ISSN 2039-1676


18 dicembre 2010 |

Il titolo esecutivo e la decisione sulla mancata partecipazione dell'imputato al "proprio" processo

Considerazioni a margine di Cass. pen., sez. I, ud. 18 maggio 2010, n. 18734, Pres. Chieffi, Rel. Vecchio, ric. Cassarà 

Nel caso in cui con l'incidente di esecuzione il condannato chieda in via subordinata la restituzione nel termine, il giudice dell'esecuzione, nel rigettare la prima istanza, non può spogliarsi del dovere di decidere sulla richiesta fatta in subordine ai sensi dell'art. 175 c.p.p. Laddove si rifiuti di decidere in merito a tale richiesta, infatti, egli viola la propria competenza funzionale, con la conseguenza che la decisione è affetta da nullità assoluta nella parte che concerne la relativa declinatoria.
 
 
Sommario:
 
 
1. La decisione.
 
Chiamata a decidere sul provvedimento con il quale la “giurisdizione di esecuzione” aveva respinto l'incidente ex art. 670 c.p.p. proposto dal condannato, demandando, poi, alla Corte d'appello la competenza a provvedere sulla subordinata istanza di restituzione nel termine ex art. 175 c.p.p., con la sentenza qui allegata in calce la Cassazione ha illustrato – con sintesi davvero mirabile – contenuti e competenza funzionale di entrambi gli (invero affini) istituti processuali.
 
Se, da un lato, la Corte ha ritenuto corretta la reiezione di una istanza ex art. 670 c.p.p. che si fondi sull'asserita mutata residenza del soggetto; dall'altro lato, tuttavia, gli elementi addotti dal ricorrente, e posti a sostegno della subordinata istanza ex art. 175 c.p.p., dovevano essere valutati dal medesimo giudicante, non potendo costui spogliarsi del potere di decidere rinnegando la propria competenza funzionale in materia.
 
Insomma, pur non avendo il ricorrente superato la presunzione di correttezza formale – e quindi sostanziale – della notificazione dell'estratto contumaciale, costui aveva diritto a veder decisa, dal momento che aveva sollecitato in via subordinata tale decisione, la idoneità dei medesimi elementi a restituirlo nei termini per impugnare la sentenza di condanna. Interessante è poi constatare come a tale decisione la Cassazione sia pervenuta ex officio, non essendo stata, invero, sollecitata da un motivo di ricorso ad hoc.
 
La pronuncia che si annota ci offre lo spunto per delimitare, benché per sintesi estrema, l'ambito di operatività del c.d. incidente di esecuzione; cercheremo di comprendere quale sia, o possa essere, oggi la pratica “utilità” dello strumento di rimozione del giudicato penale e come debba, o possa, essere azionato.
 
 
2. Le “questioni” sul titolo esecutivo.
 
A valle del giudicato penale, e quale rimedio a situazioni patologiche che determinano la malformazione del titolo esecutivo[1], il nostro legislatore ha previsto la possibilità di un incidente di esecuzione (ai sensi dell’art. 670 c.p.p.) onde consentire al giudice di questa fase la rilevazione di “questioni” incidenti sulla esistenza o sulla esecutività del titolo[2].
 
Si consente, in sostanza, al giudice dell’esecuzione l’accertamento dell’eventuale presenza di casi in cui il provvedimento[3] manchi o non sia divenuto esecutivo, tenuto pure conto delle garanzie previste nel caso di irreperibilità del condannato.
 
Laddove dette patologie fossero accertate, infatti, il giudice ha l'obbligo di dichiararlo con ordinanza, sospendendo l’esecuzione penale, con conseguente liberazione dell’interessato[4]. Inoltre, allorquando motivo di invalidità fosse stata la citazione dell’imputato è fatto obbligo al giudice di provvedere alla rinnovazione della notificazione non validamente eseguita, la qualcosa farà decorre nuovamente il termine per l’impugnazione.
 
Ancora, prevede la legge, laddove sia proposta impugnazione od opposizione il giudice dell’esecuzione che abbia provveduto sulla richiesta dell’interessato dovrà trasmettere gli atti al giudice di cognizione competente; il quale non sarà in alcun modo pregiudicato dalla precedente decisione.
 
