ISSN 2039-1676


06 giugno 2016 |

Alle Sezioni Unite la questione sulla compatibilità  dell'aggravante della crudeltà  con il c.d. "dolo d'impeto"

Nota a Cass., Sez. I, Ord. 13 gennaio 2016 (dep. 6 maggio 2016), n. 18955, Pres. Vecchio, Rel. Talerico, Ric. Proc. Rep. Vasto, Imp. Del Vecchio

1. Con l'ordinanza in commento, la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha rimesso alla valutazione delle Sezioni Unite la seguente questione: «se, avuto riguardo agli elementi costitutivi della aggravante della crudeltà, la modulazione dell'elemento psicologico del delitto, nella forma del dolo d'impeto, abbia influenza sulla configurabilità della circostanza in questione»[1].

La Cassazione, nel caso di specie, è chiamata a pronunciarsi a seguito di un ricorso per saltum promosso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vasto avverso una sentenza emessa il 27 maggio 2014, a seguito di giudizio abbreviato, dal G.U.P. del medesimo Tribunale.

 

2. Il giudice di merito - in particolare - aveva dichiarato la responsabilità penale dell'imputato per l'omicidio dei genitori, ricostruendo i fatti come segue: il Del Vecchio aggredì con un coltello da cucina prima il padre (cogliendolo nel sonno, mentre costui era in camera da letto) e poi la madre (intenta a guardare la TV in cucina), colpendoli rispettivamente con trentanove e settantadue coltellate; inoltre, immediatamente dopo i due delitti, l'imputato appose un cappio attorno al collo della madre e trascinò entrambi i corpi nella sua stanza, nascondendoli sotto al letto, prodigandosi infine per ripulire la scena del delitto.

Accertata la condotta dell'imputato, il g.u.p. lo aveva condannato alla pena di vent'anni di reclusione, calcolata escludendo - solo in relazione all'omicidio della madre - l'aggravante della minorata difesa della vittima, nonché - in riferimento a entrambi gli omicidi - le ulteriori aggravanti dell'uso di mezzo insidioso e della crudeltà, e riconoscendo invece le circostanze attenuanti generiche - in ragione della complessa e violenta situazione familiare gravante sull'imputato - con giudizio di equivalenza rispetto alle residue aggravanti.

Con particolare riferimento a quanto qui di interesse, deve rilevarsi che il giudice aveva escluso la ricorrenza dell'aggravante della crudeltà osservando che «per consolidato orientamento della Suprema Corte il numero di colpi inflitti alla vittima non è da solo bastevole a giustificare» l'aggravio di pena, posto che il "numero inusitato dei colpi" avrebbe meglio trovato giustificazione nella natura impetuosa del dolo che aveva animato l'imputato.

 

3. Come già anticipato, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vasto ha impugnato per cassazione la sentenza del G.U.P., esponendo quattro articolati motivi di ricorso, ben riepilogati nell'ordinanza in commento.

Pare superfluo trattare, in questa sede, gli ultimi tre motivi (rispettivamente relativi al mancato riconoscimento dell'aggravante della minorata difesa in relazione all'omicidio della madre, alla carenza di motivazione in ordine al riconoscimento o meno della recidiva contestata ed all'illogicità della motivazione stessa in punto di giudizio di bilanciamento delle circostanze), dovendosi dedicare maggiore attenzione al motivo principale di ricorso: con esso, infatti, il P.M. ricorrente ha contestato la sentenza per «violazione di legge e difetto di motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione all'art. 576 c.p. con riferimento al disconoscimento dell'aggravante dell'avere agito con crudeltà nei confronti delle vittime».

Il ricorrente, a questo proposito, ha evidenziato come il Giudice di merito, «pur dando atto della "inaudita ferocia" con la quale il Del Vecchio aveva agito, [avesse] tuttavia escluso la ricorrenza dell'aggravante della crudeltà, sostenendo che il numero dei colpi inferti non fosse sufficiente a integrare la contestata aggravante»; ciò non sarebbe condivisibile, posto che «un elemento quale il numero complessivo di centoundici coltellate, che certamente connota e deve connotare l'azione criminosa - perché naturalmente attinente alla modalità esecutiva della stessa - viene scisso da questa e ritenuto esclusivamente afferente alla sfera soggettiva dell'imputato quale forma di connotazione del dolo, confondendo così il movente con l'elemento soggettivo del reato».

Il Procuratore della Repubblica, in sostanza, ha osservato come l'ampia reiterazione di colpi nei confronti delle vittime avesse esorbitato i "limiti della normalità causale", sfociando in una "manifestazione di disumana violenza" tale da protrarsi fino a dopo la morte delle vittime stesse.

 

4. Premesso quanto sopra, il collegio rimettente ha rilevato come la decisione del Giudice di merito relativa alla problematica in questione si fosse basata su una recente pronuncia di legittimità secondo cui «in tema di omicidio, il Giudice, per ritenere la sussistenza dell'aggravante di aver agito con sevizie e crudeltà, deve preliminarmente procedere all'esame delle modalità complessive dell'azione e del correlato elemento psicologico, poiché, essendo il fondamento della circostanza costituito dall'esigenza di irrogare una maggior pena correlata alla volontà dell'agente di infliggere sofferenze "aggiuntive" rispetto a quelle ordinariamente implicate dalla produzione dell'evento, ai fini della sua configurabilità non possono assumere rilievo elementi di disvalore di per sé insiti nel finalismo omicidiario o in diversa e autonoma circostanza»[2]; tale pronuncia, in particolare, era intervenuta al termine di un giudizio in cui la Corte aveva escluso la sussistenza dell'aggravante della crudeltà, riconosciuta dal Giudice di merito con prevalente riferimento al numero di colpi inferti e all'abbandono della vittima agonizzante, evidenziando che tali elementi si collocavano in un contesto di dolo d'impeto e di "finalismo omicidiario" correlato a tale condizione psicologica.

