5 ottobre 2016 |
Le Sezioni unite sulla nozione di “quasi flagranza”: limiti logici e ontologici al potere di arresto
Nota a Cass., Sez. Un., c.c. 24 novembre 2015 (dep. 21 settembre 2016), n. 39131, Pres. Santacroce, Rel. Davigo, Est. Vecchio
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1. La libertà è la regola, le sue limitazioni configurano ipotesi eccezionali e le correlate norme sono, pertanto, di stretta interpretazione. Verità ovvia e principio sacrosanto del nostro processo penale, che, però, ogni tanto – anzi, spesso purtroppo – occorre ricordare, a fronte di letture riduttive ovvero interpretazioni devianti. Il caso in esame ne è un esempio: la questione controversa concerne l’esatta determinazione delle coordinate concettuali della nozione di “quasi flagranza”, con particolare riferimento alla fattispecie rappresentata dall’“inseguimento”: dilatarne il significato, di là della lettera della legge, sino a ricomprendere accezioni più late, di tipo figurato e metaforico – si allude al concetto di perseguimento, attraverso una attività di indagine che consenta di procedersi all’arresto sulla base delle informazioni rese dalla vittima o da terzi, senza che vi sia la percezione diretta del fatto di reato da parte della polizia giudiziaria – rischia di confliggere con quell’assioma enunciato in apertura, annacquando la solenne affermazione di inviolabilità coessenziale al diritto in parola. L’importanza della pronuncia in esame, dunque, va oltre il caso di specie: nel risolvere il contrasto giurisprudenziale insorto sul punto[1], essa riafferma la centralità del fondamentale diritto alla libertà personale, cardine attorno al quale deve ruotare la disciplina relativa all’istituto dell’arresto in flagranza (e non solo).
2. Nel caso in esame, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Locri deliberava di non convalidare l’arresto operato dai Carabinieri, in relazione al delitto di lesioni personali aggravate. Ciò, poiché all’individuazione del colpevole si era pervenuti solo in ragione delle dichiarazioni della persona offesa, mentre le perquisizioni (personale, veicolare e domiciliare) nei confronti dell’indagato avevano dato esito negativo: donde l’insussistenza del requisito della “quasi flagranza” e la conseguente illegittimità dell’arresto, in assenza della diretta, autonoma e immediata percezione, da parte della polizia giudiziaria, del nesso tra il reato e il suo autore.
Avverso l’ordinanza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica – per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e inosservanza delle norme processuali – affermando che nella nozione di “inseguimento” del reo che sostanzia lo stato di “quasi flagranza” occorre ricomprendere anche «l’azione di ricerca immediatamente posta in essere […] purché protratta senza soluzione di continuità, sulla scorta delle indicazioni delle vittime, dei correi o di altre persone a conoscenza dei fatti».
Proprio la presenza di due orizzonti ermeneutici contrapposti – ma sarebbe più corretto, forse, parlare di orizzonti culturali – ha reso ineludibile l’intervento delle Sezioni unite.
3. Vediamo, nel dettaglio, gli opposti indirizzi espressi dal giudice di legittimità. Secondo un primo orientamento – recepito nel caso in commento dal Giudice per le indagini preliminari – «non ricorre lo stato di quasi flagranza qualora l’inseguimento dell’indagato da parte della polizia giudiziaria sia iniziato, non già a seguito e a causa della diretta percezione dei fatti, ma per effetto e solo in seguito alla denuncia della persona offesa o ad informazioni rese da terzi»[2]. Tale indirizzo ha radici robuste, che affondano nell’art. 13 Cost.: i provvedimenti provvisori di restrizione della libertà personale, d’iniziativa della polizia giudiziaria, rappresentano ipotesi eccezionali, non suscettibili di interpretazione estensiva (né tantomeno analogica). L’arresto in flagranza – che pacificamente rientra nell’alveo dell’art. 13 comma 3 Cost. – risente e non può non risentire di questi principi elementari di ermeneutica giuridica: non è dunque possibile allargare la nozione di “quasi flagranza” sino a prescindere dalla coessenziale correlazione che deve intercorrere tra la percezione diretta del fatto delittuoso e il successivo intervento di privazione della libertà personale. Non è quindi ammessa un’assimilazione tra l’ipotesi specifica dell’inseguimento (contemplata nella disposizione) e quelle delle ricerche ovvero delle investigazioni, sia pur tempestive (estranee al dettato normativo): la necessità di svolgere delle indagini, sia pur minime – come ad esempio la raccolta di informazioni rese dalla persona offesa o da terzi – costituisce uno iato che spezza quella compenetrazione temporale, logica e giuridica che deve darsi – perché possa legittimamente parlarsi di arresto in flagranza - tra commissione del reato e cattura[3]. Del resto, sotto il profilo funzionale, «la eccezionale attribuzione alla polizia giudiziaria (o al privato) del potere di privare della libertà una persona trova concorrente giustificazione nella altissima probabilità (e, praticamente, nella certezza) della colpevolezza dell’arrestato», che può essere indotta solo dalla «diretta percezione e constatazione della condotta delittuosa da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria»[4]: procedere all’arresto sulla base di informazioni della vittima o di terzi, sia pur rese nella immediatezza dei fatti, postulerebbe profili valutativi e apprezzamenti probatori in capo all’organo procedente che mal si conciliano con la natura dell’istituto[5].