Ed infine – questione che ha generato l'annullamento nel caso in analisi – allorquando l’interessato, nel proporre richiesta perché sia dichiarata la non esecutività del provvedimento, eccepisca anche la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la restituzione nel termine a norma dell’art. 175 c.p.p.[5], sarà il giudice dell’esecuzione[6] a decidere sulla restituzione nei termini[7]. Quest'ultima è una ipotesi tipica di competenza funzionale, come correttamente rilevato dalla Cassazione nella sentenza che si annota, poiché – com'è evidente – è una ipotesi che riguarda la ripartizione delle «attribuzioni del giudice in relazione allo sviluppo del processo» e «si riflette sull'idoneità specifica dell'organo all'adozione di un determinato provvedimento»[8].
 
 
3. Titolo “mancante” e titolo “non esecutivo”.
 
Appare evidente come la legge abbia attribuito, perciò, al giudice dell’esecuzione la competenza funzionale a decidere sulle questioni riguardanti esistenza e validità del titolo esecutivo[9]. Spetterà ad esso, infatti, verificare la presenza di ogni elemento formale e sostanziale del titolo; e tale controllo sembra debba assumere la dignità di attività pregiudiziale, dal momento che la valutazione sull’esistenza e sulla validità del titolo esecutivo – riflettendosi sulla efficacia di esso – è necessariamente preliminare rispetto ad ogni altra questione da valutare in fase esecutiva[10].
 
Per tale motivo, probabilmente, è stata attribuita al giudice dell’esecuzione la facoltà di effettuare detto controllo anche ex officio, in mancanza di qualsivoglia istanza di parte in tal senso[11]; anche se non è mancata una dottrina che ha evidenziato come sarebbe necessario[12] in ogni caso un input di parte, nonostante l’inoperatività del principio devolutivo e la derivante conoscibilità ex officio. Tale posizione dottrinaria ritiene, cioè, che vi sia – quale presupposto del potere giurisdizionale – la condizione che il giudice dell’esecuzione debba comunque essere stato investito di una questione riguardante l’esecuzione del titolo; solo così egli potrà decidere anche su quegli elementi non compresi nell’istanza che ha avviato la procedura e che siano in connessione implicita ed esplicita con essi o siano conoscibili di ufficio.
 
Ad ogni modo, resta indiscusso che l’accertamento condotto ai sensi dell’art. 670 c.p.p. riguardi soltanto l'eventuale “mancanza” o “non esecutività” del titolo detentivo, e non altre patologie dell'atto le quali – com'è noto – sono state assorbite, e perciò sanate, col transito in cosa giudicata.
 
Passando ad approfondire i “contenuti” delle patologie rilevabili con lo strumento in analisi, è dato rilevare come la “mancanza” de qua possa atteggiarsi sia come pura inesistenza materiale, sia (come più di frequente può accadere) quale inesistenza giuridica, consistente, cioè, in una totale assenza nell’atto (il titolo esecutivo) dei requisiti minimi ed essenziali che consentano di affermare la rilevanza (e prima ancora la pertinenza) di esso nel mondo del processo penale; con la conseguenza che il titolo in questione sarebbe da collocarsi al di fuori del sistema penale processuale e risulterebbe mancante, perciò, di qualsiasi effetto giuridico. Si pensi ai casi della sentenza emessa da un soggetto non appartenente all’ordine giudiziarioo non facente parte della giurisdizione penale, o, ancora, al caso di giudice incapace od incosciente ovvero, infine, alla sentenza resa contro soggetto inesistente o defunto[13].
 
Tale prospettiva è avallata dalla giurisprudenza[14], ad avviso della quale in fase esecutiva valgono i principi generali in tema di inviolabilità del giudicato, in base ai quali in sede di esecuzione sono deducibili esclusivamente i vizi attinenti al titolo esecutivo; da ciò derivando che non è possibile riproporre eccezioni relative al giudizio, salvo che si tratti di inesistenza del titolo esecutivo (materiale o giuridica che sia) oppure di illegittimità intrinseca/inesigibilità della pena (es. perché non prevista dalla legge o eccedente il limite legale, ovvero irrogata a defunto).
 
Ovviamente, resterà preclusa al giudice dell’esecuzione la valutazione della validità del titolo esecutivo alla luce di eventuali nullità, inutilizzabilità od altre patologie dell’atto processuale penale risalenti al processo di cognizione; esse dovevano essere eccepite e/o rilevate mediante gli ordinari mezzi di impugnazione.
 
