del 1990 e considerato il contesto di riferimento in cui verosimilmente andrebbe collocata la previsione[32], non pare, tuttavia, come dicevamo, che si possa essere autorizzati a ravvisare, in ragione di ciò, una qualche omogeneità - quantomeno di ratio - tra decreto-legge e art. 4-quater, inserito in sede di sua conversione.

In particolare, il titolo del provvedimento governativo del 2005 così come il preambolo allo stesso («Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di prevenire e contrastare il crimine organizzato ed il terrorismo interno ed internazionale, anche per le esigenze connesse allo svolgimento delle prossime Olimpiadi invernali») - in cui è pur possibile scorgere un riferimento a sicurezza e prevenzione - non sarebbero in grado di avallare conclusioni circa la sussistenza di sintoniche rationes (di tutela) tra le disposizioni censurate ed il d.l. n. 272 e neppure - più esattamente, attesa la valutazione cui è chiamata la Corte costituzionale - ad escluderne la totale estraneità rispetto all'atto normativo interinale.

Più in generale, va segnalato che, pur a fronte delle molte obiezioni della minoranza in ordine alla radicale eterogeneità dell'introducenda disciplina in materia di stupefacenti rispetto all'originario decreto-legge, il dibattito parlamentare non evidenzia alcun riferimento ad una vocazione della previsione di cui all'art. 4-quater a prevenire (e contrastare) il crimine organizzato (ed il terrorismo interno ed internazionale) né ad una sua comunanza finalistica - quale che fosse - con il d.l. n. 272.

Sopra di ogni cosa, però, ad opinare in senso contrario, rintracciando ovverosia nella tutela della sicurezza pubblica il trait d'union con il d.l. n. 272, si sarebbe dovuto concludere, allora, che anche (e a fortiori) gli artt. 4-bis e 4-vicies ter condividevano, con le originarie previsioni del decreto-legge oggetto di conversione, lo scopo di (prevenire e) contrastare il crimine organizzato (ed il terrorismo interno ed internazionale) cosicché, per l'effetto, se ne sarebbe dovuta respingere la qualifica di norme «intruse».

È noto, tuttavia, come la Corte costituzionale abbia giudicato illegittimi gli articoli da ultimo menzionati, peraltro sul presupposto per cui «come può facilmente rilevarsi, e come del resto ha osservato l'Avvocatura dello Stato, l'unica previsione alla quale, in ipotesi, potrebbero riferirsi le disposizioni impugnate introdotte dalla legge di conversione, è l'art. 4, la cui connotazione finalistica era ed è quella di impedire l'interruzione del programma di recupero di determinate categorie di tossicodipendenti recidivi»[33] (corsivo nostro).

In considerazione di ciò, verosimilmente recessiva - al fine di escludere l'illegittimità costituzionale della norma impugnata - apparirebbe altresì la possibilità di richiamarsi alla giurisprudenza che, muovendo dalla collocazione sistematica delle misure di cui all'art. 75-bis del d.P.R. n. 309 nell'ampio genus delle misure di prevenzione, ha fatto riferimento, per completare la sequenza procedimentale mancante, alla disciplina delle misure limitative della libertà personale previste dall'art. 6 della l. n. 401 del 1989, volte a prevenire i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive[34], all'uopo valorizzando la circostanza che la previsione in questione sia stata inserita in sede di conversione di un decreto-legge concernente, esso pure, una competizione sportiva (id est, le Olimpiadi invernali di Torino).

Nondimeno, non può non darsi atto che, successivamente alla pronuncia in commento, la Quarta Sezione penale, ha dichiarato manifestamente infondata analoga questione di costituzionalità dell'art. 4-quater, introdotto dalla legge n. 49 del 2006, prospettata dalla difesa del ricorrente, condannato in primo e secondo grado per il reato di cui all'art. 75-bis, co. 1, lett. b) e co. 6, del d.P.R. n. 309 del 1990[35].

Al riguardo, si è affermato che «Quella è norma che, ad avviso del Collegio, riguarda la persona del tossicodipendente ed appare introdurre con l'art. 75-bis, dei provvedimenti a tutela della sicurezza pubblica che può considerarsi, ancorché evidentemente norma a contenuto sostanziale e non meramente processuale, omogenea e di chiusura rispetto all'art. 4 dell'originario decreto legge».

