ISSN 2039-1676


02 marzo 2018 |

Un piccolo commiato

1. Quando, in un tempo imprecisato alla fine del decennio scorso, Luca Santa Maria mi propose di costruire assieme a lui un sito web dedicato alla giustizia penale, certo né lui né io immaginavamo che l’idea si sarebbe evoluta in ciò che è divenuto oggi Diritto penale contemporaneo. Ricordo che nelle riunioni che facemmo nel suo studio con la società incaricata della predisposizione del sito, tra la primavera e l’estate del 2010, la nostra preoccupazione fondamentale era che la gran parte delle aree tematiche che stavamo progettando restasse vuota. Chi mai invierà proprio a noi materiali o contributi, ci domandavamo un po’ inquieti.

Poi, tra il settembre e l’ottobre di quell’anno, costituimmo un comitato di direzione, composto – oltre a me – da Gian Luigi Gatta, allora giovane associato all’Università Statale di Milano, e da Guglielmo Leo, all’epoca assistente di studio alla Corte costituzionale oltre che magistrato autore di molte pubblicazioni e da tempo impegnato sul versante della formazione; e formammo così una piccola squadra, che si sarebbe presto estesa a Luca Luparia, anche lui ai tempi giovane associato di diritto processuale penale alla Statale.

Il primo novembre, partimmo. Gian Luigi, Guglielmo ed io ci buttammo a capofitto nell’impresa, scoprendo subito che scrivere di diritto su un sito web – allora più simile a un blog che a una rivista – era, in fin dei conti, un’esperienza entusiasmante. Abituati alle lunghe attese imposte dai tempi di stampa dei nostri contributi scientifici, la possibilità di pubblicare immediatamente con un semplice clic ciò che si era scritto il giorno o – più spesso – la notte precedente era per noi una novità assoluta, che ci consentiva per la prima volta di intervenire in tempo reale nei dibattiti sulle questioni controverse in giurisprudenza: dibattiti che, all’epoca, si svolgevano pressoché esclusivamente nel chiuso delle mailing lists riservate dei magistrati, senza alcun coinvolgimento della dottrina né, tanto meno, dell’avvocatura.

Nacque così, quasi da sé, il progetto culturale che costituisce la cifra essenziale di Diritto penale contemporaneo: quello di gettare, finalmente, un ponte ideale tra l’accademia e la prassi. Un ponte che ci pareva, e ci pare, assai prezioso anche per noi professori, troppo avvezzi a concentrarci sui grandi principi, e troppo poco inclini a confrontarci con le molte, difficili questioni di interpretazione e applicazione delle norme vigenti, che affaticano la prassi applicativa.

La sfida fu dunque, sin da subito, quella di sporcarci le mani con i problemi reali del mondo del diritto penale, utilizzando i principi – e, sempre più, i diritti sanciti dalla Costituzione e dalle fonti internazionali – come altrettanti strumenti ermeneutici, destinati a gettare luce nell’elaborazione di schemi argomentativi idonei a essere poi utilizzati dalla prassi per la soluzione dei casi concreti. Esercizio, questo, non facile per noi professori, anche a causa della funesta ‘separazione delle carriere’ tra studiosi di diritto penale sostanziale e processuale, che determina spesso l’incapacità degli uni e degli altri di cogliere appieno i problemi di applicazione del diritto penale sostanziale nella loro, dinamica, dimensione processuale.

Per fortuna, però, potevamo contare su Guglielmo Leo, che in questa impresa fu per tutti noi il vero maestro. Fu lui che ci insegnò come si illustra – e, magari, si rende persino appassionante per il lettore – una sentenza della Cassazione o della Corte costituzionale, adeguatamente inquadrandola nel percorso compiuto dalla giurisprudenza precedente, per poi magari commentarla e se del caso criticarla.