Ed invero, anche per la Consulta, in ossequio al principio di intangibilità del giudicato, «la problematica dell’errore di fatto, “in iudicando” o “in procedendo”, in cui sia incorso il giudice della cognizione in una sentenza divenuta irrevocabile, è estranea alla competenza del giudice dell’esecuzione»[15]. Diverso è, perciò, il fenomeno disciplinato dall’incidente di esecuzione di cui all’art. 670 c.p.p. perché, come sopra si accennava, esso regola quelle situazioni in cui si palesi una non presenza nel mondo giuridico del titolo esecutivo ovvero una impossibilità di dar corso effettivo alle sue statuizioni ovvero, ancora, una sua non definitività.
 
L’inesistenza è, infatti, fenomeno diverso dalla nullità: quest’ultima tutela situazioni che, per espressa volontà legislativa, perdono rilievo una volta formatasi la cosa giudicata; l’inesistenza, al contrario, priva il provvedimento della idoneità ad acquistare la forza e l’autorità della cosa giudicata[16]. La mancata veste di decisione definitiva (= il transito in cosa giudicata) è fenomeno che si può verificare, inoltre, anche quando il passaggio in giudicato della decisione penale sia dovuto all’omessa impugnazione del provvedimento causata da un difetto di conoscenza e non, come dovrebbe o potrebbe essere, da una scelta consapevole del legittimato[17].
 
Al fine di individuare quando la sopra citata situazione può verificarsi, facciamo ricorso al combinato disposto degli articoli 460, 544, 548, 585 c.p.p. e deriviamo che ciò può avvenire in almeno quattro gruppi di situazioni:
 
  • primo, nei casi di omessa o invalida notificazione dell’avviso di deposito della sentenza, quando il giudice non abbia rispettato il termine di deposito della motivazione previsto dalla legge o indicato nel dispositivo;
  • secondo, nei casi di omessa o invalida notificazione dell’avviso di deposito del provvedimento e del relativo estratto, quando l’imputato è stato dichiarato contumace nel processo;
  • terzo, nel caso di omessa o invalida notifica del decreto penale di condanna;
  • quarto, nel caso di invalida dichiarazione di irreperibilità del condannato, con conseguente notifica degli avvisi nelle mani del difensore, a mente dell’art. 159, comma 2, c.p.p.[18].
 
Le menzionate ipotesi rappresentano i casi più frequenti, ma sappiamo che la prassi potrà evidenziarne altri, legislativamente imprevisti[19], nei quali potrà verificarsi quella “non esecutività” del titolo foriera di sua “rimozione” con lo strumento di cui all'art. 670 c.p.p., che risulterà perciò, in questi casi, correttamente azionato.
 
4. Il controllo sull'instaurazione del rapporto processuale...
 
La valutazione “anche nel merito” dell’osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilità del condannato è un ulteriore parametro contemplato dall’art. 670 c.p.p. ai fini della valutazione del titolo esecutivo. Essa si rende necessaria perché si registra una insufficienza del rispetto formale degli adempimenti previsti dalla legge, al fine di garantire una effettiva tutela alla persona nei casi di ricorso al rito degli irreperibili; perciò, la verifica nel merito delle garanzie previste per gli irreperibili serve a controllare il rispetto di tutte le regole formali nel compimento delle attività previste dalla legge, con l’aggiunta di un “qualcosa in più” rispetto al solo regolare ossequio del disposto di cui agli articoli 159 e 160 c.p.p.
 
La tutela in questione, cioè, si estende ai casi in cui apparentemente si ha un rispetto formale delle disposizioni normative[20] ma, poi, risulti, in sede di esecuzione, che al rispetto delle forme non abbia corrisposto l’effettività fattuale a presidio della quale quelle forme erano poste[21]. Tipico è il caso in cui vi sia una diversità tra i fatti reali e l’attestazione della relata di notifica (di cui agli artt. art. 160 c.p.p. e 61 disp. att. c.p.p.) dovuta non ad una falsità commessa dalla polizia o dall’ufficiale giudiziario ma, ad esempio, ad un breve intervallo di tempo intercorso tra le ricerche e la presenza del ricercato in quei luoghi, oppure dalle false o scorrette notizie fornite dai soggetti intervistati dai ricercatori[22].
 