In altri termini, se con il decreto legge si era ritenuto di intervenire con urgenza per evitare che, dopo l'approvazione della legge ex-Cirielli, si restringesse la possibilità di accesso al programma di recupero per determinate categorie di tossicodipendenti recidivi, strettamente connesso a quei contenuti può essere ritenuto un provvedimento che, in chiave di equilibrio del sistema e con un occhio sempre alla persona del tossicodipendente, ma anche alla sicurezza pubblica, imponga determinati comportamenti al tossicodipendente destinatario di sola sanzione amministrativa e, in caso di violazione di quei comportamenti, lo sanzioni penalmente (D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 75 e 75-bis[36].

A nostro sommesso avviso, una tale argomentazione, per quanto acuta, non persuade.

Innanzitutto, la connessione che si voglia ravvisare tra l'allora incipiente 'ratifica' parlamentare della soppressione dell'art. 94-bis del d.P.R. n. 309 del 1990 e la previsione di cui all'art. 4-quater sarebbe smentita dall'antecedente disegno di legge A.S. 2953, recante «Modifiche ed integrazioni al testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309», poi incorporato, come si è già visto, nel maxiemendamento al provvedimento governativo del 2005.

Tale disegno di legge, infatti, già contemplava - all'art. 51 - la disciplina di cui all'attuale art. 75-bis del d.P.R. n. 309 del 1990, disciplina predisposta - secondo la Relazione al menzionato d.d.l. n. 2953 - per rispondere ad esigenze di altro tipo e, segnatamente, per porre rimedio alla stimata inidoneità del quadro sanzionatorio amministrativo a quel tempo vigente «a fronteggiare adeguatamente i comportamenti reiteratamente trasgressivi» e ciò in virtù dell'assenza, per effetto dell'intervenuta abrogazione referendaria dell'art. 76, delle più gravi sanzioni, ivi originariamente previste, che potessero affiancarsi a quelle più miti di cui all'art. 75[37].

D'altro canto, la lettura proposta dalla Quarta sezione non si concilierebbe con quelli che sono i rispettivi ambiti (e presupposti) di operatività dell'art. 75-bis e (dell'art. 94 e) dell'abrogato art. 94-bis del d.P.R. n. 309 del 1990.

A prescindere dalla ricostruzione suggerita, ancor meno, probabilmente, l'elemento di colleganza potrebbe cogliersi nel preteso carattere di favore - per i tossicodipendenti recidivi - delle disposizioni di cui agli artt. 4 e 4-quater del d.l. n. 272 del 2005, se non al costo di aderire ad una visione paternalistica delle stesse[38].

Del resto, una tale chiave prospettica non pare abbia consentito di sottrarre alla declaratoria di incostituzionalità l'art. 4-bis del medesimo d.l. n. 272, nella parte in cui, intervenendo sull'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, vi inseriva la previsione - indubitabilmente favorevole anche per gli evocati soggetti - di cui al co. 5-bis.

 

6. In conclusione, resta da soffermarsi brevemente sulle modifiche alla versione originaria dell'art. 75-bis del d.P.R. n. 309 del 1990 apportate dal legislatore del 2009.

In effetti, per tornare a quanto si diceva poco sopra, a confermare che il versante vieppiù frequentato, negli ultimi anni, sia stato quello dei rapporti tra sostanze stupefacenti e sicurezza pubblica, vi sarebbe altresì la legge 15 luglio 2009, n. 94 (il c.d. Pacchetto sicurezza, per l'appunto) che, tra le altre cose, ha riformato proprio gli artt. 75 e 75-bis del d.P.R. n. 309 del 1990, prevedendo un generalizzato inasprimento del trattamento sanzionatorio, quanto al primo articolo, e un innalzamento della durata massima del divieto di condurre veicoli a motori, nello specifico, quanto al secondo[39].

Ora, per quanto più interessa in questa sede, sembra possa escludersi che la cennata novella abbia sanato i vizi denunciati nell'ordinanza in epigrafe, magari in base all'assunto che essa abbia implicitamente 'ratificato', sebbene modificandola, la disciplina di cui all'originario art. 75-bis del d.P.R. n. 309 del 1990.

