ISSN 2039-1676


09 gennaio 2018 |

Omesso versamento IVA e obblighi nascenti dal concordato preventivo: la Cassazione dirime il conflitto di doveri

Cass., Sez. IV, sent. 17 ottobre 2017 (dep. 17 novembre 2017), n. 52542, Pres. Piccialli, Est. Ranaldi, Ric. Marchionni

Contributo pubblicato nel Fascicolo 1/2018

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1. Il reato di “Omesso versamento di IVAex art. 10-ter d. lgs. 74/2000 e la fattispecie affine di “Omesso versamento di ritenute certificate”, prevista dall’art. 10-bis d. lgs. cit., hanno conosciuto in anni recenti un vero e proprio boom applicativo, complice la coeva crisi economica del Paese.

Nella prassi si è posto più volte l’interrogativo circa la configurabilità di esimenti a beneficio di chi non avesse adempiuto gli obblighi tributari per mancanza di liquidità: la prevalente giurisprudenza (soprattutto di merito) ha in linea di massima fornito risposta affermativa, concentrando l’attenzione sulla (carenza di) colpevolezza, sub specie ‘inesigibilità’ dell’osservanza del precetto penalmente presidiato [da ultimo v. Trib. Milano, sez. III pen., sent. 18 febbraio 2016 -ud. 15 dicembre 2015-, n. 13701, giud. Mannucci Pacini, in questa Rivista, 23.3.2016, con nota di S. Finocchiaro, Crisi di liquidità e reati fiscali: una pronuncia di assoluzione del Tribunale di Milano per difetto di colpevolezza e ‘soggettiva inesigibilità’; più in generale cfr. A. Ingrassia, L. Troyer, I delitti di omesso versamento ai tempi della crisi e le (as)soluzioni giurisprudenziali “tout comprendre c’est tout pardonner?” (nota a GIP Firenze, 27 luglio 2012), in Riv. dott. comm., 2013, 962 ss.; G. De Falco, La crisi di liquidità fra scusante e scriminante secondo i giudici di merito (nota a Trib. Piacenza, 30 luglio 2013), in Riv. pen., 2014, 517 ss.].

Una situazione per certi aspetti differente ha luogo allorché lo stato di difficoltà ad adempiere dell’impresa non attenga alla sola liquidità necessaria al pagamento delle imposte e sfoci, piuttosto, in una delle procedure di risanamento contemplate dal r.d. 267/1942 (l. fall.): il c.d. piano attestato ex art. 67, comma 3; l’accordo di ristrutturazione dei debiti previsto dall’art. 182-bis; o il ‘nuovo’ concordato preventivo di cui agli artt. 160 ss., con prospettive prettamente risanatorie anziché di mera liquidazione concorsuale. Tutti i menzionati meccanismi di superamento della crisi nel contesto imprenditoriale sono connotati da una chiara matrice privatistica e negoziale, sulla quale si innesta un controllo giurisdizionale circoscritto a profili di legittimità e non di merito (per le sole ipotesi di accordo ex art. 182-bis l. fall. e concordato preventivo, laddove il ‘piano attestato’ rimane interamente nella sfera dell’autonomia privata) [in argomento cfr. F. Mucciarelli, Vecchi e nuovi istituti della legge fallimentare nella sentenza 24468/2009 delle Sezioni unite: successione di leggi e ruolo del bene giuridico, in Cass. pen., 2010, 1619 ss.].

La decisione in commento – emessa in un caso di omesso versamento di IVA a valle della presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo – prende condivisibilmente posizione sul terreno dell’antigiuridicità con riguardo all’art. 51 c.p., all’esito di una convincente lettura delle pertinenti disposizioni del r.d. 267/1942 (anche alla luce delle recenti riforme nazionali e delle ultime modifiche normative che affondano le radici nella giurisprudenza eurounitaria).

 

2. I fatti su cui interviene la pronuncia attengono a un sub-procedimento cautelare concernente il sequestro preventivo finalizzato alla confisca (anche per equivalente) in relazione al delitto previsto dall’art. 10-ter d. lgs. 74/2000, contestato al legale rappresentante di una società per azioni ammessa alla procedura di concordato preventivo: a seguito del rigetto dell’originaria richiesta di riesame della cautela reale disposta dal G.i.p. era stato proposto ricorso per cassazione e la Suprema Corte aveva annullato con rinvio il gravato provvedimento, poi riconfermato dal Tribunale de libertate, con la conseguenza di determinare una nuova impugnazione in sede di legittimità.

