ISSN 2039-1676


02 febbraio 2012 |

Una pronuncia di merito su detenzione di arma non funzionante e di parte di arma antica

Nota a Trib. Avezzano, sez. pen., 30 settembre 2011, Giud. Venturini

1. Interessante pronuncia quella oggetto di commento resa dal giudice di merito in tema di porto e detenzione illegale di arma e in altre fattispecie criminose a quest'ultima connesse.

Questi i fatti di causa. Un soggetto veniva chiamato a rispondere di una pluralità di condotte criminose: in primo luogo gli veniva imputato di aver illegalmente detenuto presso la propria abitazione un fucile cal. 12 con canne mozze, ritenuto dalla pubblica accusa arma comune da sparo, oltre ad una canna ad anima liscia per fucile automatico cal. 12 ritenuta invece quest'ultima parte di un'arma comune da sparo.

Veniva altresì contestato al prevenuto il delitto di ricettazione per aver costui, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquistato o comunque ricevuto l'arma per prima sopra descritta provento del delitto di alterazioni di armi p. e p. dall'art. 3 della legge 110/75.

Da ultimo, l'imputato veniva chiamato a rispondere di due contravvenzioni: quella p. e p. dall'art. 20 comma 1 e 2 legge 110/75, per aver omesso adeguata custodia di un fucile ad avancarica privo di marca e scomparso dalla sua abitazione, e quella di cui dall'art. 20 comma 3 della stessa legge, per aver omesso di denunciare all'ufficio di PS lo smarrimento del fucile da ultimo menzionato.

 

2. La pronuncia qui in commento si caratterizza per una serie di apprezzabili interpretazioni fornite dal giudicante sia in riferimento ad una normativa risalente nel tempo, com'è quella in tema di armi e munizioni, sia per quanto concerne l'istituto della prescrizione essendo, nel caso di specie, di difficile e incerta individuazione il tempus commissi delicti.

Tornando al caso che ci occupa il Giudicante conclude per la non sussistenza, dal punto di vista della tipicità, della condotta di detenzione da parte dell'imputato del fucile cal. 12 con canna mozza. Ed invero, facendo propri i principi espressi da un risalente, ma mai superato, indirizzo giurisprudenziale, il Tribunale stabilisce che presupposto necessario per la configurabilità  del delitto di porto e detenzione illegale di arma è che quest'ultima  sia effettivamente funzionante, ritenendo altresì che un'arma è considerata inefficiente in maniera irreversibile allorquando sono rese tali tutte le sue parti essenziali. Sicchè, per escludere che un oggetto possa essere ritenuto un'arma comune da sparo, è indispensabile che questa risulti totalmente ed assolutamente inefficiente, potendo venire, solamente in tal caso, a mancare quella situazione di pericolo per l'ordine pubblico e la pubblica incolumità che costituiscono i beni giuridici tutelati dalla fattispecie di cui si tratta.

A tal riguardo il giudice, citando una recente pronuncia giurisprudenziale, precisa che nessun pericolo subisce l'ordine pubblico nel caso in cui l'arma presenti un guasto che non sia facilmente riparabile per la oggettiva difficoltà della sua operazione a causa della impossibilità di reperire i pezzi di ricambio o comunque per la non sostituibilità di essi con altri accorgimenti.

Al contrario, il bene giuridico protetto dalla fattispecie è messo in pericolo nell'ipotesi in cui il guasto dell'arma sia facilmente riparabile potendo, solo in tale eventualità, la condotta di detenzione essere meritevole di risposta sanzionatoria penale.

Facendo applicazione di tali principi al caso oggetto del processo, l'organo giurisdizionale, sulla scorta degli elementi probatori acquisiti nel corso dell'istruzione dibattimentale, giunge alla conclusione che, il fucile a canne mozze detenuto dall'imputato costruito prima del 1975 obiettivamente "vecchio" e non inserito nel catalogo nazionale delle armi,  non poteva essere ritenuto funzionante. Tale convincimento trova la propria fonte nelle deposizioni testimoniali rese oltre che dal teste a carico anche dal consulente tecnico del pm  i quali riferivano entrambi che il fucile di cui si trattava  era privo della sottocanna mentre le bindelline di giunzione erano dissaldate. In particolare il consulente tecnico esponeva che la riparazione dell'arma in questione era possibile solo se eseguita da una ditta specializzata ed autorizzata attraverso operazioni lunghe e costose.