Piuttosto, ma sotto altro e diverso versante, tali novelle - che esibiscono evidenti collegamenti anche con il tendenziale durcissement rintracciabile nella alluvionale normativa in materia di circolazione stradale[40] - avrebbero ispessito il potenziale afflittivo e stigmatizzante delle sanzioni amministrative[41] e moltiplicato i dubbi che, ad un approccio behind the appearances, in particolare le misure limitative della libertà personale già sollevavano[42]. Tanto da far ritenere non difficile «intravedere, in una tale disciplina, una truffa delle etichette celante un'inquietante penalizzazione di fatto della condotta di mera detenzione, su presupposti, tra l'altro ben poco determinati, con una consequenziale elusione di limiti e garanzie penalistiche»[43]

I dubbi circa il rispetto del principio di determinatezza riguarderebbero, soprattutto, il concetto di pericolo per la sicurezza pubblica che può derivare dall'uso personale di stupefacenti in relazione alle circostanze ed alle modalità dell'uso medesimo[44].

Un concetto problematico, quest'ultimo, che, seppur in altro contesto ordinamentale e con tutte le differenze del caso, ha portato ad una declaratoria di illegittimità costituzionale della legge censurata (anche) a motivo dell'ambiguità della nozione di "nuisances publiques"[45]. Un concetto suscettibile di vieppiù ampliare le possibilità d'implementazione di quelle politiche "d'intimidation et d'invisibilisation", che una recente ricerca ha indicato tra "les usages policiers des drogues" e che, in estrema sintesi, sarebbero incardinate sulla minaccia della repressione/sanzione dell'uso di droga come, rispettivamente, «instrument de gestion de l'ordre public» ed espediente per «l'invisibilisation de populations gênantes perçues comme insécurisantes»[46].

Va detto, tuttavia, che l'eventuale declaratoria di incostituzionalità che facesse seguito all'ordinanza in epigrafe, travolgendo, come appare verosimile, l'intera disposizione, sarebbe destinata a porre rimedio anche ai dubbi e agli inconvenienti appena sopra tratteggiati.

Questo, d'altronde, è lo scenario più probabile, con tutte le intuibili implicazioni che ne scaturirebbero sulle eventuali misure già adottate e sui procedimenti (di convalida) in corso.

Alla luce di quanto esposto, si ritiene, infatti, che sarà arduo, in merito all'impugnato art. 4-quater, non ribadire come, a parte il colore e una dizione gergale ormai comune, non sia dato comprendere che cosa ci sia stato di coerente, anche da un punto di vista legislativo, nel mettere insieme la neve e la droga[47].

 

 

Per accedere all'ordinanza della Corte di cassazione, in formato PDF, cliccare sull'icona sottostante.

 


[1] Per una serrata critica alla menzionata disposizione, così come all'asserito bene giuridico della sicurezza pubblica, si veda C. Ruga Riva, La nuova legge sulla droga: una legge "stupefacente" in nome della sicurezza pubblica, in RIDPP, n. 1/2006, pp. 246 ss.; parimenti perplesso V. Manes, La riforma della disciplina sanzionatoria in materia di stupefacenti. Frasario essenziale alla luce dei principi di offensività, proporzione e ragionevolezza, in La legislazione penale compulsiva, a cura di G. Insolera, Padova, 2006, pp. 121 ss.

[2] Così, pressoché testualmente, F. Cardile, Gli illeciti amministrativi, in AA.VV., La disciplina penale degli stupefacenti, a cura di G. Insolera e V. Manes, Milano, 2012, 2ᵃ ed., p. 284.

[3] Per tale concetto di piège cognitif des 'buts' dans le recours au droit criminel (così nella versione francese), cfr. A. P. Pires, Legislative Policy and "Two-Sided" Crimes: Some elements of a pluridimensional theory of the criminal law, (La politique legislative et les crimes à "double face": Éléments pour une théorie pluridimentionnelle de la loi criminelle, nella versione francese), consultabile sul sito del Parlamento canadese (http://www.parl.gc.ca/Content/SEN/Committee/371/ille/presentation/pires-e.htm.

