ISSN 2039-1676


14 giugno 2017 |

Il Consiglio di Stato sugli effetti della condanna alla pena pecuniaria sostitutiva rispetto alla concessione e al rinnovo del porto d’armi

Nota a Cons. Stato, Sez. III, ord. 27 aprile 2017, n. 1766, Pres. Balucani, Est. Ungari

Contributo pubblicato nel Fascicolo 6/2017

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1. L’ordinanza in commento ha ad oggetto la seguente vicenda: F., appassionato di caccia e tiro a volo, nonché titolare di licenza di porto di fucile ad uso venatorio fin dal 1990, a seguito di un fatto avvenuto nel 1993 veniva ritenuto colpevole del reato di lesioni personali (art. 582 c.p.) e quindi condannato (nel 1996) alla pena detentiva di 40 giorni di reclusione, sostituita ex art. 53 L. 689/1981 nella corrispondente pena pecuniaria della multa, quantificata in un milione di Lire. Successivamente, nel 2004, F. otteneva la riabilitazione e la conseguente declaratoria di estinzione del reato. Nonostante il Questore avesse inizialmente provveduto, nel 2010, al rilascio del porto d’armi nei suoi confronti, nel 2016 rifiutava il rinnovo della licenza di porto di fucile, ritenendo che la sentenza di condanna prima menzionata fosse ostativa al rinnovo della licenza in questione. Ciò – pur a fronte dell’avvenuta riabilitazione e della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria – sulla base del disposto dell’art. 43, comma 1 del R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (T.U.L.P.S.). Tale rifiuto spingeva F. a ricorrere in via cautelare prima al T.A.R. e poi al Consiglio di Stato, che si è per l’appunto pronunciato con la sentenza qui annotata.

 

2. Inizialmente il T.A.R. Umbria, sezione di Perugia, respingeva l’istanza cautelare ex art. 55 D.Lgs. 104/2010 (codice del processo amministrativo) presentata da F. allo scopo di ottenere la sospensione del provvedimento di diniego del rinnovo di licenza di porto di fucile, emesso dal Questore. Tuttavia, con l’ordinanza del 27 aprile 2017 (qui allegata), il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione III), ha accolto l’appello del ricorrente, riformando l’ordinanza cautelare del T.A.R.

 

3. Deve premettersi che, ai sensi dell’art. 43 T.U.L.P.S., comma 1 (lett. a), non può essere concessa la licenza di portare armi “a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione”. Il comma 2 prevede invece che la licenza possa essere negata ai condannati per delitto diverso da quelli menzionati al comma 1 e “a chi non può provare la sua buona condotta e non dà affidamento di non abusare delle armi[1].

Come si nota, nel primo comma, limitatamente ai reati della tipologia di quelli elencati (definiti “ostativi” ai fini del rilascio del porto d’armi), vige un automatismo preclusivo, tale per cui, in presenza di una condanna a pena detentiva per tali reati non può mai essere consentito il rilascio o il rinnovo della licenza in questione; diversamente, nel secondo comma, in caso di condanna per delitti diversi da quelli menzionati dal I comma, viene richiesta alla P.A. una valutazione discrezionale relativa alla buona condotta del soggetto interessato e all’affidamento che questi può dare di non abusare delle armi.

 

4. Nella giurisprudenza amministrativa si è da tempo posta a riguardo della disposizione in esame una prima questione, riguardante gli effetti della riabilitazione ex art. 178 c.p.[2] sulla preclusione automatica di cui al citato art. 43, comma 1 T.U.L.P.S.; riabilitazione intervenuta anche nel caso oggetto della decisione annotata, come si è detto.

Orbene, da un lato, alcune sentenze del Consiglio di Stato (tra cui, sez. III, 4/3/2015 n. 1072 e sez. III, 7/6/2013 n. 3719) hanno sostenuto che, in caso di riabilitazione, il potere dell’Amministrazione di negare la concessione o il rinnovo del porto d’armi da vincolato diventerebbe discrezionale, argomentando sulla base del disposto dell’art. 11 T.U.L.P.S. il quale, al comma 1 n. 1, dà esplicita rilevanza alla riabilitazione nella valutazione in merito al diniego o all’accoglimento delle autorizzazioni di polizia (in genere).

