22 luglio 2015 |
AA.VV., Des ecocrimes a l'ecocide. Le droit penal au secours de l'environnement
Recensione
A fronte dei cambiamenti climatici e dei danni causati dai disastri ambientali, peraltro molto recenti, è urgente riflettere sui mezzi idonei ad assicurare una effettiva tutela dell'ambiente, come testimoniano le recenti modifiche al codice penale italiano, introdotte dalla legge 22 maggio 2015, n. 68 in materia di inquinamento e disastro ambientale. L'ambiente, bene comune per definizione in quanto percepito e vissuto da tutti i popoli della terra, è oggi minacciato in misura maggiore dalla criminalità ambientale internazionale, vuoi per l'espansione oltre confine dell'antica criminalità di quartiere, vuoi per gli effetti transfrontalieri dell'economia globale. Come far fronte, dunque, al bisogno di preservare e difendere questo bene prezioso? Quale spazio è riservato al diritto penale per fronteggiare la criminalità ambientale internazionale?
Questi gli interrogativi da cui prende spunto il volume Des écocrimes à l'écocide. Le droit pénal au secours de l'environnement, il quale presenta uno studio puntuale e attento circa la necessità e i limiti dell'intervento penale nel campo della protezione internazionale dell'ambiente e della repressione delle condotte illecite di natura internazionale. In aggiunta, il volume propone, in una prospettiva de iure condendo, due Convenzioni concernenti la tutela dell'ambiente: il risultato è la costruzione di un sistema graduato ed efficace di protezione dell'ambiente mediante l'utilizzo dello strumento penale.
Pubblicato nel 2015 sotto la direzione di Laurent Neyret, questo studio è il frutto del lavoro di anni di ricerca di sedici giuristi di rilevanza internazionale.
Il volume appare costruito attorno a due poli. La prima parte presenta al lettore tredici contributi aventi ad oggetto diverse tematiche accomunate da un fattore aggregante: la ricerca di una risposta comune ai crimini ambientali internazionali. Di conseguenza, particolare attenzione è rivolta agli sforzi compiuti nella costruzione di un diritto penale comune in materia ambientale, ai limiti e alle sfide presentati dall'internazionalizzazione di un diritto penale dell'ambiente, al tentativo di definire e introdurre un nuovo crimine internazionale di ecocidio (con i relativi aspetti problematici) e alle risposte alla lotta contro la criminalità ambientale internazionale. Evitando l'isolamento nella torre eburnea del penalista, la ricchezza dell'opera passa attraverso l'approccio multidisciplinare che la contraddistingue, guardando al tema con le lenti non solo del diritto penale, ma anche dei diritti umani e del diritto internazionale, consapevole della sempre maggior importanza dei sistemi regionali come l'Unione Europea o l'Organizzazione degli Stati Americani. E l'interdisciplinarietà del volume si riflette anche nella polivalenza degli autori, tra i quali si rinvengono penalisti, internazionalisti e magistrati.
La seconda parte del libro, caratterizzata da una prospettiva de iure condendo, è interamente dedicata alla presentazione di due Convenzioni in materia ambientale, la Convention écocrimes e la Convention écocide, precedute da un'introduzione di Isabelle Fouchard e seguite da un'ultima parte scritta a quattro mani dalla Fouchard e dallo stesso Neyret, dove vengono presentate alcune proposte, ampiamente esplicate al lettore, per sanzionare i crimini contro l'ambiente. Questa parte finale del libro risulta molto interessante perché riassume in modo approfondito le questioni più ampiamente discusse nei capitoli precedenti e le schematizza in trentacinque proposte.
Recensire un libro così articolato e complesso non è facile operazione. Con l'obiettivo di fornire al lettore una chiave di lettura dell'opera, si potrebbe cominciare affermando che uno spirito pervade tutto il libro: quello del movimento e della dinamicità. A partire dal titolo (quel mobile Des...à...), l'opera ci appare come un percorso itinerante in continuo movimento: dagli Stati nazionali (capitolo secondo scritto da Rosmerlin Estupiñan-Silva) verso l'internazionalizzazione del diritto penale dell'ambiente, passando attraverso le organizzazioni regionali; dagli ecocrimini all'ecocidio (dal plurale al singolare, come ci fa notare Neyret), muovendoci secondo una scala di gravità dell'illecito; dalla protezione dell'ambiente alla difesa della sicurezza del pianeta.
Inoltre, dalla prima all'ultima pagina del libro scorre silente la distinzione tra i due approcci alla tutela dell'ambiente che hanno attraversato il tempo e lo spazio dell'umanità: quello ecocentrico, che trova nell'ambiente il bene ultimo da proteggere, e quello antropocentrico, il quale tiene in considerazione colui che l'ambiente lo abita quotidianamente: l'essere umano.