[4] In merito a tale espressione, cfr. D. Salas, Le droit pénal à l'ère du libéralisme autoritaire, in AA.VV., Un droit pénal postmoderne? Mise en perspective des évolutions et ruptures contemporaines, sous la direction de M. Massé-J.P. Jean-A. Giudicelli, Droit et justice, Presses Universitaires de France, Paris, 2009, p. 113.

[5] Così, D. Salas, Le droit pénal à l'ère du libéralisme autoritaire, cit., p. 117, premettendo che «L'État joue ainsi périodiquement sa légitimité dans sa capacité à démontrer son efficacité dans la lutte contre le crime. De là vient l'appel démiurgique à la sécurité en forme de réhabilitation du politique de la part d'un poivoir dont nul n'attend plus qu'il enchante notre avenir».

[6] Vd., in tali termini, A. Bassi, La disciplina sanzionatoria in materia di stupefacenti, Cedam, Padova, 2010, p. 374.

[7] Così C. Ruga Riva, La nuova legge sulla droga: una legge "stupefacente" in nome della sicurezza pubblica, cit., p. 247, all'indomani dell'entrata in vigore dell'inedita previsione. L'elaborazione più recente, nondimeno, è orientata nel senso di individuarne la collocazione sistematica nell'ampio genus delle misure di prevenzione personali: cfr., ex multis, tra le più recenti, Cass., sez. III, 24 giugno-14 luglio 2015, n. 30194; sez. VI, 12 febbraio-27 aprile 2015, n. 17656.

[8] Per un'approfondita disamina circa le previsioni di cui all'art. 75-bis del d.P.R. n. 309 del 1990 si rinvia a F. Fiorentin, Le misure di prevenzione nel Testo univo in materia di stupefacenti, in Rassegna penitenziaria e criminologica, n. 3/2011, pp. 5 ss.; Ead., Le misure di prevenzione personali, Milano, 2012, pp. 367 ss.

[9] Cfr. Cass., sez. III,  9 maggio-11 giugno 2013, Pres. Squassoni, Rel. Franco,  in questa Rivista, 9 luglio 2013, con nota di C. Cupelli, Il testo unico sugli stupefacenti alla prova del cambio di passo della giurisprudenza costituzionale.

[10] Il riferimento è a Corte cost. n. 32 del 2014, su cui, volendo, V. Manes-L. Romano, L'illegittimità costituzionale della legge c.d. "Fini-Giovanardi": gli orizzonti attuali della democrazia penale, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., n. 1/2014, pp. 215 ss.

[11] Con il ricorso si lamentava l'erronea applicazione delle norme procedurali e sostanziali contenute nell'art. 75-bis del d.P.R. n. 309 del 1990, rispettivamente, in relazione al mancato rispetto del diritto di difesa - per essere stato il decreto di convalida del provvedimento del Questore emesso prima che fosse trascorso in termine di 48 ore dalla notifica dello stesso all'interessato- ed in ordine alla sussistenza delle condizioni previste dalla menzionata disposizione - in particolare per quanto riguarda la necessità e urgenza del provvedimento in relazione all'inesistenza del pericolo per la sicurezza pubblica e all'adeguatezza del suo contenuto, anche sotto il profilo della specie e della natura delle misure imposte (così, pressoché testualmente, il Ritenuto in fatto dell'ordinanza di rimessione).

[12] Il riferimento è, in particolare, a Corte cost. sent. n. 22 del 2012; ord. n. 34 del 2013; sent. n. 32 del 2014, cit. Sul tema, in un'ottica prettamente penalistica, si vedano la ricostruzione e le riflessioni di C. Cupelli, Incostituzionalità per vizio procedurale, reviviscenza della normativa abrogata e riserva di legge in materia penale, in GC, n. 1/2014, pp. 505 ss.; Ead., Il testo unico sugli stupefacenti alla prova del "cambio di passo" della giurisprudenza costituzionale, cit.; e, volendo, succintamente, V. Manes-L. Romano, L'illegittimità costituzionale della legge c.d. "Fini-Giovanardi": gli orizzonti attuali della democrazia penale, cit., pp. 216 ss. Più in generale, sulla questione, ampiamente 'dissodata' dalla dottrina costituzionalistica, si vedano, tra gli ultimi, i diversi contributi reperibili in Focus fonti, n. 1/2014, di Federalismi.it dell'11 luglio 2014.

