ISSN 2039-1676


09 ottobre 2015 |

La riforma dei reati tributari: un primo sguardo al d.lgs. 158/2015 appena pubblicato

 

1. La riforma dei reati tributari è legge. È stato infatti appena pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (in data 7 ottobre 2015) il d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 - per leggere il quale clicca qui - con cui il governo ha esercitato la delega conferitagli con l'art. 8 co. 1 della legge 11 marzo 2014, n. 23.

Di seguito si offre un quadro il più possibile completo di tutte le novità apportate dalla riforma alla disciplina dei reati tributari, evidenziando in particolare  le differenze tra il decreto ora pubblicato ed il testo approvato in esame preliminare lo scorso giugno (d'ora in avanti: "schema" di decreto) già segnalato su questa Rivista (Finocchiaro S., Sull'imminente riforma in materia di reati tributari: le novità contenute nello 'schema' di decreto legislativo, 16 luglio 2015; al riguardo, si veda anche l'articolo di Cavallini S., Osservazioni 'di prima lettura' allo schema di decreto legislativo in materia penaltributaria, 20 luglio 2015).

 

2. Il decreto consta di tre titoli: il primo dedicato alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario (Titolo I), il secondo concernente la revisione del sistema sanzionatorio amministrativo (Titolo II), il terzo relativo a decorrenza degli effetti, abrogazioni e disposizioni finanziarie (Titolo III).

È il Titolo I, dunque, a modificare la disciplina dei reati tributari di cui al d.lgs. n. 74/2000 nei termini seguenti.

 

3. L'art. 1 d.lgs. n. 74/2000[1] contiene ora alcune novità relative alle norme definitorie.

Alla lett. b) della disposizione, relativa agli "elementi attivi e passivi", viene introdotto il riferimento alle "componenti che incidono sulla determinazione dell'imposta dovuta".

Alla lett. c) si specifica che per "dichiarazioni" s'intendono anche quelle presentate dai "sostituti d'imposta, nei casi previsti dalla legge".

Alla lett. f), relativa all'imposta evasa, si precisa che non si considera tale "quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell'esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili".

In una nuova lett. g-bis) le "operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente" sono definite come "operazioni apparenti, diverse da quelle disciplinate dall'art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti";

Alla lett. g-ter) si chiarisce che nella nozione di "mezzi fraudolenti" rientrano quelle "condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà".

Sarà poi il nuovo art. 3 d.lgs. 74/2000 (v. infra) a descrivere la fattispecie incriminatrice ricorrendo alle locuzioni 'mezzi fraudolenti' e 'operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente'. Operazioni, quest'ultime, da distinguere - per espressa previsione legislativa - dalle operazioni di elusione fiscale definite nel nuovo art. 10-bis l. 212/2000, di cui è espressamente esclusa la punibilità (sul punto vd., su questa Rivista, Donelli F., Irrilevanza penale dell'abuso del diritto tributario: entra in vigore l'art. 10-bis dello Statuto del contribuente, 1 ottobre 2015 nonché Mucciarelli F. Abuso del diritto e reati tributari: la Cassazione fissa limiti e ambiti applicativi, 9 ottobre 2015).

 

4. L'art. 2 d.lgs. n. 74/2000[2], relativo al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (come già era previsto nello schema di decreto) vede soppressa la parola "annuali". Risulta così ampliato il novero delle dichiarazioni rilevanti ai fini della configurabilità del reato.

 

5. L'art. 3 d.lgs. n. 74/2000[3], relativo alla dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, contiene le novità strutturali già annunciate nello schema di decreto. La norma, dunque, abbandona la tradizionale struttura trifasica (i. "falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie"; ii. utilizzo di "mezzi fraudolenti idonei" ad ostacolare l'accertamento della falsità; iii. indicazione, nella dichiarazione dei redditi o ai fini iva, di elementi attivi inferiori a quelli effettivi o elementi passivi fittizi) e contiene le seguenti novità:

- è eliminata la prima delle tre fasi indicate, rendendo non più necessario l'elemento della falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie, con ciò aumentando i potenziali soggetti attivi del reato;

- la condotta materiale consiste nel compimento di "operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente" (descritte dalla nuova lett. g-bis dell'art. 1, v. supra) ovvero dell'avvalersi "di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria" (cfr. lett. g-ter dell'art. 1, v. supra);

- viene alzata (da un milione di euro) a un milione e cinquecentomila euro la soglia relativa all'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione e viene introdotta una soglia, alternativa, rapportata all'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie;

- è introdotto un nuovo 2° comma con cui si precisa che "il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria" e un nuovo 3° comma, secondo cui "non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi inferiori a quelli reali".

