ISSN 2039-1676


22 maggio 2017 |

Una nuova sentenza di Strasburgo su ne bis in idem e reati tributari

Corte EDU, I sez., sent. 18 maggio 2017, Jóhannesson e a. c. Islanda, ric. n. 22007/11

Contributo pubblicato nel Fascicolo 5/2017

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1. Prima pronuncia della Corte di Strasburgo in materia di ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio in materia di violazioni tributarie dopo il riassestamento della giurisprudenza precedente compiuto dalla Grande Camera nel novembre scorso con A e B v Norvegia (su cui cfr. Viganò, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio, in questa Rivista, 18 novembre 2016).

Questa volta però – in un caso concernente l’Islanda – la prima sezione della Corte ravvisa, all’unanimità, la violazione della garanzia convenzionale, sottolineando le differenze tra il caso di specie all’esame e quello deciso dalla Grande Camera, sotto lo specifico profilo dell’assenza di una “connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta” tra i due procedimenti sanzionatori.

 

2. Ricorrenti nel caso di specie erano due persone fisiche, le quali esponevano di  essere state sanzionate dall’amministrazione fiscale nel 2004 e nel 2005 con sovrattasse pari al 25% dei tributi evasi per avere omesso di denunciare significative voci di reddito negli anni fiscali precedenti.

Le sanzioni in questione erano state in gran parte confermate nel 2007 in esito ad altrettanti ricorsi in via gerarchica, e non erano quindi state impugnate avanti all’autorità giudiziaria nel termine legale, divenendo così definitive all’inizio del 2008.

Sin dal 2004, peraltro, l’amministrazione fiscale aveva denunciato i ricorrenti alla polizia specializzata in frodi tributarie. La polizia li aveva per la prima volta interrogati nel 2006 e, quindi, li aveva rinviati a giudizio nel dicembre 2008 per vari reati reati fiscali.

Nel giugno 2010 la Corte distrettuale di Reykjavik dichiarava di non doversi procedere nei confronti dei ricorrenti in applicazione dell’art. 4 Prot. 7 CEDU, così come interpretato dalla Grande Camera in Zolotukhin c. Russia, ritenendo che i fatti dei quali erano accusati fossero sostanzialmente i medesimi per i quali erano già stati sanzionati in via definitiva dall’amministrazione tributaria, ma  in esito a un procedimento di natura sostanzialmente penale.

La pubblica accusa impugnava tuttavia la decisione avanti alla Corte Suprema, la quale nel settembre 2010 accoglieva il ricorso e ordinava alla Corte distrettuale di esaminare il merito delle accuse. I giudici supremi islandesi osservavano da un lato come la giurisprudenza di Strasburgo in materia di ne bis in idem e sovrattasse non fosse ancora ben chiara, e dall’altro come l’eventuale contrasto tra il diritto convenzionale e il diritto nazionale (che indubbiamente prevedeva la possibilità di un ‘doppio binario’ di sanzioni penali e amministrative in caso di violazioni tributarie) dovesse essere risolto dal legislatore islandese, non già dalla magistratura.

Con sentenza del dicembre 2011, la Corte distrettuale riconosceva la penale responsabilità dei due imputati, sospendendo tuttavia per un anno la determinazione della pena relativa in considerazione dell’eccessiva lunghezza del processo, nonché della già avvenuta irrogazione a loro carico di una sovrattassa del 25%.

Nel febbraio 2013, la Corte Suprema confermava le condanne e determinava essa stessa le pene a carico degli imputati (rispettivamente, dodici e diciotto mesi di reclusione condizionalmente sospesa, più 360.000 e 180.000 euro circa di multa), tenendo conto tanto della lunghezza del processo, quanto delle sovrattasse già irrogate nei loro confronti.

I condannati si rivolgevano dunque alla Corte di Strasburgo, dolendosi della violazione del loro diritto al ne bis in idem ai sensi dellìart. 4 Prot. 7 Cedu.

 

3. La prima sezione della Corte si allinea anzitutto, anzitutto, alla sentenza A e B della Grande Camera nel ritenere che i procedimenti amministrativi che avevano condotto all’irrogazione delle sovrattasse da parte dell’amministrazione tributaria avessero natura sostanzialmente penale, anche ai fini di cui all’art. 4 Prot. 7 Cedu.

Parimenti sussistente è ritenuto il requisito dell’idem factum, del resto pacifico tra le parti: i fatti per i quali i ricorrenti erano stati sanzionati dall’amministrazione tributaria erano sostanzialmente i medesimi per i quali erano poi stati processati, e condannati, in sede penale, le accuse formulate in quest’ultima sede concernendo i medesimi importi di tasse evase negli stessi periodi di tempo.

Il problema in discussione in questo caso era, piuttosto, se potesse ravvisarsi tra i due procedimenti sanzionatori (tributario e penale) quella “connessione sostanziale o temporale sufficientemente stretta” da far considerare i due procedimenti, secondo i principi enunciati dalla Grande Camera in A e B c. Norvegia, come parti di un unico procedimento sanzionatorio integrato.

