ISSN 2039-1676


18 ottobre 2016 |

Salvadori I., I reati di possesso. Un’indagine dogmatica e politico-criminale in prospettiva storica e comparata, Napoli, 2016, pp. XXII+466

Autorecensione

A fronte dell’ampio impiego che il nostro legislatore ha fatto, e continua a fare, della assai discussa tecnica normativa dei reati di possesso sorprende lo scarso interesse della dottrina italiana. Salvo qualche eccezione[1], in nessun manuale, saggio, voce enciclopedica o monografia i reati di possesso vengono specificamente trattati come categoria dogmatica autonoma, al pari, ad esempio, di quelli di evento, di pericolo o di attentato. Non sono mancate, è vero, autorevoli ed approfondite analisi, stimolate anche da numerose e controverse pronunce della Corte costituzionale, sulle problematiche che sollevano i cd. reati di sospetto[2]. Ma questi ultimi, che per la loro peculiare struttura normativa costituiscono uno speciale sottogruppo dei reati di possesso, presentano problemi dogmatici e politico-criminali particolari che solo in parte sono comuni a quelli di possesso. Si è così finito con il porre l’attenzione su poche fattispecie di “sospetto” (in specie quelle contravvenzionali di cui agli artt. 707 e 708 c.p.), senza trattare in modo unitario l’assai più ampio e complesso gruppo dei reati di possesso.

I reati di possesso («Besitzdelikte», «possession offences», «delitos de posesión» o «delitos de tenencia») sollevano peculiari problemi dogmatici di non facile soluzione e la loro incriminazione risponde a specifiche ragioni politico-criminali, fatte proprie non solo dai legislatori nazionali, ma anche dagli organismi internazionali (in specie ONU, Consiglio d’Europa, Unione Europea). In definitiva si tratta di una categoria di rilevante attualità e di notevole interesse scientifico, come dimostra anche il recente fiorire di autorevoli contributi nella penalistica di lingua tedesca, spagnola ed angloamericana[3], che richiede di essere approfondita da un punto di vista dogmatico e politico-criminale, in prospettiva storica e comparata.

Su queste problematiche si incentra il volume monografico “I reati di possesso. Un’indagine dogmatica e politico-criminale in prospettiva storica e comparata”, pubblicato nella Collana del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Verona. L’indagine si divide in tre parti.

Nella prima parte, dopo aver definito il concetto di reato di possesso, il cui oggetto materiale può essere costituito non solo da una entità fisica (armi, monete alterate, grimaldelli, sostanze stupefacenti, ecc.), ma anche da un oggetto immateriale (ad es. software, dati informatici, materiale pedopornografico online, informazioni, ecc.), ed aver escluso dall’ambito della ricerca le fattispecie incriminatrici in cui il possesso non è l’essenza del divieto, ma soltanto il suo «presupposto» (cap. I), si evidenziano, da un punto di vista storico-comparato, le diverse fasi evolutive della rilevanza penale del possesso di cose e di oggetti (cap. II), partendo dal diritto penale romano fino al Codice Rocco, passando attraverso l’analisi dei codici italiani preunitari, del Codice Zanardelli e degli ordinamenti giuridici stranieri a noi culturalmente più vicini. Si individuano quindi i principali fattori che hanno portato, a partire dalla seconda metà del Novecento, ad un considerevole aumento, nella nostra legislazione penale e in quella straniera, delle fattispecie che incriminano il mero “possesso” di un oggetto.

Il legislatore italiano, in linea con la tradizione dei codici preunitari, e a differenza di quanto si riscontra in altri ordinamenti giuridici (ad es. tedesco, austriaco, svizzero, inglese e statunitense), soltanto in pochi casi ha punito espressamente il mero «possesso» di una cosa o di un oggetto. Dall’analisi della disciplina codicistica e della legislazione complementare emerge come nel nostro ordinamento siano più numerose, analogamente a quanto previsto, ad esempio, in quello spagnolo, argentino o cileno, le fattispecie che sanzionano la mera «detenzione» di questa o quella “cosa”. A prima vista sembrerebbe pertanto più corretto parlare, rispetto al nostro sistema giuridico, di «reati di detenzione» piuttosto che di «reati di possesso». Ma come aveva già puntualmente evidenziato Nuvolone nella sua monografia sul concetto di possesso nel diritto penale, che l’illustre Maestro scrisse quando aveva soltanto venticinque anni, non vi è ragione per distinguere la detenzione dal possesso quando con questi due termini «si suole indicare in genere lo stato di fatto per cui una persona è in relazione materiale con la cosa, indipendentemente dalla fonte di questa relazione e dallo spirito che la qualifica»[4]. È dunque più corretto considerare in modo unitario le previsioni che nella nostra legislazione penale puniscono il possesso e la detenzione di un oggetto ovvero, in senso lato, la relazione di fatto che sussiste tra una persona e un determinato oggetto (come ad es. il conservare, il custodire, il portare con sé, il tenere in deposito, il fare raccolta o collezione, ecc.).