Non solo: si distingue anche tra un approccio europeo, dove solitamente gli Stati qualificano il diritto a vivere in un ambiente sano come un diritto individuale, e un approccio americano-africano, secondo cui lo stesso diritto avrebbe natura collettiva. E questo per ragioni storiche e antropologiche, essendo presenti anche ai giorni nostri popolazioni autoctone che intrecciano relazioni di speciale armonia e necessaria sussistenza tra il territorio e la loro esistenza (si pensi agli himba in Namibia o ai boscimani in Botswana).
Conscio delle difficoltà della costruzione di un diritto penale internazionale dell'ambiente, il libro si apre con un contributo scritto da Pascal Beauvais che dialoga con le insufficienze e le difficoltà che si incontrano nel cammino verso una tutela internazionale dell'ambiente. Ostacoli politici, in particolare la paura di vedersi sottrarre spazio eccessivo alla tipica manifestazione dell'autonomia statale: la sovranità. Ma anche e soprattutto ostacoli giuridici, più o meno già famigliari al penalista. Tra questi, in particolare, il rispetto dei principi di determinatezza e di precisione, l'individuazione del bene giuridico da proteggere e dei soggetti attivi del reato, la misura di anticipazione della tutela, l'elemento soggettivo.
Dopo aver sottolineato l'importante contributo alla penalizzazione delle condotte illecite svolto dai sistemi regionali, in particolare dagli obblighi positivi di protezione del diritto alla vita e del diritto all'integrità personale imposti allo Stato nazionale (capitolo terzo scritto da Kathia Martin-Chenut), il libro si concentra sulla sfida volta a edificare un diritto penale comune a protezione dell'ambiente (si veda il capitolo quinto scritto da Luca D'Ambrosio).
In primo luogo si distinguono i cosiddetti ecocrimini dall'ecocidio. I primi sono definiti come atti illeciti idonei a mettere in pericolo il bene ambiente (approccio ecocentrico) o la persona (approccio antropocentrico) commessi intenzionalmente o con colpa grave (artt. 3 e 4 Convention écocrimes). Per contro, il crimine di ecocidio si traduce in condotte intenzionalmente commesse nel quadro di un'azione generalizzata o sistematica che costituiscono un attentato alla sicurezza del pianeta (art. 2 Convention écocide). Entrambe le Convenzioni elencano poi una serie di condotte idonee ad integrare la fattispecie di ecocrimine ed ecocidio, anche se non in modo tassativo in quanto è prevista una clausola di apertura verso altre condotte illecite di carattere analogo suscettibili di mettere in pericolo l'ambiente.
La distinzione tra i due diversi crimini risiede nella volontà di graduare la responsabilità e la conseguente risposta sanzionatoria secondo una scala di gravità della condotta. Non stupisce dunque che, a fronte di un comune approccio globale, le Convenzioni prevedano regimi di prevenzione e repressione diversi per i crimini transnazionali (ecocrimini) e i crimini sovranazionali (ecocidio). Solo l'ecocidio assurge a crimine internazionale da collocarsi vicino ai già codificati crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Del resto, la stessa formulazione della norma appare simile, per struttura e tenore, all'art. 7 dello Statuto della Corte Penale Internazionale che codifica i crimini contro l'umanità. E sempre in riferimento all'estrema gravità del danno causato dall'ecocidio, si è proposto di suddividere quest'ultimo in tre diverse qualificazioni penali distinte (capitolo settimo scritto da Emanuela Fronza e Nicolas Guillou): l'umanocidio per gli attentati alla salute umana, il biocidio per gli attentati alla biodiversità che arricchisce il nostro pianeta, e il geocidio per gli attentati che colpiscono lo spazio naturale.
In secondo luogo, lo studio si preoccupa di individuare il bene giuridico meritevole di protezione penale, nonostante la centralità di tale concetto, a livello internazionale, non sia così scontata come potrebbe apparire nella nostra tradizione giuridica. Pur avendo sottolineato, poco sopra, i due differenti approcci alternatisi nel tempo e nello spazio, gli autori dell'opera non hanno optato per una scelta drastica, in rispetto della stessa natura polisemantica del termine "ambiente"; al contrario, nei progetti delle Convenzioni si può notare la convivenza dell'approccio ecocentrico con quello antropocentrico.
Il capitolo sesto (scritto da Hugues Hellio) presenta una riflessione sul valore condiviso che sta alla base della Convenzione sull'ecocidio, ovvero la sicurezza del pianeta. L'autore, attraverso una ricostruzione storico-giuridica, tenta di dimostrare l'esistenza di una norma imperativa rivolta a vietare le condotte idonee a integrare il crimine di ecocidio; non solo: si cerca di dimostrarne la natura consuetudinaria e addirittura il divenire jus cogens di questa proibizione.
