ISSN 2039-1676


16 ottobre 2015 |

La riabilitazione si concede quando il condannato ha transatto con la persona offesa, dando aliunde prova di buona condotta

A margine di Trib. Torino, ord. 26 maggio 2015, Pres. est. Viglino

 

1. Con ordinanza del 19 gennaio 2012, il Tribunale di sorveglianza di Genova accoglieva la domanda di riabilitazione proposta dall'istante, condannato dieci anni prima dalla Corte d'Appello della medesima città per concorso nel reato di concussione, realizzato mediante pressioni svolte nei confronti dell'amministratore di una società commerciale.

Avverso tale ordinanza concessiva, proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore Generale lamentando, in particolare, che il riabilitando non aveva risarcito integralmente i danni cagionati da reato ma che si fosse limitato semplicemente a corrispondere una somma transattivamente concordata con la persona offesa.

Investita della questione, la Suprema Corte di Cassazione rilevava come l'ordinanza impugnata fosse stata emessa in violazione del disposto dell'ultimo comma dell'art. 179 c.p., che, come è noto, impone, quale presupposto affinché il condannato possa accedere al beneficio della riabilitazione, che lo stesso abbia provveduto ad "adempiere le obbligazioni civili nascenti da reato".

Nell'annullare la citata ordinanza, il giudice di legittimità ricorda che l'onere di provare di aver risarcito tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali nascenti da reato grava su chi richieda il beneficio[[i]], ritenendo che - seppur vero che l'integralità del risarcimento del danno non è, di per sé, esclusa dall'intervento di un accordo transattivo[[ii]]  - "è tuttavia onere del giudice di merito verificare, in base all'entità delle somme convenzionalmente pattuite e ad ogni altro elemento ritenuto rilevante, che quanto versato a seguito di accordo tra le parti corrisponda, nella sostanza, ad un risarcimento integralmente satisfattorio del diritto alla riparazione del danno vantato dalle persone offese"[[iii]].

2. Orbene, con l'ordinanza in commento, il Tribunale di sorveglianza di Torino - in funzione di giudice del rinvio -  appare discostarsi dalle riportate statuizioni, da un lato, pervenendo a una diversa interpretazione in ordine alla valutazione che deve effettuare il giudice di merito a fronte della presentazione dell'istanza di riabilitazione e, dall'altro, facendo leva su un particolare aspetto della vicenda in oggetto, che la Suprema Corte non aveva potuto prendere in considerazione, costituito dall'ulteriore erogazione liberamente disposta da parte del condannato in favore di un Ente Ospedaliero, nell'ambito di un progetto di implementazione tecnologica del reparto di terapia intensiva pediatrica dell'ente medesimo.

Con riguardo al primo aspetto, nel concedere al riabilitando il beneficio di cui all'art. 178 c.p., il giudice piemontese, con l'ordinanza in commento, ritiene che, laddove si attribuisse al giudice di merito l'onere di valutare che quanto versato in seguito all'accordo transattivo corrisponda a un "risarcimento integralmente satisfattorio", si rischierebbe di attribuirgli un penetrante controllo, tale addirittura da sovrapporsi ad una precisa volontà di segno opposto espressamente manifestata dalla persona offesa.

A detta del Tribunale di Torino, rimettere alla discrezionalità del giudice della riabilitazione un controllo sul quantum oggetto di transazione, significherebbe, di fatto, privare la persona offesa del diritto di valutare la congruità del ristoro ricevuto.

Invero, il giudice del rinvio sottolinea, da un lato, come non possa non considerarsi che una piena ed autentica riparazione delle conseguenze dal reato possa derivare da circostanze e considerazioni ulteriori - slegate dagli importi effettivamente versati dal condannato - e non conoscibili dal giudice, dall'altro, che censurare dall'esterno l'intendimento delle parti di giungere a una definizione equitativa delle obbligazioni da reato, significherebbe disincentivare "quelle opportune e meritorie prassi transattive, idonee a utilmente risolvere controversie  altrimenti inestinguibili".

Sotto il secondo profilo, è importante tenere in considerazione l'elemento di fatto che giustifica il discostarsi dell'ordinanza in commento dalle posizioni espresse dalla Suprema Corte.

Come sopra si è anticipato, entrando nel merito della questione prospettatagli, il Tribunale di sorveglianza di Torino ha riscontrato come l'istante, oltre al versamento di quanto oggetto di transazione, si fosse determinato ad un'ulteriore rilevante dazione - seppure non direttamente nei confronti della parte civile costituita (quest'ultima già transattivamente soddisfatta) - a favore di un'Azienda Ospedaliera Regionale.

Ciò premesso, il giudice del rinvio non ha potuto non ritenere "oltremodo appropriata una sorta di oblazione a favore di ente avente quale scopo istituzionale proprio la tutela della salute del medesimo consorzio sociale".