Successivamente si definiscono in modo più puntuale i concetti penalistici di possesso e di detenzione, distinguendoli dalla nozione che si ha in ambito civilistico e, prima ancora, nel diritto romano, per soffermarsi sullo specifico significato che assumono nell’economia dei reati in questione, ed in specie in quelle fattispecie che hanno ad oggetto il possesso di beni immateriali (cap. III). Vengono poi distinte le formulazioni con cui il nostro legislatore tipizza la relazione di fatto tra una persona ed un oggetto penalmente rilevante. Così facendo, è possibile cogliere la ratio che sta alla base delle diverse descrizioni del fatto tipico (Tatbestand) dei reati di possesso, ed il modo con cui si correla con il contenuto dell’elemento soggettivo e con i criteri di imputazione e “rimproverabilità” al soggetto agente. Specifica attenzione si dedica infine alle previsioni legali in cui viene punito il “possesso” di un oggetto in mancanza di autorizzazione (cap. IV).

Ampio e doveroso spazio è dato all’analisi comparata, ed in specie alle legislazioni dei Paesi di civil law, e tra questi a quelli di lingua tedesca (Austria, Svizzera e Germania), francese (Francia, Belgio e Lussemburgo) e spagnola (Spagna, Cile, Colombia e Argentina), nonché a Paesi significativi di common law (Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna), in cui la discussione dottrinale e l’applicazione giurisprudenziale concernenti i reati di possesso risultano particolarmente ricche ed avanzate, data l’elevata presenza di queste fattispecie legali (cap. V). L’obiettivo principale della ricerca comparata consiste nel cogliere le peculiarità dogmatiche e gli scopi politico-criminali di questa categoria di reati in ordinamenti diversi dal nostro, per fare emergere le diverse tecniche di tipizzazione legislativa impiegate, senza pretesa di procedere ad una (del resto impossibile) analisi esaustiva dei reati di possesso nelle legislazioni penali dei differenti sistemi giuridici.

Nella seconda parte dell’indagine si procede, muovendo dall’analisi della struttura normativa di alcune «figure» paradigmatiche di reati di possesso, ad una loro classificazione sistematica sotto il profilo del diverso grado di astrazione rispetto all’offesa di beni giuridici, in essi ravvisabile (cap. VI). Si distinguono così i reati di pericolo astratto («abstrakte Gefährdungsdelikte», «crimes of abstract endangerment»), di pericolo astratto-concreto («abstrakt-konkrete Gefährdungsdelikte») o di pericolo indiretto («crimes of indirect endangerment»). Particolare attenzione è rivolta inoltre ai reati di possesso riconducibili alle categorie dei «reati cumulativi» («Kumulationsdelikte»), dei «reati preparatori» («Vorbereitungsdelikte», «preparatory offences»), dei «reati a dolo specifico» («Absichtsdelikte», «crimes of ulterior intent»), e dei reati cd. di sospetto, nonché al significato dogmatico che la mancanza di autorizzazione, quale elemento (normativo) costitutivo del fatto tipico, riveste in molte di queste previsioni legali, nonché al rapporto tra la loro natura permanente e l’offensività del fatto tipico.

