ISSN 2039-1676


28 febbraio 2017 |

Furto commesso con destrezza, tra abilità speciale dell’agente e mera distrazione del derubato: la questione rimessa alle Sezioni Unite

Nota a Cass., Sez. IV, ord. 21 dicembre 2016 (dep. 17 febbraio 2017), n. 7696, Pres. Bianchi, Rel. Ciampi, Ric. Quarticelli

Contributo pubblicato nel Fascicolo 2/2017

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1. Con l’ordinanza che può leggersi in allegato, la Quarta sezione penale della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: “se, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 4 c.p. (destrezza), occorra una condotta caratterizzata da una speciale abilità nel distogliere l’attenzione della persona offesa dal controllo e dal possesso della cosa o sia sufficiente il fatto di approfittare di una condizione occasionalmente favorevole, o di una frazione di tempo in cui la persona offesa abbia momentaneamente sospeso la vigilanza sul bene posseduto”.

Nel caso sottoposto all’attenzione della S.C., l’imputato era stato condannato dalla Corte territoriale per furto aggravato ex art. 625 n. 4 c.p., per essersi impossessato di un computer portatile approfittando di un momento di distrazione della proprietaria, la quale l’aveva momentaneamente lasciato sul bancone del bar di cui è titolare.

Avverso tale decisione ricorreva per cassazione l’imputato, lamentando l’incongrua qualificazione del fatto come furto aggravato anziché semplice, ed evidenziando la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale in tema di esatta definizione del concetto di “destrezza” ai sensi dell’art. 625 n. 4 c.p. Di tale contrasto dà sinteticamente conto l’ordinanza di rimessione, che ritiene opportuno investire della questione le Sezioni Unite.

 

2. Secondo un primo orientamento, evidentemente accolto dai giudici del merito nella vicenda in esame, la circostanza aggravante in parola riveste la funzione di stigmatizzare “lo spessore della maggiore criminalità del soggetto”, e risulta integrata anche qualora l’agente “approfitti di una condizione contingentemente favorevole”, quale può essere una momentanea distrazione della persona offesa siccome “impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, a curare attività di vita o di lavoro” (v. Cass., sez. V, sent. 18 febbraio 2015, n. 20954).

Ne deriva che, ai fini della configurabilità dell’aggravante in esame, non solo non è necessario che l’agente faccia ricorso a un’abilità particolare, pur se non eccezionale, ma è altresì sufficiente che approfitti di una situazione di fatto qualsiasi, anche occasionale e anche non dallo stesso creata, purché idonea a escludere o comunque attenuare la vigilanza della persona offesa sul bene che intende sottrarre. Sicché la fattispecie in esame finirebbe per avvicinarsi all’ipotesi della ‘minorata difesa’, della quale costituirebbe una sorta di naturale sviluppo.

Secondo un diverso orientamento, invece, la destrezza postula una condotta che “per abilità, astuzia e rapidità, sia funzionale a superare l’attenzione della vittima”, come tale incompatibile con il mero sfruttamento di un occasionale momento di disattenzione altrui, sia esso dipendente o meno da un comportamento positivo del soggetto agente (v. Cass., sez. II, sent. 18 febbraio 2015, n. 9374 e la giurisprudenza ivi citata: nella fattispecie, si è escluso che di destrezza possa parlarsi in relazione alla sottrazione di un bene da un autoveicolo lasciato temporaneamente incustodito dal proprietario).

Così opinando, in sostanza, si afferma che un aggravamento della pena in tanto può giustificarsi in quanto la condotta – e non già il soggetto che la pone in essere – risulti in concreto maggiormente riprovevole, connotandosi, in ragione delle modalità con le quali si è estrinsecata, per un grado di agilità o comunque di abilità tale da superare l’attenzione ordinariamente dovuta da un uomo medio.

In effetti, nel senso da ultimo indicato si pone anche la dottrina maggioritaria, che individua nella destrezza proprio l’abilità superiore a quella ordinariamente usata dal comune ladro, capace di eludere la normale vigilanza dell’uomo medio[1].

 

3. La rilevanza del contrasto, peraltro, non si esaurisce con l’esatta individuazione dei contorni della circostanza in esame, estendendosi ben al di là del mero aggravamento della pena prevista dal codice penale per il furto semplice.

Una prima ricaduta di spessore si registra, come è noto, sul terreno della procedibilità. Se il furto aggravato dalla destrezza, come per vero qualsiasi altra forma di furto aggravato ex art. 625 c.p., è procedibile d’ufficio, la perseguibilità risulta viceversa condizionata all’iniziativa della persona offesa nell’ipotesi di furto semplice ex art. 624 c.p. e nel caso in cui ricorra una qualsiasi circostanza aggravante comune diversa da quella di cui all’art. 61 n. 7 c.p., relativa alla rilevante gravità del danno patrimoniale cagionato alla persona offesa dal reato. Talora, può essere proprio la necessità di superare taluni ostacoli posti dalla procedibilità a querela a forzare la mano dei pubblici ministeri, spingendoli alla contestazione di aggravanti anche in casi limite, ampliandone, come a proposito della questione in esame, l’ambito di applicazione[2].