In altre parole, tale fucile non poteva essere considerato un'arma funzionante, presupposto questo necessario ed indispensabile, come sopra detto, per l'integrazione, dal punto di vista della tipicità, della fattispecie incriminatrice di cui al combinato disposto degli artt. 2 e 7 legge 895 del 1967 e quindi il possesso di tale oggetto non poteva ritenersi  penalmente rilevante.

 

3. Logico corollario della ritenuta insussistenza della condotta sopra descritta è rappresentato dal venir meno anche dell'altro delitto contestato, ossia quello di ricettazione.

Il Giudicante, infatti, dopo aver giustamente ricordato l'astratta configurabilità del concorso tra il reato di illegale detenzione di arma  e quello di ricettazione della stessa, evidenzia come, invece, nel caso sottoposto alla sua cognizione, il reato presupposto necessario per l'integrazione della fattispecie prevista e punita nell'art. 648 c.p., risultando come già detto insussistente, comporta il venir meno dell'integrazione anche di quest'ultima ipotesi delittuosa.

 

4. Passando poi alla valutazione dell'altra condotta contestata all'imputato ovvero quella consistita nella detenzione di una "canna ad anima liscia", il Giudice prende atto dei risultati dell'istruzione dibattimentale che aveva chiarito come tale oggetto costituiva solamente la parte di un'arma immatricolata prima del 1975 non risultando neanche iscritta nel catalogo nazionale delle armi.

Partendo da tali dati oggettivi e facendo riferimento all'art. 7 comma 3 della legge 110/75 il quale prevede che l'iscrizione di un arma nel catalogo costituisce accertamento definitivo della qualità di arma comune da sparo posseduta dal prototipo, il Tribunale trae il convincimento che il fucile di ignota epoca di fabbricazione e senza alcuna certezza sulle sue caratteristiche non fosse, con assoluta certezza, un'arma comune da sparo, con la conseguenza che neanche la canna poteva essere definita come parte di essa ai sensi dell'art. 2 legge 895/1967, e che in particolare non si potesse escludere che la canna in contestazione fosse da inquadrare nella categoria delle parti di un'arma antica, anche alla luce del fatto che essa sicuramente preesisteva alla creazione del catalogo delle armi sopra menzionato.

Ne consegue che una parte di un'arma antica è da considerarsi cosa diversa dall'arma antica, la cui omessa denuncia di detenzione integra la contravvenzione di cui all'art. 697 c.p. e non quello di cui agli artt. 2 e 7 legge n. 895/67.

 

5. Da ultimo, ma non certo per minore importanza,  la sentenza qui in commento affronta un altro aspetto della vicenda, riguardante cioè lo spirare o meno del termine prescrizionale necessario per l'estinzione delle altre due ipotesi contravvenzionali contestate all'imputato, consistite nell' aver omesso adeguata custodia di un fucile scomparso dalla sua abitazione e di non averne di conseguenza denunciato lo smarrimento ai competenti uffici locali.

Partendo da un elemento certo rappresentato nella fattispecie dalla data in cui l'imputato provvide alla denuncia della detenzione dell'arma (24.03.1983), il Giudicante chiarisce che la contravvenzione di omessa denuncia dello smarrimento di un'arma costituisce un reato di mera condotta nella forma omissiva avente natura istantanea che si consuma nel momento in cui si verifica l'omesso adempimento richiesto dalla normativa penale; la violazione di tale obbligo si verifica decorso il lasso di tempo strettamente necessario per effettuare la denuncia, decorrente a partire dal momento della conoscenza dello smarrimento dell'oggetto.

Non essendo certa, nella fattispecie analizzata, la data in cui questa veniva smarrita e facendo applicazione, anche in tale occasione del principio, del "favor rei" il Tribunale colloca il momento consumativo della contravvenzione contestata nel giorno in cui l'imputato provvedeva a denunciarne, agli appositi uffici, la detenzione.

Da tale conclusione deriva, come inevitabile conseguenza, lo spirare del tempo necessario ai fini della prescrizione del reato contravvenzionale e quindi dell'estinzione del fatto contestato all'imputato.

Stessa sorte subisce l'altra ipotesi criminosa di omessa denuncia di smarrimento dell'arma non essendo possibile, a detta del giudicante, escludere con assoluta certezza che l'imputato avesse preso conoscenza di tale circostanza proprio il 24.03.1983 data questa, giova ricordarlo, in cui  veniva effettuata la denuncia di detenzione.