ISSN 2039-1676


05 giugno 2012 |

Sulla configurabilità del delitto di appropriazione di cosa smarrita (art. 647 c.p.) in ipotesi di "adozione" di un cane apparentemente abbandonato

Cass. pen., Sez. II, 7.2.2012 (dep. 28.3.2012), n. 11700, Pres. Esposito, Rel. Iannelli

Nei giudizi di primo e di secondo grado l'imputato veniva condannato per il delitto di cui all'art. 647 c.p. ('Appropriazione di cose smarrite, del tesoro e di cose avute per errore e per caso") per essersi appropriato di un cane smarrito (l'art. 647, co. 1, n. 1 c.p. punisce in particolare il fatto di chi "avendo trovato...cose da altri smarrite se ne appropria, senza osservare le prescrizioni della legge civile sull'acquisto della proprietà di cose trovate").

L'imputato, in particolare, aveva ricevuto da un amico - nella sua veste di riconosciuto "amante degli animali" - un cane ritrovato da quest'ultimo in strada privo di microchip, tatuaggio e targhetta, ed aveva deciso così di "adottarlo" avviando le pratiche amministrative del caso, funzionali all'iscrizione dell'animale alla cd. anagrafe canina.

Successivamente, il "padrone" del cane smarrito, accertata la sorte del proprio animale, lo richiedeva indietro scontrandosi con il diniego dell'imputato e, conseguentemente, presentava querela. Con sentenza del Giudice di Pace di Varazze del 6.4.2009, confermata dal Tribunale di Savona con sentenza del 6.12.2010, l'imputato veniva quindi condannato a 1.200 euro di multa per il reato di cui all'art. 647 c.p.

Avverso la sentenza di condanna ricorre per cassazione l'imputato, contestando, tra l'altro: l'illegittimità del rigetto della sua richiesta di acquisizione del certificato di iscrizione del cane all'anagrafe canina, non essendo certo che il querelante fosse il proprietario dell'animale; b) l'insussistenza del reato per non potersi configurare l'animale come "cosa smarrita"; c)  l'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato.

Con la sentenza pubblicata in allegato, la S.C. ha accolto il ricorso, annullando senza rinvio la sentenza impugnata, dopo aver ritenuto fondato - e assorbente - l'ultimo dei citati motivi, relativo alla insussistenza dell'elemento soggettivo del reato. La Corte rileva infatti come sia evidente l'insussistenza del requisito del dolo del delitto come contestato, nel caso di specie, in quanto il cane non aveva alcun segno di riconoscimento (microchip, tatuaggio, targhetta, ecc.) idoneo a ricondurre la proprietà dello stesso in capo a terzi, sicché è del tutto ragionevole ritenere che difettasse la consapevolezza di aver rinvenuto un animale di proprietà altrui, quindi smarrito, essendo plausibile  aver trovato un cane abbandonato o ''un c.d. "randagino".

La Corte non ha così affrontato il tema, posto dal motivo di ricorso sopra indicato sub b), della riconducibilità di un cane (apparentemente) abbandonato alla nozione di "cosa smarrita" rilevante ai sensi dell'art. 647 c.p. Si tratta di una questione affrontata e risolta in senso negativo dalla Cassazione, in una pronuncia risalente agli anni cinquanta, nella quale affermò che "l'impossessamento di un animale con consuetudo revertendi (nella specie, cane) costituisce furto e non già appropriazione di cosa smarrita, in quanto in corrispondenza della detta consuetudo la persona offesa mantiene il possesso dell'animale" (Cass., Sez. II, 5.6.1954, Musso, in Giust. Pen. 1954, II, c. 999).