La complessa questione – innescata da una
circolare del Ministero dell'Interno del 17.3.2010 (meglio nota come “
circolare Manganelli”) e oggetto di attenzione dei
media durante le recenti giornate di occupazione della gru di Brescia e della torre di via Imbonati a Milano – è stata ampiamente esaminata, nei suoi risvolti amministrativi e penali, in
un altro lavoro qui pubblicato, al quale pertanto si rinvia. In questa sede, dopo aver riassunto sinteticamente i termini del
dibattito giurisprudenziale sviluppatosi negli ultimi mesi, ci si limiterà a mettere in luce
i contenuti dell'ordinanza dell’Adunanza Plenaria n. 912 del 2011. Fin da subito occorre però evidenziare come la qualificazione di tale provvedimento in termini di
nuova tappa di un lungo percorso
– invece che di vero e proprio
traguardo – non è certo casuale: l'intervento del Supremo Organo della giustizia amministrativa, infatti, è ben lungi dall'aver posto la parola
fine alla delicata questione.
Il
nodo interpretativo, sul quale negli ultimi mesi la giurisprudenza amministrativa si è letteralmente spaccata, ha per oggetto una disposizione del decreto di sanatoria per lavoratori “clandestini” occupati “in nero” (
art. 1ter del d.l. n. 78 del 2009, conv. con modif. in l. n. 102 del 2009): si tratta della norma (contenuta nel comma 13 dell'art. 1
ter) che introduce una
causa ostativa alla regolarizzazione per i “
lavoratori extracomunitari […]
che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del medesimo codice.”.
Come è noto – e per quanto rileva ai fini del problema de quo – l'art. 380 c.p.p. prevede l'arresto obbligatorio in flagranza per i delitti puniti con la “reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni”; mentre l'381 c.p.p. prevede l'arresto facoltativo in flagranza per i delitti per i quali “la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni”.
Altre pronunce (anche su questo versante, tanto di natura cautelare, come
Cons. St. ord. n. 88 del 14.1.2011, che riforma la precitata TAR Brescia ord. n. 629 del 3.9.2010;
n. 68 del 12.1.2011 che conferma
TAR Campania ord. n. 924 dell'8.10.2010; quanto di merito,
TAR Liguria, sent. n. 86 del 21.1.2011;
n. 94 del 21.1.2011;
TAR Puglia sent. n. 4307 del 27.12.2010; nonchè altre pure pubblicate nella già citata
sezione di www.meltingpot.org), invece,
escludono che tale condanna costituisca una
causa ostativa alla regolarizzazione dei soggetti “clandestini”: da un lato perché il delitto di inottemperanza non rientra nei
limiti edittali di cui all'art. 380 c.p.p.; dall'altro lato perché, pur essendo ricompreso
ratione poenae nell'art. 381 c.p.p., è lo stesso legislatore ad averlo sottratto alla disciplina dell'arresto facoltativo, prevedendo per esso l'arresto
obbligatorio attraverso la norma
speciale di cui all'art. 14, comma 5
quinquies.
Questo secondo gruppo di pronunce, inoltre, ha fatto leva su diversi argomenti basati sulla
ratio delle cause ostative alla sanatoria, ben compendiati in nella già citata sentenza del
TAR Puglia n. 4307 del 27.12.2010, secondo la quale “
la specialità della disposizione incriminatrice che viene qui in considerazione (cioè l'art. 14 più volte citato), da ricollegarsi a esigenze generali di governo del fenomeno immigratorio più che a specifiche ragioni di prevenzione penale, ha evidentemente suggerito di non estendere alla stessa un meccanismo ostativo del tutto inconferente; tenuto altresì conto del fatto che le domande di regolarizzazione sono per definizione presentate da soggetti irregolarmente soggiornanti sul territorio nazionale che – ove già colpiti da un decreto di espulsione - finirebbero per essere discriminati rispetto ad altri immigrati irregolari non ancora individuati dalle Forze dell’Ordine”. E' stato infine messo in luce come
il delitto di inottemperanza all'ordine di allontanamento risulti in contrasto con la c.d. direttiva rimpatri (direttiva n. 2008/115/CE, con riferimento alla quale numerosi sono i contributi dottrinali e giurisprudenziali
pubblicati in questo sito), ragione per la quale – pare potersi evincere da alcune affermazioni dei giudici amministrativi – esso non sarebbe più in grado di dispiegare alcun tipo di effetto pregiudizievole per gli interessi dei privati (v. le precitate sentenze del
TAR Liguria, n. 86 del 21.1.2011;
n. 94 del 21.1.2011 ed altre citate in
Sanatoria 2009 - Il reato di inottemperanza all’espulsione è in contrasto con la direttiva 115/2008. Non è quindi ostativo all’emersione, in
www.meltingpot.org).
Per completezza, occorre anche segnalare che il TAR Friuli, con
ordinanza n. 100 del 24.2.2011, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell'art. 1ter, comma 13 del decreto di sanatoria, per violazione dei canoni di
ragionevolezza e proporzionalità, “
nella parte in cui dispone che non possono essere ammessi alla procedura di emersione tutti coloro che hanno subito qualsiasi condanna che rientri negli artt. 380 e 381 c.p.p., senza che sia consentito all’Amministrazione che istruisce il procedimento valutare la gravità del reato, l’allarme sociale che lo stesso ha procurato, la condotta successiva tenuta dal soggetto”.