 

4. Quanto alla connessione “sostanziale”, la Corte riconosce che i procedimenti e le sanzioni applicate nel caso di specie perseguissero scopi complementari, e che l’imposizione tanto di sovrattasse ‘amministrative’ quanto di pene fossero in concreto prevedibili per i ricorrenti  sulla base della legislazione nazionale vigente all’epoca dei fatti (§ 51); e parimenti sottolinea come la Corte Suprema islandese, nel determinare la pena per i due imputati, abbia tenuto in conto non solo dell’eccessiva durata del procedimento, ma anche della già avvenuta irrogazione delle sovrattasse da parte dell’amministrazione tributaria (§ 52). Tuttavia, la Corte europea evidenzia come l’indagine compiuta dalla polizia sia proceduta in modo indipendente dalla verifica fiscale, e sia sfociata nella condanna dei ricorrenti a distanza di più di otto anni dal momento in cui l’amministrazione tributaria aveva per la prima volta denunciato i fatti alla polizia (§ 53).

 

5. Quanto poi alla connessione “temporale” tra i due procedimenti, la Corte osserva come essi si siano dispiegati in un arco temporale di oltre nove anni, durante i quali le attività compiute in parallelo furono estremamente ridotte: i ricorrenti furono interrogati per la prima volta dalla polizia nel 2006; ma già nel 2007 il procedimento amministrativo nei loro confronti si era chiuso, mediante la conferma delle sanzioni amministrative divenute poi definitive all’inizio del 2008;  solo successivamente, nel dicembre 2008, essi furono rinviati a giudizio, per essere infine condannati in via definitiva cinque anni più tardi dalla Corte Suprema.

Una situazione questa, sottolineano i giudici europei, molto diversa da quella esaminata dalla Grande Camera in A e B, in cui la lunghezza totale dei due procedimenti era stata pari a circa cinque anni, e i procedimenti penali erano continuati soltanto per due anni dopo che la sanzione tributaria era diventata definitiva (§ 54).

 

6. La Corte conclude, dunque, che – avuto riguardo in particolare alla limitata sovrapposizione nel tempo dei due procedimenti, e alla circostanza che la raccolta e la valutazione delle prove nei procedimenti medesimi era stata largamente indipendente – non possa essere ravvisata nella specie quella connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta necessaria per rendere la presenza di un doppio binario sanzionatorio compatibile con il diritto al ne bis in idem (§ 55); e che, pertanto, i ricorrenti abbiano sofferto un pregiudizio sproporzionato per essere stati processati e puniti per la medesima condotta da autorità diverse, in due diversi procedimenti che difettavano della necessaria connessione (§ 56).

 

* * *

 

7. Dunque: nessuna novità, in diritto, rispetto ai principi enunciati in A e B; i criteri per la valutazione restano quelli enunciati dalla Grande Camera, miranti in particolare a stabilire se i due procedimenti sanzionatori possano definirsi sufficientemente connessi.

Ciò che disorienta l’osservatore è tuttavia che la valutazione sulla connessione sia compiuta qui dalla Corte sulla base esclusiva dello svolgersi concreto dei due procedimenti, e in particolare delle loro scansioni temporali, senza alcun riferimento da parte della Corte – quanto meno nella parte motiva sulla sussistenza della violazione – al quadro normativo che regola i procedimenti medesimi e le loro eventuali connessioni. Il dato che determina la decisione della Corte pare essere qui esclusivamente il fatto che i due procedimenti abbiano avuto in concreto uno svolgimento parallelo per un lasso di tempo molto limitato, e che il processo penale si sia protratto per circa cinque anni dopo la conclusione del procedimento amministrativo.

Un simile itinerario argomentativo, all’evidenza, non aiuta granché i giudici nazionali a comprendere se le situazioni di doppio binario presenti in un po’ tutti gli ordinamenti siano o meno compatibili in linea di principio con il diritto al ne bis in idem, a meno di non pensare che la soluzione al quesito debba risultare volta a volta diversa in relazione alla maggiore o minore celerità dei procedimenti (amministrativo e penale) celebrati nei confronti di un unico interessato per la medesima violazione. Ciò che trasformerebbe però la garanzia del ne bis in idem in un improprio rimedio contro l’eccessiva durata del procedimento che ‘sopravvive’ alla definizione del primo.

V’è dunque da sperare che la Corte possa fornire in futuro indicazioni un po’ meno generiche e casuistiche, sì da consentire agli Stati – tra cui l’Italia – di approntare eventualmente misure correttive a livello normativo per assicurare il rispetto, nel proprio ordinamento, dell’art. 4 Prot. 7 Cedu.

 

8. Indicazioni importanti dovrebbero, peraltro, presto provenire dalla Corte di giustizia UE, che dovrà rispondere a tre questioni pregiudiziali ancora pendenti formulate da vari giudici italiani sui regimi di doppio binario in materia di violazioni tributarie e di abusi di mercato (in cause Menci[1], proveniente dal tribunale di Bergamo, Garlsson[2]  e Di Puma[3], queste ultime provenienti dalla seconda sezione civile della Cassazione): questioni che sono state nel frattempo riunite in un unico procedimento, che  verrà discusso – alla luce della sentenza A e B c. Norvegia – proprio questa settimana a Lussemburgo.

 

[1] Su cui cfr. Viganò, Ne bis in idem e omesso versamento dell'IVA: la parola alla Corte di giustizia, in questa Rivista, 28 settembre 2015.

[2] Su cui cfr. Viganò, A Never-Ending Story? Alla Corte di giustizia dell’Unione europea la questione della compatibilità tra ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio in materia, questa volta, di abusi di mercato, in questa Rivista, 17 ottobre 2016.

[3] Su cui cfr. Viganò, Ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio: nuovo rinvio pregiudiziale della Cassazione in materia di abuso di informazioni di privilegiate, in questa Rivista, 28 novembre 2016.