Secondo il diverso indirizzo – posto dal Procuratore della Repubblica alla base del ricorso – «lo stato di quasi flagranza sussiste anche nel caso in cui l’inseguimento non sia iniziato per una diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria, bensì per le informazioni acquisite da terzi (inclusa la vittima), purché non sussista soluzione di continuità fra il fatto criminoso e la successiva reazione diretta ad arrestare il responsabile del reato»[6]. L’opinione muove da una lettura lata del concetto di inseguimento, inteso come attività di indagine che la polizia giudiziaria pone in essere appena ricevuta la notitia criminis e che svolge senza soluzione di continuità fino all’arresto del soggetto; attività di indagine che potrebbe durare anche per alcuni giorni, «purché non subisca interruzioni dopo la commissione del reato»[7]. Insomma, inseguimento concepito come perseguimento, cioè investigazione che si riconnette alla notizia di reato e che, senza sospensioni e cesure, conduce in un arco di tempo relativamente breve all’arresto dell’indagato. Anzi, si soggiunge, l’art. 382 c.p.p., preso alla lettera, nel riferirsi all’inseguimento, non richiede «che chi arresta dopo avere inseguito abbia veduto il reo fuggire dal luogo dove ha commesso il reato»[8]. Sullo sfondo, l’esigenza pratica di assicurare la pronta repressione dei reati, pur a costo – possiamo aggiungere – di una torsione, non da poco, dell’istituto che ci occupa.
4. Le Sezioni unite, come anticipato, risolvono il dissidio interpretativo avallando il primo orientamento e affermando il seguente principio di diritto: “non può procedersi all’arresto in flagranza sulla base di informazioni della vittima o di terzi fornite nella immediatezza del fatto”. La decisione si caratterizza per un notevole sforzo ricognitivo delle caratteristiche dell’istituto e, attraverso molteplici argomenti, – che si collocano su piani diversi, ma che convergono nell’accreditare la soluzione adottata – rappresenta una vera e propria lectio magistralis in materia di arresto in flagranza, in relazione ovviamente agli aspetti trattati.
Volendone sintetizzare i punti principali, quattro sono gli argomenti impiegati.
Anzitutto, quello letterale. Sotto il profilo semantico, il verbo “inseguire” ha un significato preciso, determinato, che certamente non ricomprende il diverso termine del “perseguire”: la disposizione in rilievo, in sostanza, fa riferimento all’inseguimento materiale, non già ad un’attività investigativa avviata, che possa giovarsi di contributi conoscitivi di persone informate dei fatti (al riguardo, si veda il § 4.3 del Considerato in diritto).
Soccorre poi l’argomento storico, incentrato sui profili evolutivi dell’istituto, attraverso la disamina dei codici abrogati: l’art. 47 c.p.p. del 1865, l’art. 168 c.p.p. del 1913, l’art. 237 c.p.p. del 1930, sino al testo attuale (cfr. i §§ 4.1, 4.2 e 4.3. del Considerato in diritto): in breve, e riassumendo, la storia dimostra come le modifiche normative succedutesi sul punto siano chiaramente orientate a restringere i casi di arresto in flagranza, al contempo cercando di porre un argine rispetto ad eventuali interpretazioni estensive[9]: il che, si può aggiungere, è coerente con il percorso valoriale che ha interessato il nostro Paese, che ha visto la proclamazione della Costituzione repubblicana e il progressivo porre al centro del sistema l’individuo e i diritti inalienabili dello stesso[10].