L'intenzione del legislatore delegato - in linea con le direttive dell'art. 8 della legge delega - è quella di "dilatare i confini" applicativi della norma. Quest'ultimi, tuttavia, risultano al contempo piuttosto "sfumati", spettando ora all'interprete una non banale attività ermeneutica volta a discernere con chiarezza le operazioni "simulate" ex art. 3, da quelle "inesistenti" ex art. 2 e da quelle "elusive" ex art. 10-bis l. 212/2000, recentemente introdotto dal d.lgs. 128/2015.

 

6. All'art. 4 d.lgs. n. 74/2000[4] (dichiarazione infedele) viene elevata (da 50.000) a 150.000 euro la soglia di punibilità e (da due) a tre milioni di euro la soglia del valore degli elementi attivi sottratti all'imposizione. Vengono inoltre inseriti:

- un nuovo comma 1-bis, secondo cui "non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali";

- di un nuovo comma 1-ter secondo cui, "fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10% da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lett a) e b)".

Un'ulteriore novità è la sostituzione nell'art. 4 delle locuzioni "elementi passivi fittizi" in "elementi passivi inesistenti" (intervento, si noti, che invece non è stato operato agli artt. 2 e 3). Una modifica terminologica in cui pare scorgersi l'intenzione legislativa di sottrarre appigli normativi alla tesi della rilevanza penale dell'elusione fiscale. Tesi, quest'ultima, che trova(va) linfa proprio nella possibile interpretazione del concetto di "fittizietà" come "indeducibilità". Invero, sostenendo che elementi passivi fittizi non sarebbero solo quelli inesistenti (per coì dire, in rerum natura) ma anche quelli indeducibili ai sensi della disciplina tributaria, sarebbe possibile ritenere integrato il reato di dichiarazione infedele ex art. 4 anche laddove il contribuente abbia indicato elementi passivi (formalmente esistenti, ma) risultanti da condotte elusive inopponibili all'Amministrazione finanziaria. Indubbiamente, in seguito alla novella, una simile interpretazione diviene più ardua da propugnare; sempreché essa possa ancora trovare spazio in seguito all'entrata in vigore del citato d.lgs. 128/2015 che, oltre ad offrire una definizione di "operazioni abusive"[5] dispone che esse "non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie"[6], disposizione accolta da più parti come un sipario sulla questione della rilevanza penale dell'elusione fiscale.

 

7. Nell'art. 5 d.lgs. n. 74/2000[7], la riforma interviene:

- elevando (da trentamila) a 50.000 euro la soglia di punibilità per l'omessa dichiarazione dei redditi o ai fini IVA ma è aggravato il trattamento sanzionatorio, che diventa della reclusione da un anno e sei mesi a 4 anni;

- introducendo un comma 1-bis che punisce (con la reclusione da un anno e sei mesi a 4 anni) l'omessa dichiarazione di sostituto d'imposta quando l'ammontare delle ritenute non versate è superiore a 50.000 euro.

 

8. L'art. 7 d.lgs. n. 74/2000, rubricato "rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio" viene abrogato[8].

 

9. All'art. 10 d.lgs. n. 74/2000[9] viene aggravata, individuandola nella reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, la pena prevista per il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili.

 

10. All'art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000[10] viene estesa la portata della norma, oltre che alle "ritenute certificate" alle "ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione", riformulando contestualmente la rubrica (ora: "omesso versamento di ritenute dovute o certificate"). La prova della ritenuta (di cui è contestato il mancato versamento) potrebbe quindi ora prescindere dalle certificazioni rilasciate al sostituito, potendo in ipotesi bastare che essa risulti dalla dichiarazione.