La valutazione “nel merito”, quindi, serve a verificare una corrispondenza – quando oramai ci si trova in fase esecutiva – tra la forma e la sostanza della dichiarazione di irreperibilità del condannato; uno scostamento tra di esse, infatti, legittimerebbe un intervento caducatorio del titolo ai sensi dell’art. 670 c.p.p.
 
La valutazione sul titolo esecutivo, perciò, serve ad indicare al giudice dell’esecuzione l’esistenza e la esecutività di esso (anche alla luce dell’ultimo criterio sopra indicato), e ciò dal momento che il giudicante – come si accennava in esordio – nei casi di mancanza od inesecutività del titolo ha l’obbligo di dichiarare con ordinanza tali riscontrate situazioni, di sospendere l’esecuzione e disporre la liberazione dell’interessato se detenuto per tale causa.
 
Quando la patologia del provvedimento fosse la sua inesistenza, la situazione processuale si arresterebbe già a questo punto; laddove, invece, si trattasse d’altro il giudice disporrebbe la rinnovazione della notificazione non validamente eseguita, e ciò farebbe decorrere nuovamente il termine per impugnare. Nei casi di rinnovazione della notifica, e di nuova decorrenza del termine di impugnazione, la tempestività del gravame si valuterà in riferimento a questo nuovo termine scaturente dalla successiva notificazione[23].
 
Il compimento di tali attività spoglia irrevocabilmente il giudice dell’esecuzione della sua competenza funzionale in materia e il provvedimento così adottato non sarà revocabile[24].
 
 
5. ...e la restituzione nel termine.
 
Verificabile è, in termini di situazione fattuale, la proposizione avverso il titolo esecutivo di una impugnazione tardiva affiancata ad un incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 670 c.p.p.[25]; in tale caso, la disciplina del fenomeno[26] va concepita in maniera tale da evitare contemporaneità decisionali de eadem re.
 
E’ ben possibile, infatti, che il condannato voglia “giocare su più tavoli”, al fine di veder dichiarata la propria “ignoranza” della decisione definitiva di condanna dovuta ad inosservanza delle formalità di rito. In tal caso, quattro appaiono le possibili soluzioni verificabili nella realtà fattuale:
 
  • primo, il condannato potrà adire contemporaneamente giudice dell’esecuzione e giudice dell’impugnazione;
  • secondo, potrà adirli separatamente;
  • terzo, potrà adire solo il giudice dell’impugnazione;
  • quarto, potrà adire solo il giudice dell’esecuzione.
Le conseguenze normative, in termini di disciplina, potranno essere, di conseguenza, di quattro tipi:
 
  • prima, il giudice dell’esecuzione una volta decisa l’istanza dell’interessato trasmetterà gli atti al giudice dell’impugnazione;
  • seconda, ottenuto il rigetto del giudice dell’esecuzione il condannato potrà adire il giudice dell’impugnazione, il quale se riterrà ammissibile il gravame, e quindi solo apparentemente tardiva l’impugnazione, sospenderà l’esecuzione se in corso;
  • terzo, in caso di rigetto dell’impugnazione per tardività – a nostro avviso – non vi sarebbero ragioni per impedire una successiva istanza rivolta al giudice dell’esecuzione[27];
  • quarta, la decisione del giudice dell’esecuzione, laddove il condannato non abbia interesse a proseguire, resta la parola definitiva sul punto.
E’, poi, possibile che – nel contestare il titolo esecutivo, in termini di validità – l’interessato eccepisca, altresì, e solo al giudice dell’esecuzione, la sua legittimazione ad essere restituito nel termine, ai sensi dell’art. 175 c.p.p.; in tal caso, questi decide prima sulla validità-esecutività del titolo e, poi, definitivamente, sulla restituzione nel termine.
 
Si comprende, allora, come l’istanza di restituzione nel termine sia ontologicamente subordinata all’accertamento della validità del titolo esecutivo, perché potrà decidersi tale restituzione soltanto se viene rigettata la questione sulla non esecutività del titolo stesso.
 
La disciplina è il portato di una incompatibilità logica tra le due richieste, dal momento che chi chiede la restituzione nel termine fa rilevare o che alla conoscenza legale del provvedimento non è collegata una conoscenza effettiva, o comunque che non vi è stata, a prescindere dal rispetto delle forme, una conoscenza fattuale che consentisse l’esercizio dell’impugnazione. Viceversa, colui che eccepisca l’inesecutività del titolo ritiene violate, a monte, le forme legali di comunicazione della decisione successive al provvedimento. Quindi, mentre la richiesta ex art. 175 c.p.p., presume una divergenza tra conoscenza legale e conoscenza effettiva della decisione, viceversa, la richiesta proposta per la declaratoria di non esecutività del titolo si basa sul difetto di conoscenza legale della decisione di condanna.
 