Sotto il profilo strutturale, poi, «nell’arresto in flagranza la esecuzione della coercizione è coessenziale rispetto alla deliberazione di chi lo esegue. A termini degli artt. 380, 381 e 383 c.p.p. non è giuridicamente configurabile la esistenza di un arresto che non sia materialmente eseguito, bensì soltanto semplicemente disposto. La attività di privazione della libertà personale e la deliberazione di chi esegue l’arresto (di esercitare la relativa potestà) sono inscindibili: la misura precautelare consiste (e si esaurisce) nella sua materiale esecuzione, perché è dalla legge prevista come essenzialmente attuosa» (§ 4.4 del Considerato in diritto). In sostanza, l’arresto, per le sue caratteristiche intrinseche, si connatura come misura “immediata”, presupponendo lo stato di flagranza, per la sua intima essenza, la contestualità eziologica, temporale e spaziale tra il delitto e la privazione della libertà personale[11].
Infine, l’argomento principe, a nostro modo di vedere; l’argomento, cioè, che rinsalda e costituisce il fulcro della disciplina: la già ricordata matrice costituzionale, che eleva la libertà a canone oggettivo indeclinabile del procedimento penale, connotando le limitazioni della stessa come di natura eccezionale: non è pertanto possibile indulgere in letture estensive del concetto di inseguimento e, più in generale, delle ipotesi di flagranza contemplate dall’art. 382 c.p.p. (cfr., soprattutto, i §§ 4.7 e 4.8. del Considerato in diritto).
5. Due considerazioni conclusive.
La prima. Eventuali critiche alla pronuncia, sotto il profilo del possibile ritardo nella repressione dei reati determinato da una riduzione dei casi di legittimo arresto in flagranza, sarebbero forse suggestive ma, a ben vedere, destituite di fondamento. A parte il rilievo che la lotta alla commissione dei delitti non può e non deve passare da derive interpretative, ma semmai da politiche criminali più efficaci, il codice conosce altri istituti che consentono, nel rispetto delle coordinate costituzionali, di raggiungere risultati piò o meno omologhi a quelli dell’arresto in flagranza: basti pensare al fermo di indiziato di delitto, ove ovviamente ne sussistano i presupposti (senza considerare, su altro versante, i non pochi casi di c.d. flagranza differita).
La seconda. La casistica giurisprudenziale in materia è assai variegata, con letture diversificate e molteplici distinzioni. Da questo angolo prospettico, la decisione annotata, più che costituire un punto di arrivo, dovrà rappresentare un punto di partenza: un limite, cui tutte le decisioni future dovranno conformarsi, per evitare di dilatare oltre il fisiologico il coefficiente di elasticità che ogni norma ha. Insomma, al di là del principio di diritto affermato, importante, come si è già accennato in apertura, è il messaggio generale che da essa promana: la libertà personale come filo rosso della materia.
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[1] La questione è stata rimessa alle Sezioni unite da Cass. pen., Sez. V, ord. 18 febbraio 2015 (dep. 24 marzo 2015), n. 12282, in questa Rivista, 16 aprile 2015, con nota di M. Jelovcich, Come interpretare la nozione di “quasi flagranza” legittimante l’arresto? La questione al vaglio delle Sezioni Unite.
[2] Cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. V, 20 gennaio 2016, n. 8366, Albano, in C.E.D. Cass., n. 247248; Cass. pen., Sez. III, 24 giugno 2015, n. 34899, Amistà, ivi, n. 264734; Cass. pen., Sez. I, 3 ottobre 2014, n. 43394, Quaresima, ivi, n. 260527; Cass. pen., Sez. IV, 7 febbraio 2013, n. 15912, Cecconi, ivi, n. 254966; Cass. pen., Sez. VI, 3 aprile 2012, n. 19002, Rotolo, ivi, n. 252872; Cass. pen., Sez. III, 13 luglio 2011, n. 34918, Z., ivi, n. 250861; Cass. pen., Sez. VI, 20 aprile 2010, n. 20539, R., in Arch. n. proc. pen., 2011, 465; Cass. pen., Sez. V, 31 marzo 2010, n. 19078, Festa, ivi, 466; Cass. pen., Sez. II, 18 gennaio 2006, n. 7161, Morelli, ivi, 2007, 247; Cass. pen., Sez. V, 21 giugno 1999, n. 3032, Carrozzino, in Cass. pen., 2000, 3064; Cass. pen., Sez. III, 20 novembre 1990, n. 4860, Ponticelli, in C.E.D. Cass., n. 186494.
[3] Perspicua, sul punto, Cass. pen., Sez. I, 3 ottobre 2014, n. 43394, Quaresima, cit.