Si tratta di una statuizione che, senza dubbio, prende in considerazione la natura di reato plurioffensivo del delitto di cui all'art. 317 c.p. - dal quale l'istante chiedeva di essere riabilitato - il quale, accanto agli interessi del concusso, tutela in via principale il buon andamento, il decoro e l'imparzialità della Pubblica Amministrazione[[iv]], e risulta dunque lesivo di interessi appartenenti all'intera collettività.

Sicché, l'ordinanza in commento ha ritenuto fatto rilevante, al fine dell'adempimento delle obbligazioni derivanti da reato ex art. 179 c.p., l'attivazione, ad opera del riabilitando, di una "iniziativa riparativa verso soggetto terzo, seppur per sua natura rappresentativo, anche nel solo profilo sociologico, delle vittime del reato latu sensu intese".

3. Ebbene, la decisione annotata non può che essere accolta positivamente, poiché appare, anzitutto, valorizzare, sul piano dei principi generali, la ratio del beneficio della riabilitazione, quale istituto funzionale al reinserimento del condannato nel consorzio sociale.

Sul punto, pare opportuno ricordare che "la funzione primaria dell'istituto della riabilitazione è il reinserimento sociale del condannato: la riabilitazione elimina infatti gli ostacoli alla vita di relazione e allo svolgimento di attività lavorative creati sia da pene accessorie  (si pensi ad es. all'interdizione o alla sospensione dell'esercizio della potestà dei genitori, nonché all'interdizione dai pubblici uffici o all'interdizione da una professione o da un'arte), sia dagli effetti penali della condanna (si pensi alla preclusione alla concessione della non menzione della condanna)"[[v]].

Orbene, se la ratio della riabilitazione consiste nel garantire il reinserimento sociale del condannato, non può che condividersi l'affermazione per la quale il presupposto - solo apparentemente negativo - per la concessione di tale beneficio, costituito dal "non aver adempiuto le obbligazioni civili nascenti da reato", debba essere inteso come una "forma qualificata di buona condotta"[[vi]].

Secondo tale condivisibile orientamento dottrinale, il requisito dell'adempimento delle obbligazioni civili da reato deve essere riallacciato al giudizio complessivo di buona condotta, della quale, invero, costituisce una species.

Il concetto di "buona condotta", infatti, ricomprende non solo comportamenti di astensione dal delitto - formalmente rispettosi della legge penale -  ma anche condotte "positive", antagonistiche rispetto quelle penalmente sanzionate, e volte alla reintegrazione dell'interesse offeso dal reato.

4. Tale interpretazione non appare, inoltre, estranea alla giurisprudenza di legittimità che in più occasioni ha identificato nel presupposto de quo, un sintomo della avvenuta risocializzazione del riabilitando, che interviene qualora questi si interessi attivamente della persona offesa, con "valore dimostrativo della sua emenda"[[vii]].

Il fatto che l'adempimento delle obbligazioni civili nascenti da reato non costituisca altro che una forma specifica di sussistenza del requisito della buona condotta trova, inoltre, implicitamente conferma in almeno altri due orientamenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità.

Infatti, per un primo orientamento, "l'attivazione da parte del condannato per l'adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato non deve essere valutata solo alla stregua delle regole proprie del codice civile, ma anche quale onere imposto al condannato in funzione del valore dimostrativo di emenda, e della condotta successiva alla condanna"[[viii]].

Sulla base di tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione del Tribunale reiettiva dell'istanza di riabilitazione, valutando, quale sintomo negativo di mancata emenda, l'assoluta indisponibilità del condannato a qualsiasi iniziativa concreta, anche solo parziale e simbolica, a favore delle persone offese o danneggiate dal reato, neppure nei limiti compatibili con le proprie possibilità economiche.

Ragionando a contrariis, pare allora logico ritenere che, ai fini dell'adempimento previsto dall'art. 179 c.p., più che l'integrale restitutio in integrum civilistica, ciò che rileva è l'attivazione ad opera del condannato, di iniziative - anche solo simboliche - volte alla reintegrazione dell'interesse leso dal reato.

Un ulteriore indirizzo giurisprudenziale ha poi affermato - in un caso di condanna per falso ideologico commesso dal privato in una domanda di condono edilizio - che "grava sull'interessato al fine di realizzare la condizione di avvenuto adempimento delle obbligazioni civili che non risultano individuate 'ex actis', l'onere di sollecitare nelle forme previste l'Amministrazione competente alla stima del danno - sicuramente valutabile da un punto di vista equitativo in relazione alla gravità della lesione dell'interesse della collettività, ove non immediatamente qualificabile da un punto di vista economico - e all'accettazione della somma risarcitoria conseguentemente determinata"[[ix]].

Da tale pronuncia, consegue che l'adempimento delle obbligazioni da reato, rilevante ai fini della concessione del beneficio in questione, consiste in un "onere di attivarsi", attuabile - quando il danno appare non stimabile dal punto di vista economico - come nel caso della lesione di interessi pubblici diffusi, anche mediante una valutazione effettuata in via equitativa.