[13] Perché se fossero del tutto dissonanti sarebbero per ciò solo già costituzionalmente illegittime.

[14] Trattasi del maxiemendamento governativo - interamente sostitutivo del disegno di legge di conversione, presentato direttamente in Assemblea e sul quale è stata posta la questione di fiducia sia alla Camera che al Senato - in cui veniva incorporato un autonomo disegno di legge (A.S. 2953) in materia di stupefacenti, 'bloccato' in Senato e da tempo in attesa di approvazione. La giustificazione cui ci si riferisce nel testo è quella secondo cui il maxiemendamento in discorso avrebbe rappresentato l'epilogo «di un lungo percorso legislativo che raccoglieva tre anni di esperienza parlamentare e con il quale si voleva chiudere un'"annosa vicenda"».

[15] In concreto, è doveroso ricordare che la Corte costituzionale è un organo responsivo, in grado, se del caso, di incidere sulle norme di volta in volta impugnate a patto che le ordinanze di rimessione esibiscano determinati requisiti di ammissibilità delle questioni di illegittimità prospettate.

[16] L'esame, beninteso, avrebbe dovuto avere ad oggetto le disposizioni aggiunte in sede parlamentare singolarmente considerate, secondo quanto stabilito dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 32 del 2014 (vd. infra nt. 32). L'ordinanza di rimessione in commento, per esempio, reputa che «l'unica norma in materia di stupefacenti, aggiunta in sede di conversione che non appare del tutto estranea alla ratio dell'art. 4 è l'art. 4-undecies, strettamente connesso all'esecuzione del programma terapeutico del tossicodipendente recidivo detenuto o suscettibile di esserlo» (cfr., punto 7 del Considerato in diritto).

[17] Ci eravamo espressi in tali termini, in particolare, in occasione dell'incontro formativo «Stupefacenti: facciamo il punto» organizzato dalla Camera penale di Brescia e svoltosi il 14 aprile 2015, a Brescia, presso l'Istituto Artigianelli.

[18] Perplessità sono state sollevate, in particolare, in relazione alla parte in cui l'art. 75-bis del d.P.R. n. 309 del 1990 consente l'adozione da parte del Questore di provvedimenti restrittivi della libertà personale del cittadino al di fuori dei casi eccezionali di necessità ed urgenza e, dunque, in spregio all'art. 13 Cost.: così C. Ruga Riva, La nuova legge sulla droga: una legge "stupefacente" in nome della sicurezza pubblica, cit., pp. 257 s.; stigmatizzava, viceversa, il deficit di tassatività/determinatezza dell'art. 75-bis, prospettando la conseguente violazione dell'art. 25, co. 2, Cost. nonché, in prospettiva ulteriore, dell'art. 7, co. 1, CEDU, V. Manes, La riforma della disciplina sanzionatoria in materia di stupefacenti, cit., pp. 123 s.

[19] In argomento, cfr. F. Sgubbi, Il bene giuridico e la legge di riforma in materia di stupefacenti, in AA.VV., La riforma della legislazione penale in materia di stupefacenti, a cura di F. Bricola-G. Insolera, Padova, 1991, pp. 63 ss.

[20] La sicurezza pubblica è stata individuata come uno dei (molteplici) punti di fuga della protezione penale offerta dalla legislazione antidroga nelle seguenti sentenze della Consulta: Corte cost., 11 luglio 1991, n. 333 (in Il Foro it., 1991 I, 2630, con nota di G. Fiandaca, La nuova legge antidroga tra sospetti di incostituzionalità e discrezionalità legislativa; tra gli altri commenti alla citata sentenza, cfr., in particolare, C.F. Palazzo, Dogmatica ed empirìa nella questione di costituzionalità della legge antidroga, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, pp. 308); 27 marzo 1992, n. 133 (in Cass. pen. 1992, p. 2612, con nota di D. Manzione, La legge sugli stupefacenti ancora all'esame della Consulta); 18 giugno 1992, n. 308. Nel solco tracciato dalla Corte costituzionale si collocavano le pronunce della Corte di cassazione: v., per tutte, Cass., Sez. Un., 24 giugno-21 settembre 1998, Kremi (in Il Foro it., 1998, II, 758, con note di G. Amato, Cessione di sostanza stupefacente priva di effetti droganti e reato impossibile e di G. Riccardi, Alla ricerca dell'offensività perduta: note a margine di una discutibile sentenza delle Sezioni Unite). In merito al carattere plurioffensivo degli illeciti in materia di stupefacenti, in riferimento alla normativa previgente, cfr. A. Bassi, La disciplina sanzionatoria in materia di stupefacenti, cit., pp. 19 ss.; S. Grillo, Stupefacenti. D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 390, in F. Palazzo-C.E. Paliero (a cura di), Commentario breve alle leggi penali speciali, Padova, 2007, sub art. 73, pp. 2755 ss.