[4] Così, ancora, Cass. pen., Sez. I, 3 ottobre 2014, n. 43394, Quaresima, cit., da cui è tratta anche la citazione immediatamente precedente nel testo.
[5] Sottolinea questo aspetto, con particolare chiarezza, A. Nappi, Guida al codice di procedura penale, 10ª ed., Milano, 2007, 337. Sulla impossibilità di equiparare l’inseguimento “ideale” – ovvero il c.d. “inseguimento investigativo”, fondato sulle indagini della polizia giudiziaria – all’inseguimento reale, inteso in senso stretto, cfr., pure, A. Bevere, Coercizione personale: limiti e garanzie, Milano, 1998, 3. In ordine a molteplici riserve circa la legittimità di esegesi estensive, tese ad ampliare lo spettro applicativo della norma, v. altresì, senza pretesa di completezza, F. Caprioli, Indagini preliminari e udienza preliminare, in G. Conso-V. Grevi-M. Bargis, Compendio di procedura penale, 7ª ed., Padova, 2014, 550; L. Giuliani, Indagini preliminari e udienza preliminare, in G. Conso-V. Grevi-M. Bargis, Compendio di procedura penale, 8ª ed., Padova, 2016, 514; K. La Regina, L’udienza di convalida dell’arresto in flagranza o del fermo: dal genus alla species, Padova, 2011, 142 ss.; N. Triggiani, Sulla nozione di inseguimento “subito dopo il reato” ex art. 382 comma 1 c.p.p., in Cass. pen., 1996, 2231 ss. Con riguardo al codice abrogato, v., tra gli altri, E. Marzaduri, Flagranza del reato, in Noviss. Dig. it., App., III, Torino, 1982, 795.
[6] In tal senso, tra le tante, Cass. pen., Sez. III, 6 maggio 2015, n. 22136, B., in C.E.D. Cass., n. 263663; Cass. pen., Sez. I, 24 novembre 2011, n. 6916, Vinetti, ivi, n. 252915; Cass. pen., Sez. II, 10 novembre 2010, n. 44369, Califano, in Arch. n. proc. pen., 2012, 223; Cass. pen., Sez. I, 15 marzo 2006, n. 23560, Dottore, ivi, 2007, 654; Cass. pen., Sez. V, 7 giugno 1999, n. 2738, Giannatiempo, in Riv. pen., 2000, 409.
[7] Cass. pen., Sez. IV, 12 novembre 2002, n. 4348, Mahbob, in C.E.D. Cass., n. 226984.
[8] Così Cass. pen., Sez. III, 6 maggio 2015, n. 22136, B., cit.
[9] In dottrina, per la ricostruzione storica dell’istituto, cfr. L. D’Ambrosio, sub art. 382, in Commento al codice di procedura penale, coordinato da M. Chiavario, Torino, 1990, 387 ss.; L. Filippi, L’arresto in flagranza nell’evoluzione normativa, Milano, 1990. Più di recente, in generale, M. Brazzi, La difesa dell’indagato nella fase precautelare. L’arresto in flagranza e il fermo, Milano, 2012; F. Della Casa, voce Flagranza, in Dig. disc. pen., III Agg., I, Torino, 2005, 518 ss.; G.G. Pangallo, L’arresto e il fermo. Le misure precautelari e il procedimento di convalida, Forlì, 2007.
[10] Per una panoramica storica sull’evoluzione del processo penale dalla Costituzione repubblicana ai nostri giorni, di recente, v. R. Orlandi, Diritti individuali e processo penale nell’Italia repubblicana, in Quaderni fiorentini per la storia della cultura giuridica moderna, n. 93, Diritti individuali e processo penale nell’Italia repubblicana, a cura di D. Negri e M. Pifferi, Milano, 2011, 51 ss.
[11] Oltre agli autori citati supra, nota 5, cfr., con varietà di accenti, L. Carli, Le indagini preliminari nel sistema processuale penale, 2ª ed., Milano, 2005, 504; G. Neppi Modona, Indagini preliminari ed udienza preliminare, in Aa.Vv., Profili del nuovo codice di procedura penale, Padova, 1996, 443; F. Iovino, Brevi riflessioni sulla nuova nozione di flagranza, in Cass. pen., 1991, 259; F. Pescetto, Sulla nozione di quasi flagranza nel nuovo processo penale, ivi, 346; S. Ramajoli, Le misure cautelari (personali e reali) nel codice di procedura penale, 2ª ed., Padova, 1996, 14.