Infine si riflette sull'elemento soggettivo: limitare la responsabilità penale alle sole condotte dolose o ampliarne la portata fino ricomprendervi gli atti colposi? L'approccio restrittivo, inaugurato dalla Direttiva UE del 2008, limita la responsabilità alle sole condotte poste in essere con dolo o colpa grave. Tuttavia, nella Convention écocrimes l'elemento soggettivo richiesto ai fini della responsabilità penale non trova definizione, e questa assenza porta con sé la consapevolezza delle sostanziali differenze esistenti, a livello nazionale, in materia di mens rea. La mancanza di una definizione permetterà allo Stato nazionale di applicare le proprie norme in materia di elemento soggettivo senza dover necessariamente rivoluzionare il proprio sistema normativo (si pensi, a titolo d'esempio, alla responsabilità per mise en danger prevista in Francia, o alla recklessness dell'ordinamento anglosassone, che non trovano equivalenti in altri codici penali).
La Convention écocide appare ancor più restrittiva essendo rivolta ai soli comportamenti dolosi. Tuttavia la severità è temperata da una presunzione: sono considerati intenzionali gli atti posti in essere dal soggetto che sapeva o avrebbe dovuto sapere che esisteva un'alta probabilità di verificazione dell'evento dannoso (art. 2 par. iii); in questo modo la Convenzione apre le porte al dolo eventuale, alla recklessness e alla wilfull blindness (si veda il capitolo quinto di D'Ambrosio).
Di fronte a un crimine contro l'ambiente così come previsto dalle due Convenzioni, quali sono i soggetti attivi passibili di pena, e quali le sanzioni? Per quanto riguarda il primo punto, il libro opera una distinzione tra una criminalità in gruppo, per la quale trovano applicazione le norme in materia di concorso di persone e di reati associativi (si veda il capitolo nono scritto da Ioannis Rodopoulos), e criminalità di gruppo, dove i fatti illeciti sono imputati a un ente con personalità giuridica (si veda il capitolo ottavo scritto da Juliette Tricot). I recenti fatti del Golfo del Messico e di Fukushima testimoniano come spesso (o sempre) i danni ambientali consistenti sono causati da imprese private o statali che esercitano un'attività economica, sovente rientrante nelle cosiddette attività rischiose ma esercitate in quanto socialmente utili. Oltre alla difficoltà di rendere effettiva la responsabilità delle imprese, testimoniata dalla staffetta giudiziaria tra Ecuador e Stati Uniti nel caso Texaco (si veda il capitolo quarto scritto da Kathia Martin-Chenut e Camila Perruso), si ripresenta l'annosa disputa sulla responsabilità penale delle persone giuridiche. Nonostante le recenti tendenze nazionali, è un dato incontestabile che ci troviamo di fronte a un panorama diversificato, almeno a livello europeo, rispetto alla possibilità di ritenere penalmente responsabili le persone giuridiche. I contributi contenuti nell'opera e le due Convenzioni optano per la penalizzazione della responsabilità delle imprese, prevedendo anche una lista di pene ad hoc per le persone giuridiche.
Per quanto riguarda le sanzioni, pare opportuno partire da un'affermazione tanto ovvia quanto veritiera: nel diritto dell'ambiente la prevenzione gioca un ruolo fondamentale poiché il cd. danno ambientale raggiunge spesso una tale entità da arrecare perdite gravi e permanenti all'intero ecosistema. Quale funzione è dunque riservata alla sanzione penale? Dopo aver sottolineato la scarsa attenzione dedicata all'armonizzazione delle sanzioni, il capitolo decimo (scritto da Adán Nieto Martín) presenta un ventaglio di sanzioni, soffermandosi sulla prevenzione generale, sulla neutralizzazione e sulla riparazione. Il libro e i progetti di Convenzioni non indicano pene precise da applicarsi e lasciano piena discrezionalità agli Stati a riguardo; tuttavia propongono alcune caratteristiche fondamentali che devono necessariamente accompagnare qualsiasi sanzione: la pena dovrà infatti essere dissuasiva (forza di prevenzione generale), proporzionata al danno (rispetto del principio di colpevolezza) ed efficace. Per le persone giuridiche la pena principale non può che consistere nel risarcimento del danno, ma non mancano sanzioni di tipo strutturale che modificano la cultura della legalità dell'impresa, come la nomina di un mandataire de justice.