Una volta chiesta la restituzione nel termine al giudice dell’esecuzione resta preclusa (per il comma 3 dell’art. 670 c.p.p.) la possibilità di proporre analoga richiesta al giudice dell’impugnazione[28], e se il primo adito fosse stato questi non ci si sarebbe potuti rivolgere al giudice dell’esecuzione.
 
Non è, tuttavia, mancato chi ha correttamente osservato come vi sia la possibilità di «proporre contemporaneamente l’impugnazione, e in subordine, la richiesta di restituzione in termini, tanto più che un eventuale diniego potrebbe essere facilmente aggirato presentando, assieme alla impugnazione, una richiesta pretestuosa al giudice dell’esecuzione avente ad oggetto la non esecutività del titolo, al solo scopo di sottoporre al suddetto giudice una richiesta subordinata di restituzione in termini (destinata, se concessa, ad aver effetto nel caso di inammissibilità dell’impugnazione)»[29].
 
Insomma, appare prevalente l'orientamento[30] che tende ad allargare le maglie di operatività dell'istituto, condividendone le ragioni di civiltà giuridica; prima fra tutte la strumentalità dell'art. 175 c.p.p. rispetto all'art. 111 Cost., che resterebbe chiaramente inattuato in tutte le ipotesi di superficiale “presunzione” di conoscenza del “proprio processo” poste in capo al condannato[31].
 
6. Brevissime conclusioni.
 
Se questo è lo “stato dell'arte” in tema di proponibilità e decisione delle vicende afferenti al titolo esecutivo, ed in particolare delle situazioni riguardanti la sua “esecutività” derivante dal rispetto delle procedure formali e dalle verifiche “sostanziali” circa la reale efficacia e correttezza di quelle procedure, non potrà che prendersi atto del come la sentenza qui annotata sia corretta al punto da apparire quasi una decisione lapalissiana.
 
Tuttavia, il disorientamento della giurisprudenza milanese, foriero della decisione odierna, ha evidenziato – a nostro avviso – la necessità (oltre a quella di ribadire la vigenza in materia di una competenza funzionale[32]) di riproporre i “contenuti minimi” del rimedio analizzato; in particolare, ci è sembrato opportuno richiamare, oltre alle nozioni di mancanza e non esecutività del titolo, quelle situazioni di difettosa instaurazione del rapporto processuale nei confronti di un imputato assente al “proprio” processo penale.
 
L'analisi compiuta e la condivisa, ed invero pacifica, operatività nel nostro ordinamento del divieto di non liquet illuminano il percorso virtuoso da seguire nelle ipotesi in cui la istanza di restituzione nel termine venga avanzata come richiesta subordinata. E, d'altra parte, l'errore del giudice impugnato era davvero evidente, se solo si pone mente al fatto che nessuna giurisdizione può autonomamente spogliarsi del potere di decidere[33], potendo al più essere spogliata[34].
 
Da quanto sopra sinteticamente esposto, analizzate le doglianze difensive nel caso de quo[35], appare verosimile prevedere che il giudice dell'esecuzione che riesaminerà la vicenda processuale potrà restituire l'imputato-condannato nel termine per impugnare, ricorrendo nel caso di specie una di quelle ipotesi sopra esposte nelle quali appare “difettosa” la procedura di declaratoria della contumacia a cagione di una incompleta “ricerca” del soggetto sub iudice.


