ISSN 2039-1676


29 aprile 2013 |

A proposito del volume di V. Manes "Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni fra diritto penale e fonti sovranazionali" (ed. Dike, Roma, 2012)

Recensione

Il libro del professor Manes descrive plasticamente il percorso di dissoluzione del ruolo dell'interprete del diritto che si è andato compiendo, e si va compiendo, nell'ambito dell'ordinamento integrato che, travolti i confini della legislazione nazionale, impone la considerazione e l'esame di fonti ulteriori e contesti diversi.

Non si tratta soltanto di una modifica quantitativa, che costringe ad aggiungere alle fonti interne anche l'esame di quelle di derivazione internazionale e sovranazionale, quali le regole della Convenzione Edu e degli strumenti normativi dell'UE, per la risoluzione di ciascun caso concreto.

E' infatti ben rappresentato nel libro lo scarto qualitativo che impone di destreggiarsi tra tipologie nuove di precetti, che alterano la stessa struttura logica del percorso esegetico, non più articolato nella consolidata e rassicurante progressione dialettica che si muove in maniera lineare tra la norma astratta - premessa maggiore - la vicenda del caso concreto - premessa minore - per pervenire alla regola applicabile alla fattispecie.

Non sono cambiate quindi solo le squadre in campo ed il risultato del gioco, ma sono diverse le stessa regole logiche che lo disciplinano.

Tale rivoluzione diventa tanto più significativa nel settore del diritto penale, in cui la tradizione ci aveva consegnato la rassicurante certezza del principio di riserva di legge espressa, nullum crimen sine lege.

Oggi, invece, come acutamente osservato nel libro di Manes, l'interprete deve confrontarsi,  oltre che con le regole positivamente disciplinate dalle fonti tradizionali interne, anche con "disposizioni senza norme", come le Carte dei diritti, che sanciscono principi fondamentali ma non forniscono concretizzazioni analitiche, e "fonti senza disposizione", quali le pronunce delle Corti europee capaci di condizionare il contenuto del tessuto normativo ad un livello addirittura supralegislativo, o paracostituzionale, senza definire contesti generali ed astratti di disciplina.

Entrano nel gioco anche le "fonti con effetti indiretti", quali gli atti normativi UE che, nel settore penale non possono produrre direttamente conseguenze di incriminazione o di determinazione del trattamento sanzionatorio ma necessitano l'attuazione nazionale (art. 83 t.f.u.e.), o come le regole CEDU, che sono giustiziabili solo davanti alla Corte Costituzionale, quali norme interposte, efficaci con la mediazione dell'art. 117 Cost. - con il limite del rispetto degli ulteriori principi della Costituzione.

Specularmente, le norme positive interne, che costituivano l'architrave fondante di ogni ragionamento interpretativo, possono essere oggi private di effettività, in quanto suscettibili di essere neutralizzate da fonti eurounitarie prevalenti che ne impongano la disapplicazione in quanto incompatibili.

Se la Corte Costituzionale è da anni impegnata nel tentativo di inquadrare  le varie anime nel sistema, definendo le regole di convivenza - o di supremazia - tra le fonti, il singolo interprete si trova al centro di questa frammentazione che lo costringe a governare il magma eterogeneo di sollecitazioni, che mettono a dura prova la tradizionale concezione piramidale dell'ordinamento, avvicinandolo piuttosto ad una rete multipolare a geometria variabile, costituita da fattori operanti a livelli e con effetti fortemente differenziati.

Oggi il giudice nazionale, "soggetto soltanto alla legge", deve aprirsi  una strada in cui il dato normativo positivo interno costituisce uno soltanto, e neanche il più importante, dei filtri attraverso cui leggere le fattispecie oggetto di giudizio. L'interpretazione risulta, infatti, condizionata - da un lato -  dai principi fondamentali comuni degli ordinamenti sopranazionali, e - dall'altro - dalla giurisprudenza delle Corti Europee cui è attribuito un rilievo supralegislativo - ma infracostituzionale, come alla Corte di Strasburgo - oppure paracostituzionale - come alle pronunce della Corte di Giustizia UE.

All'interprete è quindi consegnata quella che è brillantemente individuata nel libro quale attività di bricolage, di decoupage, che impone di definire, prima ancora dei contenuti della singola regola di giudizio, il contesto delle fonti rilevanti, il loro differente grado di prescrittività, la possibile conciliazione, o, altrimenti, l'ordine di prevalenza, fino a dissolvere il concetto di interpretazione in un ben più significativo apporto creativo, che lo rende in ultima analisi artefice delle regole, con inevitabile preoccupante torsione del principio di legalità in materia penale sancito dall'art. 25 della Costituzione.

Sono chiari, e ben evidenziati nel volume che commentiamo, i rischi che simile assetto può provocare, incrinando la stessa praticabilità dell'assunto per cui iura novit curia e costringendo un interprete educato alla tradizione giuridica continentale a ragionare in termini metodologici casistici propri della cultura di common law .