Il nostro progetto attrasse ben presto l’attenzione di giudici, avvocati e pubblici ministeri, che presero a leggerci e a utilizzare sempre più i nostri contributi a supporto delle loro decisioni e delle loro richieste. Ricordo sempre, quando mi capita di parlare di Diritto penale contemporaneo, il sorprendente successo che incontrò un’idea mia e del mio allievo Luca Masera in materia di diritto penale dell’immigrazione, non appena quell’idea – proposta dapprima in due diversi articoli pubblicati in prestigiose riviste ‘cartacee’, e passata in quelle sedi sostanzialmente inosservata – fu riproposta in forma più sintetica sulla nostra nuova rivista informatica. Nel giro di un mesetto o poco più, la tesi da noi sostenuta – relativa all’incompatibilità tra un’incriminazione allora in vigore e una direttiva comunitaria in materia di rimpatri degli stranieri – fu fedelmente trasfusa in una dozzina di ordinanze di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, redatte da giudici di ogni parte d’Italia. La Corte di Lussemburgo, letteralmente travolta dalle sollecitazioni provenienti dai giudici italiani, decise appena un paio di mesi dopo nel senso, appunto, dell’illegittimità della norma italiana: la quale sparì così, da un giorno all’altro, dalle nostre aule di giustizia.

Sono particolarmente grato a Luigi Ferrarella per aver voluto rammentare questa vicenda in un bell’articolo scritto sul Corriere domenica scorsa a proposito della mia nomina alla Corte costituzionale; ma mi sia consentito qui aggiungere una piccola, ulteriore nota personale. Non potrò mai dimenticare la trepidazione di quella mattina dell’aprile 2011, quando scaricai sul mio computer la sentenza della Corte di giustizia. Scesi a capofitto sino al dispositivo e, quando vidi l’espressione chiave “la direttiva osta a una normativa che, come quella italiana…”, tirai un grande sospiro di sollievo: felice per la sorte delle donne e degli uomini a cui, da quel momento, sarebbe stata risparmiata la sofferenza del carcere per un’incriminazione ingiusta, e lesiva dei loro diritti fondamentali; ma anche consapevole che in esito a quella vicenda Diritto penale contemporaneo, e forse io stesso, ci eravamo conquistati sul campo un pochino più di autorevolezza. Magari non necessariamente presso i colleghi, in prevalenza non troppo attenti a un settore apparentemente marginale come il diritto penale dell’immigrazione; ma certamente presso avvocati, pubblici ministeri e giudici, che con la composita umanità degli stranieri residenti nel nostro paese hanno a che fare quotidianamente.

Dopodiché, il numero dei nostri lettori crebbe esponenzialmente, fino a toccare le attuali dieci o dodicimila visite giornaliere, e le oltre 250.000 su scala mensile. E, soprattutto, Diritto penale contemporaneo divenne una vera e propria fucina di riflessione sui temi della giustizia penale, e dei suoi multiformi rapporti con il diritto costituzionale e le fonti sovranazionali, senza perdere le proprie caratteristiche di immediatezza e di contatto costante con i problemi della prassi; riuscendo altresì a incidere riconoscibilmente sui dibattiti giurisprudenziali in corso, attraverso l’elaborazione di modelli di soluzioni talvolta accolti dalle stesse Sezioni unite della Cassazione.

 

2. A fronte di tutto ciò, lasciare ora la direzione di Diritto penale contemporaneo è un passo per me non facile. Si tratta però di un passo che ritengo doveroso, per il rispetto che debbo all’incarico che il Presidente della Repubblica ha ritenuto di affidarmi, e del quale gli sono immensamente grato; nonché al fine di preservare alla nostra rivista la sua indipendenza e libertà di critica, che io stesso ho avuto sino ad oggi il privilegio di poter esercitare, non da ultimo nei confronti dell’istituzione che si appresta ora ad accogliermi.