Una volta determinato l’articolarsi dei molteplici rapporti esistenti tra il possesso di un oggetto e l’offesa ad un bene giuridico, si procede ad inquadrare i reati di possesso nell’ambito della teoria generale del reato, verificandone la conformità o meno al fondamentale principio di materialità (nullum crimen sine actione), presupposto del diritto penale del fatto (cap. VII). A tal fine è necessario stabilire se i reati di possesso costituiscano dei reati di condotta, nella forma dell’azione o dell’omissione (propria o impropria), ovvero dei reati di evento o se invece rappresentino una distinta categoria dogmatica di «reati di stato» («Zustandsdelikte», «state of affairs offences») o «di posizione». Per sciogliere questo complesso nodo dogmatico si è voluto rivisitare, seppur nell’economia della ricerca, il concetto tradizionale di «azione» («Handlung», «act requirement») partendo dalle indagini svolte dagli autorevoli penalisti tedeschi, che per primi si sono occupati, all’inizio del secolo scorso, di questa controversa nozione. Al contempo si tiene conto delle più recenti ed autorevoli tesi elaborate nella penalistica di lingua tedesca, inglese e spagnola per superare la concezione meramente ontologica di azione, quale mero movimento muscolare volontario («gewillkürter Körperbewegung» o «volition corporal movement»), alla quale non può certo essere ricondotto il «fatto» di possedere una “cosa” che, nel suo significato sociale e normativo, si sostanzia nella signoria («Herrschaftswille») su un determinato oggetto.

Nella terza ed ultima parte dell’indagine si individuano, muovendo dal confronto dialettico dei più autorevoli contributi dottrinali nazionali e stranieri, gli scopi di politica criminale ed in specie gli obiettivi di ordine processuale e probatorio che il legislatore persegue mediante il ricorso ai reati di possesso, nonché i criteri per determinare quando e perché il «fatto» di possedere (detenere, portare con sé, conservare, custodire, ecc.) un determinato oggetto debba essere proibito e punito con una sanzione penale (cap. VIII). Sulla base di questi criteri di scienza della legislazione penale è possibile stabilire se e quando le scelte di incriminazione del fatto di esercitare un controllo esclusivo su un oggetto possano essere ritenute illegittime in un diritto penale costituzionalmente orientato; ed individuare, a conclusione della ricerca, alcuni essenziali requisiti di tecnica legislativa da rispettare per un adeguato e legittimo ricorso all’incriminazione del possesso di oggetti, che sia conforme ai fondamentali principi garantistici del diritto penale di rango costituzionale, convenzionale e sovranazionale in genere.

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[1] Per una prima trattazione dei principali problemi dogmatici e politico-criminali che sollevano i reati di possesso v. G. Marinucci, E. Dolcini, Corso di diritto penale, 1, 3a ed., Milano, 2001, p. 595 ss.; volendo anche I. Salvadori, I reati di possesso come tecnica di anticipazione della punibilità alla luce delle fonti internazionali ed interne, in G. Grasso, L. Picotti, R. Sicurella (a cura di), L’evoluzione del diritto penale nei settori di interesse europeo alla luce del Trattato di Lisbona, Milano, 2011, p. 273 ss.; da ultimo M. Mantovani, La struttura dei reati di possesso, in Dir. pen. cont., 7 novembre 2012, p. 1 ss.

[2] Basti citare, per tutti, F. Coppi, Osservazioni sui «reati di sospetto» e, in particolare, sul «possesso ingiustificato di valori», in Giur. cost., I, 1968, p. 1730 ss.; A. Tagliarini, Osservazioni in tema di condotta tipica nei cosidetti reati di sospetto, in Arch. pen., 1969, I, p. 330 ss.; A. Fiorella, Sui rapporti tra il bene giuridico e le particolari condizioni personali, in A.M. Stile (a cura di), Bene giuridico e riforma della parte speciale, Napoli, 1985, p. 191 ss.; nonché lo studio monografico di R. Calisti, Il sospetto di reati. Profili costituzionali e prospettive attuali, Milano, 2003.

[3] In tal senso v., tra i più recenti, K. Eckstein, Grundlagen und aktuelle Probleme der Besitzdelikte - EDV, EU, Strafrechtsänderungsgesetze, Konkurrenzen, in ZStW, 2005, Bd. 117, H. 1, p. 107 ss.; A. Ashworth, The Unfairness of Risk-based Possession Offences, in Crim. L. & Philos., n. 5, 2011, p. 237 ss.; J.P. Cox Leixelard, Delitos de posesión. Bases para una dogmática, Buenos Aires, 2012; G. Yaffe, In Defence of Criminal Possession, in Crim. L. & Philos., 2014, p. 1 ss.; K. Ambos, Possession as a Criminal Offence and the Function of the Mental Element: Reflections from a Comparative Perspective, in S. Linton, G. Simpson, W.A. Schabas (eds.), For the Sake of Present and Future Generations, Essays in Honour of Roger Clark, Leiden, 2015, p. 391 ss.

[4] P. Nuvolone, Il possesso nel diritto penale, Milano, 1942, p. 283.