ISSN 2039-1676


06 giugno 2016

La Consulta reintroduce la possibilità di sospensione dell'esecuzione delle pene detentive "brevi" inflitte per il reato di furto con strappo

Corte cost., sent. 6 aprile 2016 (dep. 1 giugno 2016), n. 125, Pres. Grossi, Rel. Lattanzi

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Con sentenza depositata il 1° giugno scorso la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 9, lettera a), dell'art. 656 c.p.p., nella parte in cui stabiliva che non potesse essere disposta la sospensione dell'esecuzione nei confronti delle persone condannate per il delitto di furto con strappo. Sarà dunque nuovamente possibile che le pene detentive inflitte per il reato di cui all'art. 624-bis c.p. - ove ricorrano le condizioni indicate in apertura del comma 5 dello stesso art. 656 c.p.p. - non vengano eseguite con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna: il pubblico ministero, al contrario, sospenderà gli effetti del cosiddetto ordine di carcerazione, affinché l'interessato possa sollecitare forme alternative di esecuzione della pena.

L'opportunità di evitare l'esperienza carceraria, per la fattispecie criminosa che dal 2001 è delineata al secondo comma dell'art. 624-bis c.p., era stata esclusa mediante l'art. 2, comma 1, lettera m), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125. Con quell'intervento, il legislatore aveva implementato l'elenco dei delitti per i quali la sospensione dell'esecuzione era esclusa, in forza d'un giudizio normativo di particolare pericolosità dei relativi autori. L'attendibilità della presunzione assoluta, originariamente calibrata sul solo e solito catalogo dell'art. 4-bis della legge di Ordinamento penitenziario, si era andata consumando, per altro, in misura proporzionale all'espandersi della lista dei reati sottoposti al regime di rigore, fino appunto all'inclusione di fattispecie che, nei casi concreti, possono ridursi a fatti di rilievo criminale non spiccato.

Va subito aggiunto, comunque, che nella specie la Corte non ha esplicitato un giudizio di inattendibilità della presunzione normativa, come riferita al furto con strappo, ciò che forse si deve all'impostazione prescelta dal giudice che ha sollevato la questione. La violazione dell'art. 3 Cost. è stata ravvisata, piuttosto, in base ad una comparazione tra la disciplina dell'esecuzione concernente il furto e quella relativa alla rapina non aggravata, cioè ad un reato per il quale, invece, operava ed opera, alle condizioni di legge, la sospensione dell'esecuzione della pena detentiva.

La Corte ha notato che non v'è modo di attribuire all'autore di un furto, sia pure commesso con violenza sulla cosa, una pericolosità maggiore di quella espressa dal rapinatore. Anche quando il delitto punito dall'art. 628 c.p. costituisce in fatto uno sviluppo dell'azione violenta iniziata riguardo alla cosa (il che - come la Corte ricorda - accade spesso, perché gli effetti della forza applicata si trasferiscono facilmente dall'oggetto della condotta criminosa alla persona che lo detiene), si riscontra all'evidenza una progressione dell'offesa. Nessun elemento di minore allarme potrebbe giustificare, quindi,  il miglior trattamento della rapina rispetto al furto.

In base a questa sola considerazione (anche la questione posta ex art. 27, terzo comma, Cost. non è stata esaminata, per il ritenuto suo "assorbimento"), la Corte ha dichiarato illegittima la disciplina denunciata. (G.L.)