Come quando, nei film americani, i genitori salutano il figlio diciottenne dopo averlo accompagnato al campus universitario, la malinconia del commiato è però attutita dalla consapevolezza che il figlio è, ormai, cresciuto, e potrà camminare spedito con le proprie gambe, senza più necessità della presenza costante del papà o della mamma al suo fianco.

La direzione della nostra rivista sarà da oggi assunta da Gian Luigi Gatta, amico fraterno e compagno della prima ora di questa avventura, il quale potrà continuare a contare sugli apporti ormai sempre più fondamentali di Luca Luparia e di Guglielmo Leo: apporti cui si sono aggiunti nel frattempo quelli dei molti colleghi e amici che hanno a poco a poco rimpolpato le fila dello stesso comitato di direzione e dell’ormai vastissimo comitato scientifico.

Nessuno, sono certo, si accorgerà della mia assenza: Diritto penale contemporaneo proseguirà le pubblicazioni con immutato entusiasmo e determinazione, sotto la guida sapiente ed esperta di Gian Luigi, al quale non posso che formulare i miei più affettuosi auguri di buon lavoro.

 

3. Prima di concludere, qualche breve ringraziamento.

Il primo, commosso, a Giorgio Marinucci: comune maestro – forse non a caso – di Luca Santa Maria e di Gian Luigi Gatta, oltre che mio. È solo grazie a lui – al suo fiuto nella scoperta delle potenzialità delle persone a dispetto di ogni apparenza, così come alla sua non comune capacità di amare i propri allievi – che mi ritrovo qui, ora, a salutare i lettori di Diritto penale contemporaneo, e a muovere i primi passi in un cammino che non vorrei mai dimenticare essere anzitutto un servizio. Proprio come è stato, per Giorgio Marinucci, il servizio prestato nell’università, al quale egli si dedicò in via esclusiva, con giovanile entusiasmo sino agli ultimi giorni della sua lunga carriera.

Il secondo, pieno di riconoscenza, va a Luca Santa Maria, il primo ideatore di Diritto penale contemporaneo, nonché per lungo tempo suo esclusivo finanziatore, prima che intervenissero, a sostegno della nostra iniziativa, anche l’Università degli Studi di Milano, presso cui ho prestato servizio dodici anni, e, più recentemente, l’Università Bocconi, della quale ora sono membro orgoglioso: istituzioni che parimenti ringrazio, unitamente alla Fondazione Confalonieri, che mi volle conferire qualche anno fa un premio che destinai interamente allo sviluppo di Diritto penale contemporaneo.

Grazie, poi, a coloro che sono stati i miei quotidiani compagni di viaggio sino ad oggi: Gian Luigi Gatta, Luca Luparia, Alfio Valsecchi, Alexander Bell; tutti i membri del comitato scientifico, a partire dall’altro mio grande maestro, Emilio Dolcini; nonché tutti i più giovani collaboratori e allievi che con serietà, operosità e intelligenza mi hanno affiancato nella complessa gestione di questa iniziativa. A cominciare da Anna Liscidini – autentica co-ideatrice del progetto e lavoratrice infaticabile – sino a giungere, ora, a Enrico Andolfatto e Carlo Bray, i redattori migliori che qualunque direttore potrebbe mai desiderare.

Un grazie affettuoso lo debbo però anche ai numerosissimi lettori di Diritto penale contemporaneo – colleghi, magistrati, avvocati – che hanno voluto esprimermi in questi giorni, pubblicamente o in privato, le loro congratulazioni e, talvolta, il loro incomprensibile entusiasmo per questa mia recente nomina, che ancora mi fa tremar le vene e i polsi – e chissà mai se smetteranno, un giorno, di tremare.

Infine, grazie a Bruna e a Mattia, per la pazienza eroica dimostrata nelle molte domeniche in cui il papà stava chiuso in stanza a scrivere l’ennesimo nuovo pezzo, ritenendo non si sa perché che i lettori non potessero aspettare sino a martedì. Il vostro amore ha rischiarato, e continua a rischiarare, la mia vita.