Ai fini di una risposta efficace alla criminalità ambientale, non potevano mancare le riflessioni dedicate agli aspetti più procedurali della materia rivolti a stabilire "come" e "di fronte a quale giurisdizione" sarà possibile perseguire gli autori di reati ambientali. Il capitolo undicesimo (scritto da Carlo Sotis) distingue tra un approccio giurisdizionale, volto a stabilire le regole di competenza, e un approccio istituzionale, che sposta l'attenzione del lettore sugli organi competenti a giudicare i crimini in questione. Se per quanto riguarda le regole di competenza si predilige il criterio di territorialità e solo in via sussidiaria il criterio della personalità attiva, sotto il profilo istituzionale la Convenzione sull'ecocidio, in un modo che ricorda la Convenzione del Genocidio del 1948, stabilisce che gli Stati parte cooperino in vista della creazione di una Corte Penale Internazionale dell'Ambiente, complementare alle giurisdizioni nazionali, competente in materia di ecocidio (art. 18). Questa soluzione, basata sul principio della complementarità come la Corte Penale Internazionale, ha il vantaggio di affidare la competenza ad un organo ad hoc munito di competenze specifiche, nonché di possedere una forte valenza simbolica: il bene giuridico internazionale par excellence, l'ambiente, troverebbe protezione a livello sovrastatale di fronte a una corte internazionale. Tuttavia, come ha sottolineato Carlo Sotis nel suo contributo, la moltiplicazione di giurisdizione penali a livello internazionale, e i relativi rischi connessi, sembrano sconsigliare questa soluzione. La proposta alternativa vorrebbe la creazione di una Corte Penale Internazionale dell'Ambiente che si appoggia alla struttura e al personale della già operante Corte Penale Internazionale.
Prima di concludere sembra opportuno soffermarsi brevemente su alcune suggestioni scaturite dalla lettura di questo volume ricco di spunti. In primo luogo, occorre sottolineare che il percorso verso un diritto penale comune dell'ambiente è destinato ad avere successo, e in caso contrario a fallire, soltanto grazie a una trasparente collaborazione e cooperazione tra Stati, soprattutto per evitare la creazione di vuoti di tutela che permettano agli autori dei reati di approfittare di spazi più permissivi dove trasferire la propria attività (cd. fenomeno del forum shopping).
In secondo luogo, sarà necessaria una riflessione attenta sulla formulazione e repressione delle condotte che integrano l'ecocidio, soprattutto in vista di un coordinamento con le altre fattispecie di crimini internazionali. Come è noto, il sistema normativo della Corte Penale Internazionale non prevede né la responsabilità per le persone giuridiche, né una norma di portata generale sulla responsabilità omissiva, né la responsabilità colposa. Qualora si decidesse di estendere la competenza della Corte Penale Internazionale all'ecocidio, sarà necessario uno sforzo di modifica o di coordinamento tra le disposizioni della Convention écocide e quelle dello Statuto della Corte Penale Internazionale.
Infine, un brevissimo cenno al delicato compito di protezione dell'ambiente nel tempo che spetta allo strumento penale: essendo l'ambiente un bene comune a tutti i popoli la cui salvaguardia è garantita sempre più in riferimento alle cd. generazioni future, occorre riflettere sulla portata delle norme che dovranno proteggere non soltanto un hic et nunc, ma anche un domani e un avvenire.
Il volume Des écocrimes à l'écocide presenta dunque al lettore un tema nuovo e originale, ovvero il processo di internazionalizzazione del diritto penale dell'ambiente che culmina con il progetto di due Convenzioni ad hoc e la proposta, de iure condendo, di creare una nuova fattispecie di crimine internazionale azionabile in giudizio di fronte a una corte sovranazionale. Il punto di partenza è costituito dalla presa di coscienza dell'estrema frammentazione e complessità del diritto penale dell'ambiente. Gli autori ne propongono una razionalizzazione in nome non soltanto del rispetto del principio di precisione, ma anche e soprattutto ai fini di una politica criminale più efficace, senza dimenticarsi dell'importanza di una tutela collettiva dell'ambiente, la quale passa attraverso la cooperazione tra Stati, l'armonizzazione delle legislazioni nazionali e l'unificazione delle sanzioni previste per il crimine di ecocidio.
La conoscenza e il dialogo con le tematiche, le riflessioni e le risposte proposte da quest'opera appaiono necessarie per il penalista chiamato a riflettere su come adattare e ripensare le categorie penalistiche a fronte della necessità di intervenire dinanzi ai macro-eventi (i cd. disastri ambientali) e all'urgenza di tutelare le generazioni future.
Come efficacemente sintetizzato nella prefazione di Mireille Delmas-Marty, la trasformazione del diritto penale a soccorso dell'ambiente deve essere triplice: una riprovazione universale eppure graduata secondo criteri di gravità; una repressione internazionale eppure differenziata secondo le diversità nazionali; una responsabilità anticipata eppure modulata secondo criteri di tolleranza.