Il nucleo delle critiche formulate dal ricorrente avverso la misura cautelare in discorso è sintetizzabile nella doglianza di mancata valutazione da parte del Tribunale del riesame (anche nel giudizio di rinvio) circa l’applicabilità al caso di specie della scriminante ex art. 51 c.p., sul rilievo che il dovere di versare l’IVA entro il relativo termine annuale era stato ‘paralizzato’ dall’obbligo altrettanto cogente – e anteriore alla predetta scadenza tributaria – di non effettuare pagamenti di crediti pregressi “per nessun motivo”, secondo quanto stabilito dal Tribunale civile dopo la presentazione della domanda di ammissione della società debitrice dell’IVA alla procedura di cui agli artt.  160 ss. l. fall.

 

3. La motivazione della sentenza si sofferma dapprima sul contrasto riscontrabile nella giurisprudenza di legittimità in tema di rapporti tra incriminazione ex art. 10-ter d. lgs. 74/2000 e obblighi nascenti dal concordato preventivo.

 

4. Ad avviso dell’indirizzo interpretativo maggioritario presso la Cassazione penale l’integrazione del delitto di “Omesso versamento di IVA” non è esclusa dalla richiesta di ammissione alla richiamata procedura prevista dalla legge fallimentare, ancorché intervenuta anteriormente allo spirare del termine fiscale [in argomento cfr. Cass. pen., sez. III, 31.3.2016 -ud. 4.2.2016-, pres. Amoresano, est. Di Stasi, imp. Ugolini, in CED Cass., rv. 266708]. Alla base di tale conclusione sta il rilievo che l’imposta sul valore aggiunto è tributo ‘armonizzato’ a livello UE e in parte destinato all’Unione medesima (con obbligo di garantirne l’integrale riscossione in tutti gli Stati membri: cfr. CGUE, sent. 29.3.2012, in C-500/10), così da rimanere in linea di principio immune dalla falcidia operata in sede di riparto concordatario dell’attivo tra i creditori, compreso l’erario ai sensi dell’art. 182-ter l. fall. (ove è contemplata l’ipotesi di c.d. transazione fiscale nelle procedure risanatorie delle imprese in crisi, fatta eccezione per l’imposta sul valore aggiunto, almeno fino alla modifica, da poco intervenuta, della disposizione citata: v. infra).

 

5. Una posizione minoritaria tra i precedenti del Supremo Collegio muove invece dalla constatazione che il debito IVA, benché non falcidiabile, rientra pur sempre nel ‘piano’ di risanamento, che può ad esempio prevederne la rateizzazione. Pertanto, l’inadempimento dell’obbligo di versare l’imposta alla scadenza annuale è suscettibile di rimanere estraneo all’area di rilevanza penale, a condizione che la procedura risanatoria contempli il versamento integrale dell’imposta sul valore aggiunto, maggiorata di interessi e sanzioni [in questi termini Cass. pen., sez. III, 16.4.2015 -ud. 12.3.2015-, pres. Teresi, est. Graziosi, imp. Fantini, in Fisco, 2015, 2067 ss., con nota di C. Santoriello, Escluso l’omesso versamento Iva per la società ammessa al concordato preventivo prima della scadenza del versamento].

 

6. La sentenza in esame si conforma alla soluzione ermeneutica da ultimo richiamata, non solo per ragioni di complessiva coerenza dell’ordinamento giuridico (v. infra), ma prima ancora perché è di recente venuto meno il presupposto della ‘intangibilità’ dell’IVA con riguardo a meccanismi di superamento della crisi d’impresa. La Cassazione puntualizza invero che i giudici di Lussemburgo hanno ritenuto conforme al diritto eurounitario la facoltà di estinguere in misura soltanto parziale un debito IVA per effetto di una procedura di concordato preventivo [v. CGUE, sez. II, sent. 7.4.2016, in C-546/2014, in Riv. dott. comm., 2016, 332 ss., con nota di G. Chiaraviglio, Omesso versamento IVA e crisi di liquidità, inesigibilità e procedure concorsuali]. Al richiamato arresto della Corte di Giustizia UE ha quindi fatto seguito una rilevante modifica della disciplina italiana sulla c.d. transazione fiscale (art. 182-ter l. fall., come sostituito dall’art. 1, comma 81, l. 232/2016), che a decorrere dal 1°  gennaio 2017 può ricomprendere il pagamento parziale dell’IVA. Conseguentemente, il delitto di cui all’art. 10-ter d. lgs. 74/2000 risente del mutato assetto normativo in tema di falcidiabilità dell’imposta sul valore aggiunto nell’ambito di una procedura risanatoria.