[21] Cfr. ancora C. Ruga Riva, La nuova legge sulla droga: una legge "stupefacente" in nome della sicurezza pubblica, cit., pp. 249 ss.

[22] Così, pressoché testualmente, M. Donini, "Danno" e "offesa" nella c.d. tutela dei sentimenti. Note su morale e sicurezza come beni giuridici, a margine della categoria dell'"offense" di Joel Feinberg, in AA.VV., Laicità, valori e diritto penale. The Moral Limits of the Criminal Law. In ricordo di Joel Feinberg, a cura di A. Cadoppi, Milano, 2010, p. 76, aggiungendo in merito che il riferimento sarebbe ad «un bene giuridico di rilevanza solo amministrativa, ma con effetti personali per le sanzioni irrogabili, utilizzato in modo manifestamente evanescente per ragioni che non attengono al 'fatto', e che nasconde, rispetto a tale illecito, finalità di controllo sociale ben diverse e orientate ai tipi d'autore, anziché alle condotte tipiche. Si tratta, a tale riguardo, di un pessimo uso della categoria del bene giuridico da parte della legge, senza considerare gli effetti ermeneutici negativi e indiretti che una tale gestione dei beni giuridici protetti può esplicare sulle fattispecie penali maggiori della detenzione illecita e della cessione» (corsivi originali).

[23] Questa sarebbe la tesi di Ch. Guillain, Les facteurs de criminalisation et les resistences à la décriminalisation de l'usage de drogues en Belgique. Du controle international aux préoccupations sécuritaires, in Revue interdisciplinaire d'études juridiques, n. 63/2009, pp. 119 ss., in part. pp. 129 ss.: «Nous avons fait l'hypothèse que c'est ici, au-delà des textes normatifs et politiques au plan national, européeen et international, le deploiement d'un imaginaire de l'insécurité associé aux usages des drogues illicites qui explique l'impossibilité de dépasser le stade de la discussion et du débat en matière de décriminalisation. À l'inverse de l'alcool, drogue socialisée, les usages de drogues illicites sont perçus comme intrinsèquement liés aux scènes de la petite délinquence et de l'insécurité, lus comme source de nuisances sociales et d'incivilités, voire comme entrée dans le circuits de la grande criminalité. L'influence prépondérante d'un contexte sécuritaire associé à l'usage de drogues nous semble ainsi constituer le principal facteur de résistance à la décriminalisation». A tale proposito, con efficacia si è osservato ed argomentato che: «Si, dans les années 2000, l'image de l'usager se modifie et n'est plus associé à la figure de déchéance physique et sociale véhiculée dans les années 1990, si l'usage de cannabis se généralise et se normalise, si on parle de toxicomanie généralisée englobant dorénavant drogues illicites et licites comme le tabac et l'alcool, si la pénalisation se déplace vers des nouvelles figures de dangerosité et si la drogue ne constitue plus la préoccupation majeure des politiques répressives, elle n'en reste pas moins inscrite à l'agenda politique au nom d'une association entre usage de drogues et insécurité qui ne disparâit pas. Les concepts, institutionnalisées par les derniers textes législatifs, de consommation problématique, de nuisances publiques, de troubles à l'ordre public ou encore d'incivilités font plus que jamais de l'usage de drogues un comportement mobilisable et mobilisé pour justifier une intervention répressive qui semble dépasser la simple activation ponctuelle de la loi pénale. Il semble cependant que ce ne soit plus tant l'usage en soi qui pose problem actuellement, mais bien les circonstances dans lesquelles il s'inscrit, dès lors que ces circonstances traduisent une situation à risque. La directive de politique criminelle de 2005 ou la loi de 2006 permettant l'arrestation administrative des personnes se trouvant publiquement sous l'influence de drogues, lorsque leur presence provoque désordre, scandale ou danger, témoignent de ce souci de mieux contrôler des populations sur la base de risque sécuritaire et des nuisances que leur comportement est susceptible d'induire sur la vie en société. Et si les derniéres notes politiques mettent l'accent sur la lutte qu'il convient de mener à l'encontre de l'offre de drogues ou du tourisme de la drogue, ce n'est pas en tant que responsables de l'usage, mais de nuisances publiques liées à cette usage».