Una seconda ricaduta si ha, poi, sul terreno della esclusione della punibilità per irrilevanza del fatto, di cui all’art. 131 bis c.p., introdotto con d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28. La causa di esclusione della punibilità risulta applicabile, infatti, in relazione a tutti i reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ancorché congiunta a pena pecuniaria; e nell’individuazione di detta pena deve tenersi conto delle circostanze c.d. indipendenti, vale a dire quelle per le quali la legge prevede una cornice di pena diversa da quella prevista per il reato semplice (art. 131 bis c. 4 c.p.). Ciò accade, per l’appunto, nel caso del furto commesso con destrezza, punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032 (art. 625 c. 1 c.p.), sicché la via dell’esclusione della punibilità per irrilevanza del fatto – si pensi, per esempio, al furto commesso con destrezza di un portamonete contenente pochi spiccioli – resta, in tale caso, irrimediabilmente preclusa.

 

* * *

 

4. Si comprende, allora, come il contrasto interpretativo sull’esatta estensione della circostanza in parola rivesta un’importanza tutt’altro che marginale, sia per proporzioni – e non è agevole dire quale dei due orientamenti sia realmente maggioritario – sia per conseguenze, tanto da giustificare la decisione di rimetterne la composizione alle Sezioni Unite.

Se ciò è vero, però, non meno vero è che, tra le diverse posizioni espresse, ad avviso di chi scrive ve n’è una – quella che esige la realizzazione di un comportamento positivo espressivo di una speciale abilità dell’agente – che si lascia preferire, in ragione di tre argomenti.

 

(i) In primo luogo, approfittare di un momento occasionale di distrazione del detentore sembra costituire non già un quid pluris rispetto alla sottrazione, per dir così, semplice prevista dall’ipotesi base dell’art. 624 c.p., bensì proprio una modalità ordinaria di manifestazione della condotta furtiva, non idonea ad arrecare una più intensa lesione del bene giuridico né espressiva di un maggior grado di disvalore: in breve, non meritevole di un aggravamento di pena. Su questa linea, d’altronde, si era espresso anche Vincenzo Manzini, secondo cui “[l]a destrezza, in quanto è circostanza aggravante, deve necessariamente presentarsi come una abilità straordinaria. Ciò che non è straordinario rispetto all’ipotesi tipica del reato, non può considerarsi circostanza aggravante[3].

Ne deriva che tale modalità della condotta si caratterizza per una sostanziale somiglianza – quanto alla neutralizzazione dell’impatto sul trattamento sanzionatorio – con l’occultamento sulla persona dell’agente della merce sottratta, la cui riconducibilità nell’alveo dell’aggravante del mezzo fraudolento (art. 625 n. 2 c.p.) è stata espressamente esclusa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione proprio sulla scorta dell’osservazione che siffatto comportamento costituisce modalità ordinaria di estrinsecazione della condotta furtiva (cfr. Cass., Sez. Un., sent. 18 luglio 2013, n. 40354, disponibile qui).

Una maggior pena rispetto alla fattispecie non aggravata, per converso, postula un comportamento in concreto maggiormente lesivo rispetto a quello già penalmente sanzionato, qual è, nel caso di specie, solo il ricorso, da parte dell’agente, a un’abilità speciale, ulteriore, di cui ordinariamente non si avvale il ladro comune.

 

(ii) In secondo luogo, si è detto più sopra che la tesi che ricollega alla destrezza anche il comportamento di chi approfitti di una distrazione momentanea si pone in sostanziale linea di continuità con la circostanza aggravante della minorata difesa di cui all’art. 61 n. 5 c.p.; si aggiunga ora che da un lato, e naturalmente, il comportamento in parola non potrebbe già costituire in sé un’ipotesi di minorata difesa, dal momento che una distrazione occasionale non costituisce a rigore una delle “circostanze di tempo, di luogo o di persona” tali da ostacolare la difesa del soggetto passivo, rilevanti in quella sede; dall’altro lato, la condotta di chi provoca l’altrui distrazione, di cui approfittare in un momento successivo al fine di commettere il furto, sembra integrare il mezzo fraudolento oggetto di un’altra e autonoma circostanza aggravante (art. 625 n. 2 c.p.)[4].

