ISSN 2039-1676


22 febbraio 2012 |

Francesco Gianniti, Criminalistica. Le discipline penalistiche e criminologiche nei loro collegamenti, Giuffrè, 2011, pp. XX - 250.

Recensione

L'interessante volume di Francesco Gianniti - già Magistrato ordinario e, poi, Avvocato e Professore ordinario di diritto penale e di procedura penale nell'Alma Mater Studiorum di Bologna - si propone di illustrare gli stretti collegamenti esistenti tra le discipline penalistiche (diritto penale, diritto processuale penale e diritto penitenziario) e le discipline sperimentali criminologiche (in particolare, la psicologia, la sociologia e l'antropologia criminale; la medicina legale e la criminologia; la statistica criminale e la polizia scientifica), ponendo in luce il contributo dalle stesse offerto ai fini di una efficace azione di contrasto alla criminalità.

Tali gruppi di discipline, infatti, pur nettamente distinti per la specificità della natura, dell'oggetto e del metodo, sono tra loro strettamente connessi per la necessità di uno scambio reciproco dei risultati, imponendo un'attenta disamina delle interconnessioni concettuali e di tipo più direttamente operativo.

Muovendo dall'esigenza di una prospettiva pluridimensionale nello studio del diritto e della procedura penale, che presuppone e favorisce l'individuazione dei rispettivi elementi di collegamento, e dunque di distinzione, tra discipline connesse ma oggettivamente diverse, l'Autore esclude un'impossibile "unità sistematica" rispetto alle discipline criminologiche, richiamandosi alle moderne impostazioni metodologiche seguite da Pietro Nuvolone, nella prolusione Natura e storia nella scienza del diritto penale (in Trent'anni di diritto e procedura penale, I, Cedam, 1969, p. 196 ss.), e da Ferrando Mantovani, nel suo manuale (Diritto penale, p.g., Cedam, 2011, pp. 568-625; pp. 697-721). 

Solo il termine "criminalistica", dunque, riesce ad abbracciare compiutamente la costellazione delle molteplici discipline che, sia pure a diverso titolo, fanno capo ad una persona che ha commesso un reato.   

Con invidiabile nitore formale, l'Autore sviluppa i vari nuclei tematici secondo un ampio ordine espositivo connotato da interessanti, e talora gustosi, riferimenti storici, tratteggiando i concetti ed i problemi basilari dell'uno e dell'altro gruppo di discipline, nella prospettiva di una feconda collaborazione operativa, a fini di prevenzione e contrasto della criminalità, tra magistrati, avvocati, medici e polizia giudiziaria.

Per la chiarezza e semplicità, e al tempo stesso per la completezza, con cui vengono affrontati  e sviscerati argomenti di grande rilievo teorico, il volume si rivolge non solo a studenti e laureati in giurisprudenza, ma anche ai magistrati ed avvocati penalisti, interessati ad approfondire l'esame della personalità del reo, oltre che agli studiosi delle discipline sperimentali criminologiche, a loro volta interessati ad acquisire i criteri direttivi e gli elementi di conoscenza del nostro sistema penale, sostanziale e processuale. 

L'auspicio dall'Autore formulato, e da molti studiosi senz'altro condiviso, è che le Scuole di specializzazione in Criminalistica - sulla scia della famosa Scuola d'applicazione giuridico-criminale, fondata e diretta nel 1911 da Enrico Ferri nell'Università di Roma - sorgano e fioriscano nei centri universitari italiani, nella prospettiva dell'elaborazione di un programma organico di politica criminale, all'interno di un più ampio disegno di politica sociale generale, volto a contenere la criminalità entro limiti accettabili di tolleranza sociale.

Se, da un lato, non possono rimanere estranee alla formazione culturale del criminalista le discipline sperimentali criminologiche che studiano i fenomeni regolati dalle norme penali (dunque, l'antropologia criminale, la medicina legale, la psicopatologia forense, la polizia scientifica, la criminologia, ecc.), dall'altro lato è la stessa scienza del processo penale che non può esaurirsi in una mera indagine di tipo strettamente giuridico, ma si estendono all'indagine psicologica (psicologia criminale e psicologia giudiziaria penale) e si completano in quella sociologica (sociologia processuale penale e sociologia giudiziaria penale), all'interno di uno studio interdisciplinare che presuppone e richiede la conoscenza di profili valutativi diversi, ma tra loro indissolubilmente congiunti.  