Si tratta delle scorciatoie perseguibili a valle del percorso argomentativo, attraverso il richiamo liberatorio, ma inappropriato, alla selezione (talvolta arbitraria) dei precedenti "vincolanti" delle Corti che consentono di affrancarsi dall'esame innovativo delle fonti.

Viceversa, a monte di ogni fatica di analisi ricostruttiva, la decisione "per principi" o "per valori", tratti dalle enunciazioni  generali delle Carte, può dequalificare il sistema di diritto positivo ad opinabile e superabile mezzo per il perseguimento di superiori fini, ai quali sacrificare il sistema di controllo di legittimità e, in ultima analisi, la stessa certezza del diritto.

E' quindi fondamentale, per l'osservatore qualificato che guardi con interesse e con qualche preoccupazione il nuovo scenario di frammentazione e dissoluzione delle regole tradizionali di governo del sistema dell'esegesi, la ricostruzione rigorosa operata dall'Autore degli strumenti operativi e dei margini di integrazione affidati all'interprete nel nuovo scenario, dell'ampiezza dei paradigmi di interazione tra le fonti,  proprio allo scopo di evitare che il suo intervento si tramuti in una ridefinizione innovativa delle scelte regolatorie che in ultima analisi devono rimanere affidate alla discrezionalità del legislatore ordinario.

Così sono opportunamente esaminati, il senso, lo scopo ed i limiti dell'interpretazione conforme, intesa quale strumento di armonizzazione, di riduzione delle asimmetrie  esistenti tra ordinamento positivo interno e principi costituzionali o regole sopranazionali.

Ne sono d'altra parte individuati i rischi, derivanti dalla tentazione di superamento dei limiti logici dell'istituto, consistenti nella necessaria aderenza, o quantomeno permanente compatibilità dell'interpretazione proposta con la lettera della norma interpretata.

In materia penale, peraltro, neanche l'interpretazione conforme può eludere i vincoli di specialità della materia rappresentati dalle garanzie di derivazione costituzionale, del divieto di interpretazione in malam partem.

Solo la consapevolezza della delicatezza dell'operazione esegetica condotta consente all'interprete di rifuggire dai rischi di applicazioni arbitrarie della ricostruzione normativa.

Ed infatti, l'immanente tensione tra diritto giurisprudenziale e principio di legalità è il tema centrale nel dibattito fra i cultori del diritto, non solo nel nostro paese ma in tutti i paesi che si ispirano allo Stato di diritto.

Tale tensione - ben descritta da Manes - trova soluzione nella pronuncia giudiziaria in cui si identifica lo Stato di diritto, verso cui convergono sia il potere di emanare le leggi che il potere di interpretarle ed applicarle ai casi concreti, garantendo così l'equilibrio del sistema basato sulla separazione dei poteri. 

Il richiamo all'architettura di una volta le cui linee d'arco devono innervarsi per sorreggerne il peso, rende plasticamente l'immagine dei due poteri (politico-legislativo e giudiziario-interpretativo) che, se ben distanziati, assicurano nel migliore dei modi la costruzione e la tenuta dello Stato di diritto.

Su questi percorsi si possono ritrovare, però, le insidie e le lacune sia del potere legislativo che del potere giudiziario. Il primo potrebbe non rispondere alle necessità sollecitate dalle reali istanze sociali, rendendo così più ricorrente il ricorso all'interpretazione adeguatrice, mentre il secondo, se non correttamente e adeguatamente attrezzato, potrebbe non risultare all'altezza del compito richiesto sconfinando nell'arbitrio.

Di qui la necessità dell'approfondimento e della consapevolezza culturale, con cui i titolari di entrambi i poteri coinvolti sono chiamati ad assicurare responsabilmente il massimo impegno.     

 E' molto pertinente ed efficace, al proposito, la rappresentazione del labirinto e la tentazione di Icaro che il prof. Manes ci descrive nel suo libro. L'Autore sottolinea che l'orizzonte tendenzialmente illimitato degli strumenti ermeneutici e, più in generale, delle possibilità operative determinate dal proliferare delle fonti in materia penale, oltre a complicare l'attività di ius dicere, ben oltre la ricerca della soluzione più giusta, può indurre il giudice nella fascinazione di Icaro, e quindi può invogliare ad agganciarsi ad una qualche fonte sovraordinata per evadere dal labirinto penale.

Il rischio è mettere a repentaglio non la vita del giovane discendente di Ares ma il valore della certezza del diritto.   

La soluzione che propone il libro di Manes sembra invece ragionevole laddove, per uscire dal labirinto penale, invita a non affidarsi a fragili "ali di cera", spiccando voli inebrianti ma troppo arditi, piuttosto invita ad entrarvi con la cautela di Teseo, equipaggiati dell'etica del limite e muniti di un filo che comunque possa ricondurre all'uscita.