Ebbene, tale linea di continuità risulta forzata. Se è vero quanto osservato al punto (i), occorre convenire che, secondo la scala di sottofattispecie che si è là tratteggiata, tra il furto commesso in condizioni di minorata difesa e il furto commesso ricorrendo a una condotta particolarmente accorta e abile – tale da integrare gli estremi della destrezza e non anche quelli del mezzo fraudolento – vi è almeno un’altra sottoipotesi di furto, meno grave: quella di chi si limita a sottrarre un bene lasciato occasionalmente incustodito. Proprio tale ultima ipotesi, se si seguisse il ragionamento che qui si critica, finirebbe però per essere ricompresa nella sfera applicativa della destrezza, così da risultare inevitabilmente aggravata rispetto al furto semplice e accomunata a fattispecie di cui non condivide il disvalore: con conseguenze rilevanti in punto di irragionevolezza del trattamento sanzionatorio.

 

(iii) Da ultimo, la tesi più restrittiva – cioè quella che esclude la rilevanza della mera disattenzione del derubato – va privilegiata anche per la preferenza che il nostro ordinamento assegna al modello c.d. oggettivistico, secondo cui il reato si costruisce sul fatto offensivo di beni giuridici e non già sulla rimproverabilità soggettiva o sulla pericolosità dell’agente, in ossequio al canone dettato dall’art. 25 c. 2 Cost. E anche gli aggravamenti di pena, in linea di principio, si giustificano per la stessa ragione, al di fuori delle ipotesi di circostanze soggettive di cui all’art. 70 c. 1 n. 2 c.p., che viceversa fanno leva sulla maggior colpevolezza del reo[5].

Non fa eccezione, invece, l’aggravante qui in esame, che deve intendersi stigmatizzare una particolare modalità della condotta, nello specifico una particolare abilità dell’agente diretta contro la persona dell’offeso, e avere per l’effetto natura oggettiva[6].

Ma allora, se la quantità di pena che si ritiene di infliggere in più rispetto a quanto previsto per la fattispecie non aggravata si giustifica per il comportamento positivo di colui che elude la vigilanza dell’offeso (l’aggravante della destrezza) ovvero lo distrae al fine di compiere la sottrazione (l’aggravante del mezzo fraudolento), ne deriva che detto aumento risulterebbe ingiustificato tutte le volte in cui l’agente si limiti a beneficiare di un mero momento di distrazione altrui, ciò che, non postulando l’adozione di alcun accorgimento volto a superare l’attenzione della vittima, non costituisce il risultato di alcuna azione né manifestazione di alcuna speciale abilità.

 

[1] In questo senso, v. F. Mantovani, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, I delitti contro il patrimonio, Padova, 2012, p. 77; nonché G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, tomo secondo, I delitti contro il patrimonio, Bologna, 2014, p. 84.

[2] Si pensi ad alcuni inconvenienti certo non sconosciuti alla prassi, quali la questione dell’esatta individuazione del soggetto passivo, unico abilitato a sporgere querela ex art. 120 c. 1 c.p., ovvero il rispetto del termine trimestrale per la stessa previsto dall’art. 124 c.p.

[3] Cfr. V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano secondo il codice del 1930, vol. IX, parte prima, Torino, 1938, p. 216 (corsivi originari).

[4] In questo senso, C. Baccaredda Boy, S. Lalomia, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, in G. Marinucci, E. Dolcini (a cura di), Trattato di diritto penale. Parte speciale, Padova, 2010, p. 253 s.; nonché, seppur giungendo a conclusioni diverse da quelle avanzate nel testo, G. Petragnani Gelosi, sub art. 625, in A. Cadoppi, S. Canestrari, M. Papa, A. Manna, Trattato di diritto penale, Torino, 2011, p. 127.

[5] Sul punto, v. Corte cost., sent. 5 novembre 2012, n. 251, secondo cui il principio di offensività è chiamato ad operare rispetto sia alla fattispecie base sia alle circostanze aggravanti, nonché “rispetto a tutti gli istituti che incidono sulla individualizzazione della pena e sulla sua determinazione finale. Se così non fosse, la rilevanza dell’offensività della fattispecie base potrebbe risultare ‘neutralizzata’ da un processo di individualizzazione prevalentemente orientato sulla colpevolezza e sulla pericolosità”.

[6] Non tutta la dottrina concorda con tale qualificazione, che pure conta numerosi e autorevoli sostenitori (per tutti, V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano secondo il codice del 1930, cit., p. 214): così, ad es., G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, cit., p. 84, secondo cui “[l]a ratio dell’aggravamento di pena sembra consistere nella maggiore pericolosità dimostrata dall’agente, più che nella minorata difesa delle cose di fronte all’abilità del colpevole”. Sennonché, pur prendendo le mosse da questa differente premessa, anche tali Autori convengono che la destrezza “presuppone l’esistenza di una abilità straordinaria, e cioè deve evidenziare una capacità superiore a quella del ladro comune e tale comunque da saper evitare la vigilanza normale dell’uomo medio”: una vigilanza, sembrano dunque concludere, effettiva e in atto al momento dell’azione.