[1]             Il titolo esecutivo è da intendersi come decisione divenuta irrevocabile, cfr. Cass., Sez. I, 7 Aprile 2009, Barretta ed altri, in Giur. it., 2009, p. 2763, con nota critica di ANTINUCCI, Equivoci applicativi sull’oggetto dei controlli in executivis.
[2]          Preoccupazione già presente, ancorché non compitamente regolamentata, sotto la vigenza del precedente codice di rito; allora si affidava a dottrina e giurisprudenza il compito di dirimere i casi pratici, per avere una idea delle diverse posizioni v. D’ANGELO-SCAGLIONE, Gli incidenti di esecuzione nel processo penale, Milano, 1981, pp. 35 e ss.
[3]             Che non può che essere una decisione di condanna (sentenza o decreto penale) come già rilevava, oltre un quarantennio fa, BAROSIO, voce Esecuzione penale, in Enc. dir., vol. XV, Milano, 1966, p. 493.
[4]             L’interesse è da considerarsi permanente anche nel caso in cui sia già cessato il rapporto esecutivo cfr. Cass., Sez. I, 18 Febbraio 1981, Varlese, in Arch. n. proc. pen., 1991, p. 449.
[5]          Se non sia stata formulata analoga richiesta anche al giudice dell’impugnazione.
[6]          Quando non dichiara la non esecutività del provvedimento.
[7]          In questo caso la richiesta di restituzione nel termine non potrà essere riproposta al giudice dell’impugnazione.
[8]          I virgolettati sono tratti da AA.VV., Trattato di Procedura penale, diretto da Spangher, Vol. I-Tomo I, curato da Dean, Torino, 2009, p. 50.
[9]             Ed infatti, anche ad avviso della giurisprudenza l’accertamento dell’irrevocabilità del provvedimento di cognizione, e quindi l’accertamento della formazione del titolo esecutivo, compete al giudice dell’esecuzione una volta che il processo si trovi nella fase esecutiva; di conseguenza, iniziata tale fase, l’impugnazione avverso il provvedimento di cognizione deve essere proposta dinanzi al giudice dell’esecuzione, al quale solo spetta la verifica dell’eventuale assenza o non esecutività del titolo, v. Cass., Sez. I, 18 Maggio 2005, Papa, in Riv. pen., 2006, p. 978.
[10]          In argomento v. TONINI, Manuale di procedura penale, settima ed., Milano, 2006, p. 808; e CIANI, sub art. 670, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, a cura di Lattanzi e Lupo, vol. VII, Milano, 2003, pp. 176 e ss.
[11]          GIAMBRUNO, Lineamenti di diritto dell’esecuzione penale, Milano, 2001, p. 90.
[12]          GAITO-RANALDI, Esecuzione penale, Milano, 2000, p. 98.
[13]          PISANI, Gli atti, in Manuale di procedura penale, a cura di Pisani, Molari, Perchinunno, Corso, Gaito e Spangher, settima ed., Bologna, 2006, p. 196.
[14]          Si veda, ad esempio, Cass., Sez. VI, 28 Gennaio 1998, Caresana, in Cass. pen., 2000, p. 120; ma già Cass., Sez. I, 26 gennaio 1984, Fucci, in Giust. pen., 1985, III, c. 404, aveva ritenuto che con lo strumento processuale previsto dall’art. 628 c.p.p. abr. potessero proporsi solo questioni attinenti alla legittimità dell’esecuzione come, ad esempio, la inesistenza giuridica della sentenza, la sua non irrevocabilità o la sua già avvenuta esecuzione. Di conseguenza, il condannato in contumacia, mentre poteva validamente contestare in sede di incidente di esecuzione il passaggio in giudicato della sentenza esclusivamente con riguardo alla notifica prevista dall’art. 500 c.p.p. abr., non poteva far valere in alcun modo l’illegittimità della declaratoria di contumacia o la mancata costituzione di valido rapporto processuale ostandovi l’autorità del giudicato. Sotto la vigenza dell’attuale codice di rito v. Cass., Sez. VI, 7 Aprile 2000, Miola, in Cass. pen., 2001, p. 2730, ad avviso della quale sarebbe addirittura abnorme il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione, in sede di verifica dei vizi attinenti all’esecutività del titolo giudiziale, estende il suo esame alle vicende relative alla fase di cognizione adottando provvedimenti che invalidano il processo già concluso.
[15]          Corte cost., ord. 17 Gennaio 2000, n. 14, in Dir. pen. proc., 2000, p. 348.
[16]            PISANI, Gli atti, in Manuale di procedura penale, cit., p. 197. Si pensi al caso della sentenza emessa nei confronti di un minore degli anni quattordici, provvedimento chiaramente giuridicamente inesistente e la cui inesistenza può, in quanto tale, essere rilevata dal giudice dell’esecuzione cfr. Cass., Sez. V, 8 Maggio 1998, Simic, in Cass. pen,1999, p. 1501.