 

7. La descritta antinomia tra l’incriminazione ex art. 10-ter d. lgs. 74/2000 e gli obblighi nascenti dalla domanda di ammissione al concordato preventivo induce il Supremo Collegio a interrogarsi su come rimediare alla contraddizione ordinamentale derivante dalle due contrapposte norme, entrambe cogenti e dotate del medesimo rango nella gerarchia delle fonti. Le strade astrattamente percorribili per raggiungere l’obiettivo – osserva la Corte – potrebbero passare tanto dall’elemento materiale (per il venir meno dell’obbligo fiscale in conseguenza dell’ammissione al concordato preventivo e al connesso divieto di effettuare pagamenti al di fuori di tale procedura), quanto attraverso il coefficiente psichico da riscontrare in capo all’agente (carenza di dolo rispetto alla condotta di omesso versamento), oppure ancora dall’applicazione della scriminante codificata nell’art. 51 c.p., sotto forma di adempimento di un dovere (qui non adempiere “per nessun motivo” obbligazioni anteriori alla fase concordataria).

La Cassazione ritiene di concentrarsi sulla dimensione di antigiuridicità del comportamento, anche perché nel caso di specie la precedente pronuncia di annullamento con rinvio aveva appunto sollecitato il Tribunale de libertate a scrutinare i fatti nella prospettiva dell’art. 51 c.p. onde garantire l’osservanza del principio di non contraddizione dell’ordinamento giuridico.

 

8.  La decisione in commento considera inappagante il percorso motivazionale seguito dal giudice della cautela in punto di applicabilità della richiamata scriminante, sotto due distinti e convergenti profili.

In primis la Suprema Corte reputa incondivisibile la statuizione del Tribunale del riesame secondo cui – aderendo all’orientamento maggioritario presso la giurisprudenza di legittimità (v. supra) – l’avvio di una procedura risanatoria non osta alla configurabilità del reato tributario, poiché pur essendo la definitiva ammissione al concordato preventivo intervenuta in un momento successivo allo spirare del termine di versamento dell’IVA, era stato comunque emesso precedentemente (a seguito della domanda presentata dalla società debitrice) un provvedimento giurisdizionale che vietava di pagare debiti anteriori. Ne segue che l’ordine del Tribunale civile mirante a salvaguardare la par condicio creditorum – contrariamente a quanto opina il giudice della cautela penale, che non ritiene tale prescrizione espressione di un dovere derivante da norme giuridiche – rappresenta senza dubbio fonte di obblighi vincolanti per il destinatario, dotati peraltro di preciso aggancio nella legge fallimentare e presidiati in via indiretta anche attraverso la comminatoria penale con riguardo a ipotesi di bancarotta preferenziale.

In secondo luogo, la pretesa ‘intangibilità’ dell’IVA postulata dal Tribunale del riesame non trova più riscontro nel vigente assetto normativo, in base al quale è consentita – entro certi limiti – la falcidiabilità dell’imposta in discorso (v. supra), né si può sostenere che la procedura risanatoria di concordato preventivo costituisca mero strumento dell’autonomia privata nella composizione della crisi di impresa, assumendo per contro rilievo pubblicistico sia per gli interessi economici coinvolti (non limitati a quelli del debitore e dei creditori), sia per la giurisdizionalizzazione del meccanismo di risanamento.

 

9. La Cassazione si concentra infine sulla “evidente discrasia” tra la disposizione incriminatrice ex art. 10-ter d. lgs. 74/2000 e le previsioni della legge fallimentare di cui costituisce espressione il provvedimento emesso dal Tribunale civile dopo la richiesta di ammissione al concordato preventivo: la chiave di volta per la soluzione dell’antinomia è individuata, come detto, nel disposto dell’art. 51 c.p.

Per un verso, assodata la legittimità dell’ordine promanante dall’Autorità giudiziaria, rimane fuor di dubbio che l’omesso versamento di IVA verificatosi nella vicenda in esame rispondesse a interessi di rilievo (anche) pubblicistico, di pari rango rispetto a quelli erariali.

Per altro verso, anche il requisito generale di proporzione valido in tema di scriminanti risulta soddisfatto nel caso di specie, giacché si realizza un contemperamento tra le esigenze alla base dell’ordine impartito (superamento della crisi d’impresa e tutela della par condicio creditorum) e i contrapposti interessi erariali al pagamento integrale dell’IVA, ora non più ‘assoluti’ e suscettibili anzi di ridimensionamento al cospetto di procedure risanatorie [sulla necessità di bilanciamento, in ottica persino preminente rispetto alla logica di non contraddizione nell’ordinamento, v. ad esempio Cass. pen., sez. IV, 7.11.2002 -ud. 19.9.2002-, n. 37262, pres. Coco, est. Brusco, imp. Cassano, in CED Cass., rv. 222613; in dottrina, per tutti, M. Romano, Art. 51, in Id., Commentario sistematico del codice penale, I, 3a ed., Milano, 2004, 548].