Inoltre, la soglia di punibilità per il reato di cui all'art. 10-bis viene triplicata, passando da cinquantamila a 150.000 euro, per ciascun periodo d'imposta.

 

11. L'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000[11], relativo all'omesso versamento di iva - come preannunciato - vede modificata al rialzo la propria soglia di punibilità, giungendo addirittura a 250.000 euro, per ciascun periodo d'imposta.

Viene dunque ridotto l'ambito di rilevanza penale delle fattispecie di omesso versamento ex art. 10-bis e 10-ter, lasciando residuare l'esclusiva operatività delle sanzioni amministrative per una cospicua parte di condotte illecite, in relazione alle quali il legislatore - evidentemente - ha ritenuto che la forza deterrente della pena non sia (più) necessaria. Insomma, una decisa depenalizzazione a cui - peraltro - non si accompagna un aggravamento del trattamento sanzionatorio delle residue fattispecie incriminate.

 

12. All'art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000[12] non viene intaccata la soglia di punibilità (che rimane di cinquantamila euro), ma viene modificato il trattamento sanzionatorio, diversificandolo a seconda che l'indebita compensazione riguardi crediti non spettanti (nel qual caso la pena rimane quella attuale della reclusione da sei mesi a due anni) oppure crediti inesistenti (nel qual caso la pena diviene quella della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni).

 

13. Viene inoltre introdotto un nuovo art. 12-bis[13], avente ad oggetto un'ipotesi di confisca obbligatoria, anche per equivalente, del prezzo e del profitto del reato.

Il 1° comma della disposizione recita: "nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto".

In questo primo comma la norma si limita a riproporre la disposizione di cui all'art. 322-ter c.p., già applicabile ai reati tributari in virtù dell'art. 1, comma 143, della l. n. 244/2007 (ora abrogato[14]). Pur non essendo innovativa, dunque, offre all'istituto una più coerente collocazione sistematica.

Nuova, invece, è la disposizione di cui al 2° comma dell'art. 12-bis, secondo cui "la confisca non opera per la parte che il contribuente s'impegna a versare all'erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta".

La ratio di tale disposizione - come già si era accennato con riferimento allo schema di decreto - è quella di far prevalere le pretese dell'Erario su quelle ablatorie statuali, in modo non dissimile da quanto previsto all'art. 19 del d.lgs. n. 231/2001 (che esclude la confisca all'ente "per la parte che può essere restituita al danneggiato") e in modo coerente con la previsione della causa di non punibilità per estinzione del debito tributario (v. infra, art. 13).

La formulazione di tale comma è diversa da quella comparsa nello schema di decreto, in cui si parlava di "parte che può essere restituita all'Erario".

Proprio nel segnalare su questa Rivista l'introduzione - allora solo ipotetica - di tale nuova disposizione, se ne era auspicata una maggiore precisione, così da arginare i relativi problemi interpretativi e applicativi, inerenti - ad esempio - alla possibilità o meno, per il reo, di evitare l'esecuzione della misura ablativa allegando un programma di restituzione rateizzata del debito. Una simile preoccupazione è stata manifestata anche dalle competenti commissioni parlamentari chiamate, quest'estate, ad esprimere un parere sullo schema citato: la locuzione "può essere restituita" è stata infatti ritenuta "suscettibile di ingenerare dubbi applicativi" [15] e se ne è auspicata la modifica.

Ebbene, l'intervento manipolativo è stato operato. Il risultato, tuttavia, è deludente: anche la nuova formulazione lascia perplessi. Infatti, se - da un lato - può apparire ragionevole non assoggettare a sequestro chi dimostri la concreta possibilità e intenzione di restituire all'Erario l'imposta evasa, così che possa godere degli istituti premiali che la stessa riforma introduce (v. infra) e che altrimenti rischierebbe di vedersi ingiustamente preclusi; per altro verso, sembra irragionevole permettere al condannato di evitare la confisca semplicemente "impegnandosi a versare all'Erario" ciò che, fino a quel momento, non ha mai versato e che presumibilmente non verserà certo dopo la pronuncia della sentenza. In relazione alla confisca giunta a valle della condanna, quindi, sarebbe stato preferibile che la norma si esprimesse in termini di "parte che è già stata restituita", così da godere di maggiore precisione e così da recepire quel condivisibile approdo giurisprudenziale secondo cui la restituzione all'erario del profitto del reato fa venir meno lo scopo perseguito con la confisca[16].