[17]          CORBI, L’esecuzione nel processo penale, Torino, 1992, p. 261.
[18]          Per raggruppamenti analoghi cfr. sub art. 670, in AA.VV., Codice di procedura penale ipertestuale, a cura di Gaito, seconda ed., Milano, 2006, p. 2873.
[19]          Che restano affidati alla “sensibilità” giurisprudenziale, ponendo attenzione a che la sensibilità non sfoci in discrezionalità o, peggio ancora, in arbitrio. Per un caso del tutto eccezionale sia consentito rinviare al Nostro, Le nuove frontiere del giudicato penale, in La Rivista nel diritto, 2010, pp. 1294 e ss., che esamina il noto caso Dorigo,laddove si è fatta discendere l'ineseguibilità della condanna dall'accertata violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
[20]          Perché, ad esempio, sono state compiute con esito negativo le ricerche richieste dal codice di rito nelle maniere da esso imposte.
[21]          Ad esempio perché al tempo delle ricerche il soggetto era, invece, reperibile nei luoghi in cui “le formalità” lo davano come irreperibile.
[22]          CORBI, L’esecuzione nel processo penale, cit., pp. 283 e ss.
[23]            Restando, infatti, preclusa una diversa valutazione della ritualità della prima notifica e quindi la possibilità di far decorrere da quella il termine per l’impugnazione; conformemente Cass., Sez. VI, 11 Luglio 2002, Fiorentino, in Riv. cancellerie, 2003, p. 78.
[24]          Si veda in proposito Cass., Sez. V, 16 Aprile 1999, El Omari Abdelahkrim, in Giust. pen., 2000, III, c. 239, ad avviso della quale una volta disposta la scarcerazione del condannato per vizi attinenti alla notifica della sentenza di condanna, il giudice non può revocare con una successiva ordinanza tale provvedimento. Infatti, egli ha ormai esaurito la cognizione della vicenda processuale e, quindi, il suo potere di decisione; se emanasse una successiva ordinanza di revoca violerebbe sia il principio del ne procedat iudex ex officio, sia quello del contraddittorio.
[25]          La dottrina più risalente, invece, sembrava escludere tale possibilità v., per tutti, LEONE, Trattato di diritto processuale penale, vol. III, Napoli, 1961, p. 532. Invece la giurisprudenza formatasi sotto il previgente codice era perlopiù possibilista v. Cass., Sez. II, 14 Luglio 1978, Toso, in CED Cass., n. 140310, secondo la quale in caso di incidente di esecuzione proposto contro sentenza di condanna avverso la quale sia stato proposto anche appello tardivo si avrebbero due competenze distinte ed autonome: una del giudice dell’esecuzione, e l’altra del giudice dell’impugnazione.
[26]          Il comma 2 dell’art. 670 c.p.p.
[27]            Contra GUARDATA, sub art. 670, in Commento al Codice di procedura penale, coordinato da Chiavario, vol. VI, Torino, 1991, p. 549, secondo cui, a causa dell’affermata priorità della competenza funzionale e inderogabile del giudice dell’impugnazione in ordine alla decisione sull’ammissibilità della stessa, sia precluso al giudice dell’esecuzione di pronunciarsi successivamente; preclusa sarebbe, in particolare, la possibilità di contestare in quella sede l’esecutività del titolo dopo che sia stata dichiarata inammissibile l’impugnazione.
[28]          Per taluno il citato divieto opera soltanto se il giudice dell’esecuzione si sia già pronunciato, non essendo vietato all’interessato di rivolgersi al giudice dell’impugnazione fintantoché il giudice dell’esecuzione (cui si abbia già proposto analoga domanda) non abbia ancora deciso, cfr. Cass., Sez. V, 3 Giugno 1996, La Russa, in Giust. pen., 1997, III, c. 434.
[29]          GUARDATA, sub art. 670, in Commento al Codice di procedura penale, cit., p. 551, che richiama CONSO, Questioni nuove di procedura penale, Milano, 1959, p. 86.
[30]          Termine da intendersi nel senso più “generale” possibile.
[31]          In tale ordine di idee sembra la recente Corte costituzionale, allorquando ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 175 comma 2 c.p.p. nella parte in cui non consente la restituzione dell’imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale solo perché analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato, cfr. Corte cost., 4 dicembre 2009, n. 317, in Leg. pen., 2010, p. 1, con nota di SPAGNOLO, Consumazione del diritto all'impugnazione e diritto all'autodifesa del contumace.