Diversamente, altra giurisprudenza, maggioritaria (Cons. Stato, sez. III, 11/11/2016 n. 4664; 3/11/2016 n. 4656; 26/5/2016 n. 2312; 28/4/2016 n. 2019; 27/4/2015 n. 2158; e sez. I, 24/10/2014 n. 3257), nega rilevanza alla riabilitazione, in ragione del fatto che l’art. 11, comma 1, n. 1 cit. andrebbe applicato solo nei casi da esso indicati e che, in base all’art. 43, I comma, l’Amministrazione non sarebbe titolare di poteri discrezionali “perché il legislatore ha preventivamente escluso ogni ulteriore valutazione, ritenendo che coloro che sono stati dichiarati colpevoli di quei reati di particolare allarme sociale non diano sufficienti garanzie sulla circostanza del non abuso di armi di cui venissero eventualmente in possesso” (così si legge nel parere interlocutorio del Cons. Stato, Sez. I, 17/2/2016, reso su richiesta del Ministero dell’Interno)[3].

 

5. Discorso diverso va fatto nel caso – anch’esso ricorrente nella vicenda qui in esame – in cui il giudice penale abbia disposto la sostituzione della pena della reclusione con la pena pecuniaria, ai sensi degli artt. 53 e 57 della L. 689/1981, in seguito a condanna per uno dei reati di per sé “ostativi” al rilascio del porto d’armi: in tal caso, secondo il Consiglio di Stato, “l’autorità amministrativa non deve disporre senz’altro la revoca (prevista dal primo comma dell’art. 43, primo comma, del testo unico del 1931) della già rilasciata licenza, ma può valutare le relative circostanze ai fini dell’esercizio del potere discrezionale (previsto dal secondo comma dell’art. 43)”[4]. Questa diversa valutazione è giustificata dal fatto che, con la conversione della pena detentiva in pecuniaria, viene meno uno dei requisiti posti dal I comma dell’art. 43 cit. a base della preclusione automatica, vale a dire la presenza di una condanna a pena detentiva; tale non è la pena pecuniaria derivante da conversione giacché, come afferma chiaramente il II comma dell’art. 57 L. 689/81, “la pena pecuniaria si considera sempre come tale, anche se sostitutiva della pena detentiva”.

Di conseguenza, quando la pena detentiva sia stata convertita in pena pecuniaria, la P.A. non è più vincolata nell’esercizio del potere: tale potere si intende anzi discrezionale e deve quindi essere esercitato valutando in concreto se colui che richieda la licenza di porto d’armi dia o meno affidamento di non abusare delle armi, come richiesto dal II comma del citato art. 43; l’Amministrazione potrà quindi negare il rilascio della licenza, non automaticamente, ma solo in seguito all’esito negativo della valutazione di affidabilità appena detta. Parte della giurisprudenza afferma inoltre che tale giudizio discrezionale dovrebbe essere supportato da adeguata motivazione, non integrata da un mero rinvio per relationem a vicende del passato: occorre infatti che “il nesso di causalità tra il comportamento accertato e il mancato possesso dei requisiti di moralità e di condotta – e quindi di affidabilità – deve essere compiutamente dimostrato” (in questi termini, T.A.R. Lazio, sez. II, sent, 13/6/2016 in proc. 14570/15).

 

6. L’ordinanza del Consiglio di Stato in commento non si discosta dalla giurisprudenza ormai maggioritaria e ribadisce quindi che l’automatismo preclusivo di cui all’art. 43, I comma T.U.L.P.S. va escluso in presenza di una condanna al pagamento della pena pecuniaria in luogo della reclusione. È questa una soluzione che ci pare condivisibile alla luce della lettera della legge, che come si è detto connette quell’automatismo a una condanna alla “reclusione”.

 

[1] La Corte costituzionale, con sentenza n. 440 del 1993, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quest’ultimo comma, nella parte in cui pone a carico dell’interessato l’onere di provare la propria buona condotta.

[2] “La riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti”; cfr. G. Marinucci – E. Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale, V ed., Milano, 2015, pp. 695 ss.

[3] Cfr. Cons. Stato, Sez. III sent. 11/11/2016 n. 4664.

[4] Cfr. Cons. Stato, Sez. III sent. 11/11/2016 n. 4664.