5. Orbene, se l'adempimento delle obbligazioni civili nascenti da reato ha valore dimostrativo dell'avvenuta emenda del riabilitando, e se non deve essere valutato sulla base delle regole del codice civile, ma deve essere preso in considerazione l'attivarsi positivo del riabilitando per la reintegrazione degli interessi lesi dalla condotta criminosa, correttamente l'ordinanza in commento ha attribuito rilevanza alle elargizioni compiute dal riabilitando in favore di un Ente pubblico rappresentativo - lato sensu - di interessi lesi dalla condotta penalmente rilevante.

E ciò appare ancor più condivisibile se si considera, con riguardo al caso concreto, la particolare oggettività giuridica tutelata dal delitto dal quale si chiedeva la riabilitazione, nonché l'interesse della costituita parte civile, già soddisfatto in via transattiva.

Inoltre, nell'attribuire rilevanza a iniziative rivolte verso Enti rappresentativi degli interessi pubblici lesi dal reato, l'ordinanza commentata risulta essere in linea con le più recenti linee di politica criminale che, al fine dell'eliminazione delle conseguenze del reato, valorizzano - accanto al risarcimento del danno - ulteriori rimedi altrettanto "satisfattori" dell'oggettività giuridica offesa dal reato.

Si allude, in particolare, alla recentissima introduzione dell'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, di cui all'art. 168 bis c.p., istituto che, a parere dello scrivente, si presta a porre all'attenzione dell'interprete, accanto al risarcimento del danno in senso stretto, ulteriori attività di c.d. giustizia riparativa (quali, per l'appunto, le elargizioni compiute in favore di enti rappresentativi degli interessi lesi dal reato).

Infine, un ulteriore pregio dell'ordinanza in commento consiste nel attribuire rilevanza alla valutazione compiuta dalla persona offesa in ordine alla congruità del risarcimento ricevuto, anche in ottica deflattiva del vasto - se non irriducibile - contenzioso che invade le Aule di Giustizia.


[[i]] Cfr. Cass. pen., n. 23902 del 2010, in CED Cass. pen. 2010.

[[ii]] Cfr. Cass. pen., sez. I, n. 5767 del 2010, in CED Cass. pen. 2010; conformi: Cass. pen., n. 11207 del 1994; Cass. pen., n. 5464 del 1991; Cass. pen., n. 5565 del 1998.

[[iii]] Cass. pen., n. 42164 del 2012.

[4] Cfr. Cass. pen., sez. VI, 15.12.1982, in Giust. Pen., 1993, II, 424, secondo cui "la circostanza attenuante prevista dall'art. 62 n. 6 prima parte c.p., presupponendo l'integralità della riparazione del danno, non è applicabile alla concussione, che è reato plurioffensivo e che, con l'interesse del cittadino a non subire danno in conseguenza dell'abuso di potere del pubblico ufficiale, tutela in via principale l'interesse pubblico al normale funzionamento ed al prestigio della pubblica amministrazione, bene questo che non può essere oggetto in alcun modo di riparazione di carattere patrimoniale".

[[v]] Marinucci - Dolcini, Manuale di diritto penale: parte generale, 2009, p. 604 s.; sull'istituto della riabilitazione, in generale, v., tra gli altri, Cerquetti, Riabilitazione, in Enc. Dir., XL, Milano, 1989, 302 s.; Frisoli, Appunti sulla riabilitazione e sulla sua revoca, in RIDP, 1950, p. 544 s.; Covino, Riabilitazione, in Enc. Giur. Treccani, 1991; Garavelli, Riabilitazione, in Dig. Disc. Pen., XII, Torino, 1997; Leo, Pena condizionalmente sospesa e domanda di riabilitazione, in DPP, 2010, 422 s.;  Lo Monte, Sulla valutazione del requisito della "buona condotta" ai fini della riabilitazione, in CP, 2009, 1034; Peroni, Condizioni per la riabilitazione e doveri motivazionali in capo al giudice, in DPP, 2011, 824. Sartarelli, Finalità ed efficacia rendono la riabilitazione sempre conveniente per il condannato, in CP, 2001, p. 2106 s.

[[vi]] In dottrina, tra gli altri, v. Cerquetti, op. cit., p. 324; Garavelli, op. cit.,  p.  161.

[[vii]] Cfr., tra le tante, Cass. pen., 16.11.2011, n. 7752, in CED Cass. pen. 2011, in cui si è ritenuto che l'attivarsi del condannato al fine delle eliminazione, per quanto possibile, di tutte le conseguenze di ordine civile derivanti dalla condotta criminosa rileva anche nel caso in cui nel procedimento penale non vi sia stata pronuncia in ordine alla e obbligazioni civili conseguenti al reato.

[[viii]] Cfr. Cass. pen, sez. I, 11.07.2014, n. 45045, in CED Cass. pen. 2015; conf. Cass. pen., n. 36323 del 2007; Cass. pen., n. 9755 del 2005; Cass. pen., n. 4731 del 2000; Cass. pen., n. 3242 del 1991.

[[ix]] Cfr. Cass. pen., sez. I, 4.04.2014, n. 18245, in CED Cass. pen. 2014; conf. Cass. pen., 2.10.2014, n. 2903, in CED Cass. pen. 2015.