Si (ri)segnala, infine, la mancata preoccupazione del legislatore circa l'opportunità di includere gli illeciti tributari riformati tra i reati presupposto della responsabilità degli enti, affinché si possa rivolgere la misura ablatoria nei confronti dei reali detentori del profitto degli illeciti fiscali, ossia le società al cui interno operano gli amministratori-persone fisiche, autori sì della condotta incriminata, ma spesso inadeguati soggetti passivi della confisca tributaria.

 

14. L'art. 13 d.lgs. n. 74/2000[17] viene rivoluzionato attraverso  l'introduzione degli speciali istituti premiali cui si è fatto sopra cenno. In particolare la nuova norma rende l'estinzione del debito tributario una causa di non punibilità:

a) per i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater co. 1, se avviene prima dell'apertura del dibattimento di primo grado;

b) per i reati di cui agli artt. 4 e 5, se il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa intervengano prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Viene altresì previsto che, se prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario è in fase di estinzione mediante rateizzazione è dato un termine di tre mesi (prorogabile, se necessario, di altri tre mesi) per il pagamento del debito residuo.

Il 'premio' offerto dal legislatore, dunque, è modulato sulla base del disvalore insito nelle rispettive fattispecie: per gli omessi versamenti (eccettuata l'indebita compensazione mediante crediti inesistenti) il termine per godere della causa di non punibilità è infatti nettamente più favorevole rispetto a quello fissato per i reati di cui agli artt. 4 e 5, in relazione ai quali - a prima vista - l'istituto premiale non pare destinato ad avere un cospicuo spazio di operatività.

 

15. Viene poi inserito un nuovo art. 13-bis d.lgs. n. 74/2000[18] (rubricato "circostanze del reato"), rimasto invariato rispetto allo schema di decreto dello scorso giugno, e in base al quale:

- l'integrale pagamento degli importi dovuti, fuori dei casi di non punibilità di cui sopra, rileva ai fini della concessione di una diminuzione di pena fino alla metà (comma 1);

- il riconoscimento di tale circostanza attenuante è presupposto necessario per l'applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. (comma 2);

- se il reato è commesso dal correo nell'esercizio dell'attività di intermediazione fiscale, attraverso l'elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale, le pene stabilite per i delitti di cui al Titolo II del d.lgs. 74/2000 vengono aumentate della metà.

 

16. L'art. 16 d.lgs. n. 74/2000[19], rubricato "adeguamento al parere del Comitato per l'applicazione delle norme antielusive" viene invece abrogato.

 

17. Compare, inoltre, come già nel precedente schema di decreto, un nuovo art. 18-bis d.lgs. n. 74/2000[20], relativo alla custodia giudiziale dei beni sequestrati nell'ambito dei procedimenti penali relativi ai delitti previsti dal decreto e ad ogni altro delitto tributario: tali beni, se diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possono essere affidati dall'autorità giudiziaria in custodia giudiziale, agli organi dell'amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative.

 

18. Infine, è stata rimossa la norma che, nello schema dello scorso giugno, regolava la decorrenza temporale del decreto, prevedendo che "le disposizioni recate dal presente decreto si applicano a partire dal 1° gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2017".

Come si ebbe a segnalare su questa Rivista, una tale previsione avrebbe delimitato nel tempo gli effetti dell'intera disciplina del decreto, comprese le modifiche in materia penale: una soluzione stravagante, irrazionale e nemmeno rispettosa dei principi e criteri direttivi contenuti nella legge-delega. Per tali ragioni se ne era auspicata la rimozione, suggerendo - nel remoto caso in cui non venisse soppressa - di offrirne un'interpretazione tale da riferirne l'operatività alla sola disciplina del Titolo II, quello dedicato alla revisione del sistema sanzionatorio amministrativo, in cui essa era contenuta.

Proprio tale soluzione è stata positivizzata dal legislatore delegato, intervenuto puntualmente a rimuovere il refuso, togliendo l'interprete dall'impasse: l'art. 32 del decreto, contenuto oggi in un titolo a sé stante (Titolo III), recita infatti: "Le disposizioni di cui al Titolo II del presente decreto si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2017".

