ISSN 2039-1676


15 novembre 2011 |

Sindacato sul rispetto degli obblighi procedurali o quarto grado di giudizio?

Nota a Corte EDU, sent. 27 settembre 2011, ric. n. 29032/04, M. C. c. Romania

 

Con la sentenza che può leggersi in calce, la Corte affronta un delicato caso in materia di abusi intra-familiari su minore, che pone una questione senz'altro degna di essere problematizzata.

I fatti possono riassumersi come segue.

C. M. presenta una denuncia contro l'ex-marito per abusi sessuali ai danni del figlio, di soli quattro anni. Accanto ai provvedimenti emergenziali adottati dalle autorità civili - consistiti nel temporaneo collocamento del minore in una comunità protetta - vengono avviate le indagini di carattere penale che ipotizzano i reati previsti agli artt. 200 (norma che punisce la relazione omosessuale con minorenne in condizioni d'inferiorità psico-fisica) e 201 (che attribuisce rilevanza penale atti di perversione omosessuale con minore commessi da soggetti che ne hanno la sorveglianza) del c.p. rumeno.

Il minore viene sottoposto ad esami medici, psicologici e neurologici che confermano la violenza.

Tuttavia, sebbene da un lato alcuni testimoni riferiscano che la vittima avrebbe confidato loro le violenze subite, individuando nel padre il relativo autore, dall'altro la prova del lie detector cui viene sottoposta la ricorrente dà, a differenza del padre, esito positivo e le osservazioni psicologiche effettuate sul bambino evidenziano manifestazioni di gioia in occasione delle visite del padre e fanno invece registrare nello stesso repentini cambiamenti umorali dopo gli incontri con la madre.

Gli organi d'indagine ritengono quindi che gli elementi probatori raccolti non siano sufficienti per procedere all'incriminazione del padre e presentano una prima richiesta di archiviazione, che viene però respinta dall'organo gerarchicamente superiore il quale ordina altri approfondimenti. Questi ultimi, però, di fatto non vengono svolti e l'autorità inquirente formula una seconda istanza di archiviazione, che viene definitivamente accolta, nonostante l'opposizione di C. M.

La ricorrente lamenta quindi, inter alia, la violazione degli artt. 3 e 8 Cedu, deducendo che le autorità non avrebbero garantito un'indagine celere ed effettiva circa la violenza subita dal figlio.

Chiarito il contesto fattuale da cui origina la pronuncia in commento, possiamo ora vagliare la soluzione adottata dalla Corte la quale, lo si anticipa subito, ritiene fondata la doglianza.

I giudici europei premettono di riconoscere gli sforzi profusi dalle autorità interne ed il difficile contesto in cui si l'indagine si è inserita, caratterizzato da elementi di prova contraddittori ed un'estrema conflittualità tra gli ex-coniugi (il padre, ad esempio, aveva subito condanne per maltrattamenti verso la moglie, ma al tempo stesso le corti civili che si erano occupate dell'affidamento del figlio avevano sempre respinto le richieste della madre di limitare il diritto di visita del padre, in quanto ritenute frutto solo del revanscismo nutrito contro l'ex-marito per avere egli abbandonato la comunità dei testimoni di Geova, cui la stessa era invece ancora attivamente legata). Cionondimeno, essi debbono constatare che: 1) le indagini erano state condotte con significativo ritardo (in particolare, si stigmatizza il fatto che dal rigetto della prima istanza di archiviazione alla seconda sono trascorsi quasi due anni, durante i quali l'indagine di fatto non è proseguita); 2) i richiesti approfondimenti istruttori non erano stati effettuati, ma l'indagine era stata comunque archiviata, nonostante vi fosse la prova certa che il minore aveva subito gli abusi denunciati; 3) non era stata vagliata l'ipotesi che i fatti accertati integrassero altre fattispecie di reato, così come non è stata attentamente testata la credibilità di taluni testimoni; 4) ad onta degli esiti del lie detector a lei avversi, era mancata un'indagine sul possibile coinvolgimento nella violenza da parte della stessa ricorrente.

La Corte, dunque, afferma che lo Stato convenuto ha violato gli obblighi procedurali di tutela imposti dagli artt. 3 e 8 Cedu, poiché non ha garantito un'indagine celere e completa circa i gravi reati subiti dal minore, non potendo valere ad escludere la responsabilità dello Stato il pur difficile contesto familiare in cui questi si sono consumati e l'obiettiva difficoltà dell'indagine.

Merita però di essere segnalata la dissenting opinion del giudice Myjer.

In essa si individua correttamente quello che rappresenta il vero nucleo problematico lambito dalla sentenza in esame e cioè l'individuazione del limite superato il quale il controllo sugli obblighi procedurali ex art. 3 Cedu ridonda in un sindacato di merito sull'attività di valutazione probatoria degli elementi d'indagine e, più in generale, sull'operato delle autorità statali.

Secondo l'opinione citata, la violazione dell'art. 3 Cedu sotto il profilo degli obblighi c.d. procedurali dovrebbe essere esclusa quando, come nel presente caso, si tratta di indagini particolarmente difficili e agli atti vi è la prova che lo Stato si è comunque attivato per accertare le responsabilità individuali, senza considerare che la Corte ha anche proceduto ad indicare specificamente quali atti d'indagine le autorità interne avrebbero dovuto compiere e persino in base a quali titoli di reato - diversi da quelli in concreto ipotizzati - le indagini avrebbero potuto proseguire, così prestando il fianco alla non infondata critica di assumere nei fatti un ruolo non dissimile da quello di giudice di quarta istanza.