[24] Peraltro, come sarà noto, la disciplina di cui alla menzionata Decisione-quadro dovrebbe essere emendata per il tramite di una Direttiva emanata, tra gli altri, ai sensi dell'art. 83(1) TFUE: la Commissione europea ha già approvato la Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica, per quanto riguarda la definizione di "stupefacenti", la decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti [COM/2013/0618 final-2013/0304 (COD)], a cui ha fatto seguito - il 17 aprile 2014 - la Risoluzione legislativa del Parlamento europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica, per quanto riguarda la definizione di «stupefacenti», la decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti, con cui sono stati apportati degli emendamenti alla versione licenziata dalla Commissione (il testo in italiano è consultabile su http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2014-0454+0+DOC+XML+V0//IT).

[25] Lo evidenzia C. Ruga Riva, La nuova legge sulla droga: una legge "stupefacente" in nome della sicurezza pubblica, cit., p. 247.

[26] Per una articolata disamina di tale politica, cfr. V. Havy, La politique de l'Union européenne en matière de stupéfiants, Bruxelles, Bruylant, 2008.

[27] Così, ancora una volta, Ch. Guillain, Les facteurs de criminalisation et les resistences à la décriminalisation de l'usage de drogues en Belgique, cit., p. 131.

[28] Cfr. Corte di giust., 16 dicembre 2010, C-137/09, Marc Michel Josemans contre Burgemeester van Maastricht.

[29] La misura, in particolare, veniva considerata non eccedente rispetto all'obiettivo conseguito: la possibilità, prospettata come alternativa, di consentire l'accesso ai coffee shops ai non residenti, pur non negando loro la vendita di cannabis, non avrebbe in effetti garantito di controllare e sorvegliare con precisione che tale prodotto non venisse servito ai non residenti o da questi ultimi consumato, potendo forse, a dire della Corte, quel diverso approccio favorire anche il commercio illegale o la rivendita di cannabis da parte dei residenti ai non residenti all'interno dei coffee shops.

[30] Cfr. Corte di giust., 16 dicembre 2010, C-137/09, Marc Michel Josemans contre Burgemeester van Maastricht, cit., punto 65): «Si deve osservare che la lotta al turismo della droga ed il disturbo che esso provoca si collocano nel contesto della lotta alla droga. Essa si collega sia al mantenimento dell'ordine pubblico sia alla tutela della salute dei cittadini, e ciò a livello tanto degli Stati membri quanto dell'Unione». Sul punto, cfr. anche le Conclusioni dell'Avvocato, Yves Bot, del 15 luglio 2010, su http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62009C0137:IT:HTML, secondo cui il provvedimento del sindaco di Maastricht non sarebbe stato solo conforme al diritto europeo, ma altresì doveroso ai sensi degli artt. 4 TUE e 72 del TFUE, ovverosia alla luce degli obblighi incombenti allo Stato membro in forza del mantenimento dell'ordine pubblico nazionale e dell'ordine pubblico europeo.

[31] Ordine pubblico e sicurezza pubblica sono le ragioni invocate, nell'occasione, dal Governo tedesco, da quello belga, dal Comune di Maastricht: cfr., in particolare, Corte di giust., 16 dicembre 2010, C-137/09, Marc Michel Josemans contre Burgemeester van Maastricht, cit., punto 61).

[32] E ciò in oma