In breve, nessuna speciale delimitazione nel tempo all'operatività delle novità in materia penale. Si pone un dies a quo solamente per la disciplina dedicata alla revisione del sistema sanzionatorio amministrativo. Ne discende che le disposizioni di favore contenute nel decreto si applicheranno anche ai fatti già commessi, in conformità alle regole generali di cui all'art. 2 c.p. e al principio costituzionale (art. 25 co. 2 Cost.) e convenzionale (art. 7 Cedu) di retroattività in mitius[21].

Ciò non può che incidere sulle immediate ricadute della riforma, che si apprezzeranno già nei prossimi giorni nelle aule dei tribunali, e che riguardano soprattutto i reati di cui sono state innalzate le soglie. Insomma, non vengono disattese le aspettative di tutti gli evasori di somme superiori alla soglia precedente, ma inferiori alla nuova, i quali - in virtù di tale abrogatio criminis parziale - qualora non ancora raggiunti da una sentenza definitiva, vanno ora assolti perché "il fatto non è (più) previsto dalla legge come reato" ex art. 530 co. 1 c.p.p. Qualora invece già condannati con sentenza passata in giudicato, potrebbero ora richiedere al giudice dell'esecuzione la revoca della sentenza di condanna ex art. 673 c.p.p., con conseguente cessazione dell'esecuzione della pena principale, delle pene accessorie e degli altri effetti penali della condanna.


[1] Come modificato dall'art. 1 dello schema di decreto in oggetto.

[2] Come modificato dall'art. 2 dello schema di decreto in oggetto.

[3] Come modificato dall'art. 3 dello schema di decreto in oggetto.

[4] Come modificato dall'art. 4 dello schema di decreto in oggetto.

[5] Di seguito il testo dei primi tre commi dell'art. 10-bis l. 212/2000 (Disciplina dell'abuso del diritto o elusione fiscale), recentemente introdotto dal d.lgs. 128/2015: 1. Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni. 2. Ai fini del comma 1 si considerano: a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato; b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario. 3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attività professionale del contribuente.

[6] Si tratta del comma 13 dell'art. 10-bis cit.

[7] Come modificato dall'art. 5 dello schema di decreto in oggetto.

[8] Così prevede l'art. 14 dello schema di decreto in oggetto.

[9] Come modificato dall'art. 6 dello schema di decreto in oggetto.

[10] Come modificato dall'art. 7 dello schema di decreto in oggetto.

[11] Come modificato dall'art. 8 dello schema di decreto in oggetto.

[12] Come modificato dall'art. 9 dello schema di decreto in oggetto.

[13] Verrebbe inserito dall'art. 10 del decreto.

[14] L'abrogazione è operata dall'art. 14 del decreto in oggetto.

[15] Si tratta, in particolare, della condizione di cui alla lett. k) del parere reso dalle Commissioni riunite II Giustizia e VI finanze della camera dei deputati.

[16] V. Cass. pen., sez. III, 16 maggio 2012, n. 30140; cfr. Cass. pen., sez. III, 1 dicembre. 2010, n. 10120.

[17] Come modificato dall'art. 11 dello schema di decreto in oggetto.

[18] Verrebbe inserito dall'art. 12 del decreto.

[19] Come modificato dall'art. 14 dello schema di decreto in oggetto.

[20] Verrebbe inserito dall'art. 13 del decreto.

[21] Tali, infatti, le conseguenze del principio di retroattività della legge più favorevole al reo, che trova qui applicazione secondo le regole generali perché: a) la riforma non appone alcuna deroga; b) non opera più, in quanto abrogato dall'art. 24 d.lgs. 507/1999, l'art. 20 l. 4/1929 che per i reati tributari prevedeva l'applicazione della legge in vigore al tempo del fatto ancorché abrogate o modificate al tempo della loro applicazione; previsione derogatoria di cui la Corte costituzionale aveva riconosciuto la legittimità, in quanto rispondente all'interesse alla riscossione dei tributi di cui all'art. 53 Cost. e all'esigenza di "garantire che la spinta psicologica all'osservanza della legge fiscale non sia sminuita nemmeno dalla speranza di mutamenti di legislazione".