Conclusivamente si esclude la configurabilità del fumus commissi delicti e, in applicazione dell’art. 51 c.p., è annullata senza rinvio la gravata misura cautelare reale.

 

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10. La pronuncia qui concisamente annotata rappresenta un valido esempio di attenzione da parte della giurisprudenza penale (anche di legittimità) alle concrete dinamiche imprenditoriali, tanto più in una fase di prolungata difficoltà economica del Paese, come pure alle non poche – né marginali – problematiche connesse ai rapporti tra le disposizioni incriminatrici in materia tributaria e le procedure di risanamento (comprendenti – a seguito dell’incessante e disordinato percorso riformatore intrapreso a partire dal 2005 – non solo il concordato preventivo, ma anche l’accordo di ristrutturazione dei debiti e il c.d. piano attestato ex art. 67, comma 3, l. fall.).

Il percorso motivazionale della Suprema Corte si segnala del resto sia per la coerenza rispetto a canoni giuspenalistici fondamentali, sia per l’adozione di una prospettiva di respiro sovranazionale nello scrutinare la vicenda dedotta in giudizio.

 

11. Sebbene non possano manifestarsi perplessità di sorta per quanto concerne il complessivo dictum della Cassazione nel caso di specie, qualche riserva emerge con riferimento a uno specifico passaggio della motivazione, laddove la Suprema Corte sottolinea la matrice ‘pubblicistica’ del concordato preventivo, che “si snoda in un percorso giurisdizionalmente disegnato e vigilato, per ricevere infine una ratifica di quanto deliberato dai creditori sulla proposta del debitore da parte dell’organo giurisdizionale”.

L’argomento che precede, pure fatto proprio da ulteriori decisioni penali di legittimità, appare scarsamente persuasivo nella misura in cui sembrerebbe far dipendere l’applicabilità della scriminante ex art. 51 c.p. dalla natura (para-)giurisdizionale della procedura concordataria, trascurando tuttavia la circostanza che la c.d. transazione fiscale (ai sensi del novellato art. 182-ter l. fall.) è consentita anche nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui agli artt. 182-bis ss. l. fall., vale a dire meccanismi di risanamento nei quali l’Autorità giudiziaria riveste un ruolo ben poco pregnante, essendo chiamata alla mera ‘omologazione’ di un’intesa negoziale tra debitore e creditori. D’altro canto, persino nella procedura a più elevato tasso di ‘giurisdizionalità’ (id est il concordato preventivo) la Cassazione civile nella sua più autorevole composizione ha chiarito che il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato (…), mentre rimane riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti” [così Cass. civ., sez. un., 23.1.2013, n. 1521, I.S. s.a.s. c. Fall. I.S. s.a.s., in Giur. it., 2013, 2538 ss., con nota di G. Fauceglia, La Cassazione e il concordato preventivo].

 

12. Al di là dei controversi margini di sindacato del Tribunale civile in sede di ammissione al concordato preventivo (o di omologa dell’accordo di ristrutturazione dei debiti), rimane irrisolta, sullo sfondo, la non meno cruciale questione delle ricadute dei menzionati meccanismi di matrice (largamente) privatistica sull’immutato arsenale penalistico della legge fallimentare, inopinatamente trascurato dalle riforme intervenute negli ultimi lustri e pressoché privo di raccordo con le nuove procedure di superamento della crisi d’impresa, eccezion fatta per la peculiare previsione di ‘esenzione’ (sic!) da talune ipotesi di bancarotta giusta art. 217-bis l. fall. [in argomento cfr., in generale, A. Alessandri, Profili penali delle procedure concorsuali. Uno sguardo d’insieme, Milano, 2016, passim; con specifico riferimento alla norma di favore introdotta nel 2010 v. invece, con varietà di accenti, F. Mucciarelli, L’esenzione dai reati di bancarotta, in Dir. pen. proc., 2010, 1474 ss.; F. D’Alessandro, Il nuovo art. 217-bis l. fall., in Società, 2011, 201 ss.; G. Cocco, Esenzioni dai reati di bancarotta nel “nuovo” art. 217-bis della legge fallimentare, in Ind. pen., 2011, 5 ss.; nonché, volendo, E. Basile, Art. 217-bis l. fall. e gruppi di società, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, 203 ss.].