Non è superfluo ricordare quale siano i rischi per la libertà personale ai quali va incontro lo straniero nel caso di rigetto dell'istanza di sanatoria basato su una precedente condanna ex art. 14, comma 5ter: a suo carico, infatti, si apriranno non solo un nuovo procedimento amministrativo di espulsione prefettizia, ma anche un processo penale per il delitto di cui all'art. 14, comma 5quater (inottemperanza al secondo ordine di allontanamento) per il quale è prevista la reclusione da uno a cinque anni; mentre nel caso in cui tali procedure fossero già in corso al momento dell'istanza di emersione, il rigetto della stessa comporta la loro ripresa per effetto del venir meno della causa sospensiva prevista dall'art. 1ter, comma 8 del decreto di sanatoria.
Di fronte a tale contrasto giurisprudenziale,
la Sesta sezione del Consiglio di Stato (
ord. n. 376 del 19.1.2011),
ha rimesso la questione interpretativa all'Adunanza Plenaria.
Occorre a questo punto evidenziare come il giudizio a quo davanti alla Sesta sezione avesse ad oggetto l'appello contro un'ordinanza del TAR Emilia-Romagna che aveva respinto l'istanza di sospensione cautelare del provvedimento di rigetto di sanatoria (rigetto basato, ça va sans dire, su una precedente condanna ex art. 14, comma 5ter t.u. imm.). Ebbene, esaminando l'ordinanza pronunciata dall'Adunanza Plenaria, pare evidente come la natura cautelare della fase processuale dalla quale è scaturita l'ordinanza di rimessione ne abbia profondamente condizionati i contenuti e la portata.
I giudici supremi, infatti, si sono limitati a rilevare la sussistenza dei requisiti per la concessione della tutela cautelare – il fumus boni iuris ed il periculum in mora – senza invece prendere posizione sulle due delicatissime questioni che erano emerse dall'illustrato contrasto giurisprudenziale: se la condanna ex art. 14, comma 5ter sia o meno riconducibile al novero delle cause ostative alla sanatoria; e se – qualora si ritenesse che tale condanna costituisca una causa ostativa alla regolarizzazione – la c.d. direttiva rimpatri dispieghi rispetto ad essa un effetto paralizzante. È per questo che, in apertura del presente lavoro, si è posto l’accento sul fatto che la vicenda partorita dalla circolare Manganelli è ancora lontana dall’essere giunta ad una conclusione.
L'ordinanza n. 912/2010, dopo avere sinteticamente richiamato i termini del contrasto giurisprudenziale, ha infatti osservato: “In tale situazione, l’Adunanza Plenaria non può che prendere atto della complessità della questione sottopostale e della connesse difficoltà interpretative, ulteriormente accentuate dal rilievo che va assumendo nella giurisprudenza penale il decorso, il 24 dicembre 2010, del termine per il recepimento della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008 n. 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (tra le altre, Tribunale di Torino – Sezione IV penale – 5 gennaio 2011 n. 52), cui si è accompagnata l’adozione della Circolare 17 dicembre 2010 da parte del Ministero dell’interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Ritiene pertanto il Collegio che, quanto al fumus, tenuto anche conto della natura cautelare del provvedimento appellato, sia necessario attendere che l’esame dei profili di diritto sia affrontato nella rituale sede di merito dinanzi al giudice di primo grado, cui la questione viene rimessa per la sollecita fissazione della relativa udienza, ai sensi e per gli effetti cui all’art. 55, comma 10, del c.p.a.”
Una volta affermata la sussistenza del
fumus boni iuris, l'Adunanza plenaria ha altresì riconosciuto
la presenza di un periculum in mora (“
Quanto al danno lamentato dall'appellante, può essere confermato il favorevole apprezzamento dei motivi addotti come già ritenuto dalla Sezione remittente”: invero, nell'ordinanza di rimessione non vi è traccia di valutazioni relative al
periculum, il quale può tuttavia essere facilmente individuato nei
pregiudizi alla libertà personale dello straniero sopra evidenziati. Sul tema dell'irreparabilità del pregiudizio derivante dal rigetto dell'istanza di sanatoria, v.
Sanatoria 2009 - Condanne per inottemperanza all’espulsione. Diverse le pronunce positive del Consiglio di Stato, in
www.meltingpot.org), e per l'effetto,
accogliendo l'appello cautelare,
ha sospeso l'efficacia del provvedimento di diniego di sanatoria impugnato.
In conclusione, si può ritenere che l'ordinanza n. 912/2011 dell'Adunanza Plenaria abbia affermato il seguente principio di diritto: l'istanza di sospensione cautelare del provvedimento di diniego di sanatoria basato su una precedente condanna ex art. 14, comma 5ter possiede i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, e pertanto il giudice amministrativo deve concedere, ai sensi degli artt. 55 ss. del codice del processo amministrativo, la sospensione cautelare del diniego, nell'attesa che il ricorso sia deciso nel merito.