 

5. Quindi, dopo aver illustrato il più recente arresto giurisprudenziale relativo all'aggravante della crudeltà, la Corte - nell'ordinanza in commento - ha ritenuto necessario riepilogare le più significative pronunce di legittimità in tema di definizione e di elementi costitutivi dell'aggravante in discussione; l'ordinanza, in particolare, ha partitamente suddiviso le pronunce che affrontano la distinzione tra l'aggravante della crudeltà e quella delle sevizie dalle pronunce che, invece, indagano specificamente sul concetto di crudeltà.

Il Collegio, dunque, ha ricordato come - nel tempo - si sia affermato che «le sevizie consistono [...] in sofferenze non necessarie inflitte alla vittima, [mentre] la crudeltà concerne il modo dell'azione direttamente rivolta alla realizzazione dell'evento-morte e si caratterizza per il mezzo usato o per le modalità della condotta»[3]; ancora, la Corte ha rammentato che «il contenuto oggettivo e prevalentemente fisico delle sevizie e quello oggettivo e prevalentemente morale della crudeltà rivelano entrambi l'animo malvagio dell'agente, il quale oltrepassa i limiti di normalità causale nella produzione dell'evento»[4]; ulteriormente, il Collegio ha osservato come la Suprema Corte avesse già affermato che «la circostanza aggravante di aver adoperato sevizie o agito con crudeltà verso le persone, in quanto è espressione della intensità del dolo e della mancanza di sentimenti umanitari, ha natura soggettiva»[5].

Sul concetto di crudeltà, poi, il Collegio rimettente - dopo aver osservato che «la giurisprudenza è sostanzialmente concorde nel sottolineare il carattere precipuamente soggettivo della circostanza, restando tuttavia controversa la questione della necessità della condizione della percezione sensoriale da parte della vittima della azione delittuosa» - ha enumerato i seguenti precedenti giurisprudenziali:

- Cass., Sez. I, sent. 24 aprile 1968, n. 672 e Cass., Sez. I, sent. 25 marzo 1969, n. 466, secondo le quali «rientrano nel concetto di crudeltà tutte quelle manifestazioni esecutive che denotano l'indole particolarmente malvagia dello agente, [come] l'infierire sulla vittima agonizzante con numerosi colpi di coltello»;

- Cass., Sez. I, sent. 2 marzo 1971, n. 217 e Cass., Sez. I, sent. 18 gennaio 1996, n. 1894, che postulano la necessità - per la configurazione dell'aggravante in parola - di una volontà dell'agente di utilizzare mezzi idonei ad arrecare sofferenze più gravi di quelle necessarie;

- Cass., Sez. I, sent. 22 giugno 1971, n. 556 e Cass., Sez. I, sent. 19 maggio 1995, n. 9544, per le quali l'aggravante della crudeltà punisce «la mancanza di sentimenti umanitari da parte del soggetto attivo del reato» e secondo cui «è necessario che le sofferenze vengano arrecate alla vittima quando essa è ancora in vita»;

- Cass., Sez. I, sent. 29 ottobre 1998, n. 4678, che esclude la necessità per cui la vittima debba essere cosciente delle ultronee crudeltà subite, posto che l'aggravante della crudeltà deve considerarsi «essenzialmente imperniata sulla considerazione dell'autore dell'illecito e sulla conseguente maggiore riprovevolezza di un modus operandi connotato da una particolare insensibilità, spietatezza o efferatezza».

 

6. La Corte, in conclusione, ha rilevato che «l'incertezza circa la nozione giuridica della crudeltà» - ben palesata dalle antitetiche pronunce poc'anzi riepilogate - «ha comportato che analoghe modalità di estrinsecazione della condotta delittuosa, consistite nella reiterata inflizione di ferite superficiali (finalizzata ad arrecare non la morte della vittima, bensì ulteriori sofferenze) siano state ricondotte, alternativamente, sia alla aggravante in parola sia a quella delle sevizie».

In particolare, le osservazioni della Corte sono giunte ad individuare uno specifico precedente - contrastante con il più recente orientamento al quale il Giudice della sentenza impugnata aveva aderito - per il quale «l'aggravante prevista dall'art. 61 n. 4 c.p. è compatibile con il dolo d'impeto»[6].

Il Collegio rimettente, quindi, ha ritenuto che tale ultimo principio non possa ritenersi superato, posto che «la ravvisata matrice soggettiva della aggravante della crudeltà sembra costituire un dato preesistente e, dunque, indipendente rispetto all'insorgenza dell'elemento psicologico del reato», posto che «la condotta perpetrata con dolo d'impeto integra - ovvero no - alternativamente l'aggravante della crudeltà a seconda che risulti espressiva della pravità del reo, assolutamente prescindendo dalla connotazione dell'elemento psicologico della condotta»: su queste basi, quindi, si è resa necessaria la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite che, dunque, saranno chiamate a fare il punto sulla questione.

 

[1] Segnaliamo sin d'ora che il Primo Presidente della Corte ha fissato la discussione del ricorso per l'udienza del prossimo 23 giugno; sarà cura della nostra Rivista dare tempestivamente conto della decisione che assumerà il Supremo Collegio.

[2] Cass., Sez. I, sent. 10 febbraio 2015, n. 8163.

[3] Cass., Sez. I, sent. 12 marzo 1976, n. 8686.

[4] Cass., Sez. I, sent. 14 febbraio 1980, n. 5901.

[5] Cass., Sez. I, sent. 6 ottobre 1987, n. 747.

[6] Cass., Sez. I, sent. 2 luglio 1982, n. 435.