Particolarmente interessanti, proprio perché ispirate dalla ricchezza delle plurime esperienze professionali vissute dall'Autore, risultano quelle pagine in cui egli distingue il compito del dogmatico da quello del giudice, ponendo in luce come il primo debba rimanere aderente al contenuto delle norme che regolano i fatti, mentre il secondo deve, nella ricerca della verità e nell'attuazione della giustizia, rimanere aderente ai fatti concreti regolati dalle norme.  

Il giudice, infatti, si serve delle norme non per compierne una elaborazione scientifica, ma per pronunciare il suo giudizio sull'accertamento dei fatti: se, allora, l'equità e l'umanità costituiscono, in particolare, i criteri ispiratori e regolatori della sua attività, nella funzione di valutazione del fatto ed applicazione del diritto, viceversa quegli stessi criteri esulano dal compito del dogmatico, giacchè egli non può, né deve, formulare alcun giudizio intorno ai fatti concreti, ma perseguire unicamente il fine di offrire una rappresentazione, possibilmente fedele e completa, del vigente ordinamento normativo.

Dalle possibili applicazioni pratiche e dall'individuazione di una serie di opportuni suggerimenti nella impostazione del metodo di studio delle discipline penalistiche, l'Autore passa ad esaminare le principali problematiche del diritto punitivo, nell'ambito di una prospettiva incentrata sulla necessaria indagine della personalità del soggetto, in relazione alle diverse fasi del processo penale.  

Proprio dalla mancata, o insufficiente, disamina di tali aspetti e profili dell'indagine penalistica emergono, peraltro, taluni inconvenienti di ordine pratico, puntualmente evidenziati dal Gianniti allorquando fa riferimento ai pericoli di un livellamento giudiziario della personalità dei singoli delinquenti, ed in particolare: all'aggravamento della posizione di quelli poco pericolosi (ad es., i delinquenti occasionali), responsabili di un delitto materialmente grave, ed, al contempo, all'attenuazione della posizione di quelli predisposti (ad es., i partecipi ad un'associazione mafiosa e camorristica), responsabili di un delitto materialmente meno grave. I primi, infatti, rischiano di ricevere un trattamento sanzionatorio più rigoroso, nonostante la loro minore pericolosità criminale e la loro maggiore riadattabilità sociale.

Sotto tale profilo, ben si comprende, dunque, la specifica attenzione che l'Autore riserva all'esigenza di una specializzazione criminologica dei magistrati penali, dei medici degli istituti penitenziari e della stessa polizia penitenziaria, così come del personale chiamato ad assistere la persona liberata al di fuori del carcere.

Per quel che attiene all'esigenza di specializzazione criminologica dei magistrati penali, ed in particolare di quelli destinati alle Corti di assise, si tratta di un obiettivo formativo ineludibile, imposto dalla stessa natura dell'attività giudiziale, tesa ad accertare non solo la dinamica criminale (il meccanismo di sviluppo del comportamento criminoso), ma anche l'etiologia criminale (i motivi a delinquere, ed in particolare i fattori endogeni ed esogeni dai quali il delitto è derivato), la semeiotica criminale (il carattere del reo, cioè la sua costituzione psichica) e la prognosi criminale (la probabilità di commissione di nuovi delitti).  

Un'esigenza di completezza formativa, quella or ora prospettata, che appare sicuramente orientata ad un'attenta e ponderata formulazione del giudizio penale, nella consapevolezza della particolare complessità e peculiarità delle sue componenti.

Non può che condividersi, in definitiva, il ritratto, che l'Autore sapientemente delinea, di un Giudice penale non "semplice accertatore del reato", o "contatore meccanico della pena da applicare", ma "fine indagatore della pericolosità criminale" attraverso l'impiego di appositi mezzi tecnici, e "dotato di un sereno e forte equilibrio e di un severo potere di autocontrollo", che presuppongono il ricorso non solo alla "finezza logica del giurista" e alla "ricchezza spirituale dell'umanista", ma anche all' "acume introspettivo del criminologo".