ISSN 2039-1676


15 maggio 2018 |

F. Consulich, Lo statuto penale delle scriminanti. Principio di legalità e cause di giustificazione: necessità e limiti, Giappichelli, 2018

Recensione

Il volume qui recensito è al centro di un seminario del ciclo "Lavori in corso" che si terrà presso l'Università di Bologna giovedì 17 maggio; per maggiori informazioni sull'evento, clicca qui.

 

1. Nel suo volume “Lo statuto penale delle scriminanti” (Giappichelli, 2018), Federico Consulich si cimenta con uno dei punti nodali della dogmatica penale: le cause di giustificazione e la loro sistematica.

Più precisamente, l’indagine ruota attorno ad uno dei nervi scoperti del diritto penale contemporaneo: il fondamento assiologico del potere punitivo in un sistema che si confronta con la crisi delle categorie tradizionali, ormai incapaci non solo di contenere taluni istituti, ma ancor più inidonee ad esprimere una proiezione finalistica in chiave di tutela dei diritti fondamentali.

Nella prospettiva delle cause di giustificazione, queste riflessioni non determinano una mera questione di classificazione, ma aprono la questione dell’attribuzione al sistema delle scriminanti di un “definito statuto di garanzia”.

Ecco dunque svelato l’obiettivo ultimo della ricerca: ricostruire un sistema di principi di riferimento che possa applicarsi alla giustificazione, dotando una categoria adespota di uno statuto garantistico, volto alla tutela dei diritti e delle libertà del cittadino.

Del resto – come è da più parti osservato con riferimento alla categoria della punibilità, al rapporto con la quale Consulich dedica una parte significativa della sua indagine –in ambito penale ogni norma di favore deve operare sulla base di regole chiare e prevedibili, essendo la scelta di sottrarre a pena tutt’altro che neutra in una prospettiva valoriale.

A parere dell’Autore, la ricostruzione del sistema delle scriminanti può seguire due distinti modelli: da un lato si può seguire una concezione irenica della gisutificazione, “in cui l’antigiuridicità si fa puro giudizio normativo, che nasce e si esaurisce sul piano del dover essere”; dall’altro si può adottare una concezione critica della giustificazione, il cui scopo non sia la ricostruzione di un modello simmetrico delle norme di liceità, bensì l’individuazione dei meccanismi di azione e dei tratti caratterizzanti tali norme, mettendo in conto che possano presentare asimmetrie.

In adesione a tale secondo approccio, la ricerca attraversa l’intero campo delle cause di giustificazione, che deve, innanzitutto, essere ricostruito, per “comprendere il volto attuale della giustificazione, identificare i fattori di rischio per la libertà del cittadino che in esso sono implicati e digrossare i vincoli già esistenti nel sistema che possano trattenere l’universo delle scriminanti entro limiti di comprensibilità, controllabilità e ragionevolezza”.

 

2. Negli otto capitoli nei quali si articola la monografia, che muove da una prima parte di natura politico-criminale, per poi diffondersi nell’analisi dei singoli modelli di giustificazione e nel rapporto tra scriminanti e altre forme di non punibilità, vengono affrontate – anche attraverso il ricorso ad una sezione dedicata alla disamina della giustificazione nei sistemi di Common Law – le diverse facce che compongono il poliedro dell’antigiuridicità.

Alla parte strettamente ricognitiva, che occupa i primi quattro capitoli, segue – intervallata dalla cesura del capitolo comparativo – una parte propositiva nella quale l’Autore si interroga sugli effetti della crisi della legge sul sistema della giustificazione.

A parere di Consulich: “la crisi della legalità prende le forme, subdole e latenti, della crisi della giustificazione. Il fenomeno è tipico della normativa penale di contrasto alla criminalità organizzata ed eversiva oltre che di quella economica e consiste nella costruzione, spesso in via extralegislativa, di diritti e facoltà irragionevoli, se non addirittura illiberali o discriminatori, che ridefiniscono indebitamente l’ambito del penalmente rilevante”.

In altri termini, la giustificazione arbitraria finisce con il produrre pericoli equivalenti – se non maggiori – rispetto alla previsione di incriminazioni irragionevoli.

Il punto nodale della questione ruota attorno a tre aspetti, analiticamente affrontati dall’Autore: i) un deficit di legittimità della fonte della giustificazione; ii) l’indeterminatezza della fattispecie scriminante; iii) l’irragionevolezza della norma di liceità.

L’azione combinata di questi tre fattori determina l’alterazione delle relazioni istituzionali, “con il conseguente sostanziale svuotamento dei principi di garanzia penalistici”.

Una condizione di patologia che potrebbe essere superata mediante il ricorso ad un vincolo di fonte che estenda il principio di legalità alle scriminanti, impostando la relazione tra fatto tipico e giustificazione in termini di “giustiziabilità in base alla legge e alla Costituzione anche quando la causa di esclusione dell’antigiuridicità sia contenuta in una norma extralegale”.

Come scrive efficacemente Consulich: “ogni volta che questa operazione di confronto non è possibile per assenza o vaghezza della norma legale di riferimento, la norma scriminante è espressione non di un potere discrezionale, quindi vincolato, ma arbitrario. Così ricostruito, il vincolo di fonte per l’universo delle scriminanti si caratterizza come un meccanismo garantito di funzionamento del- l’interazione tra giustificazione e incriminazione 187, un principio di dinamica delle norme, che permette di ricondurre alla legge e ai principi costituzionali la relazione tra punizione e liceità”.

Tuttavia, la previsione di una riserva di fonte in materia di giustificazione non costituirebbe in sé una garanzia sufficiente contro i possibili arbitri del potere legislativo o di ogni altra articolazione della Pubblica Autorità.

Anche l’interprete deve essere vincolato da un principio superiore, onde evitare che, nel passaggio dalla disposizione alla norma, non vengano inserite componenti di irrazionalità diseguaglianza.

Occorre dunque completare il sistema attraverso la previsione di due ulteriori vincoli: di forma, che impone accessibilità e precisione della fattispecie scriminante, e di contenuto, che pretende ragionevolezza e proporzione per la norma di liceità.

Attraverso questo meccanismo, si ritiene possibile conseguire l’obiettivo ultimo di una “definizione prevedibile e controllabile di un equilibrio normativo tra interessi o valori confliggenti”, riservando la composizione tra beni contrapposti a fonti super primarie o primarie e pretendendo altresì una “formalizzazione accessibile e determinata del meccanismo di soluzione del conflitto”.

 

3. Queste considerazioni sono il viatico per le conclusioni dell’indagine, ove si individua nel controllo di ragionevolezza “l’argine all’ipereffettività della giustificazione”.

Secondo Consulich: “la ratio essendi della giustificazione pare la proporzionata composizione degli interessi in conflitto (…) è, dunque, naturale individuare come l’unica reale pretesa contenutistica rivolta alle scriminanti non siano specifici divieti o obblighi di giustificazione, bensì il raggiungimento di un rapporto proporzionato tra valori e interessi in occasionale conflitto”.

Quello ipotizzato è un “un procedimento di verifica attinente al razionale ‘dialogo’ tra interesse offeso e interesse giustificante, che mira ad analizzare l’idoneità dell’uno ad entrare in una relazione dotata di significato sociale con l’altro, di modo che l’astensione dal punire possa essere concepita come ragionevole”.

Un controllo definito strategico, che consente di collocare ogni singola scriminante nel contesto di sistema, neutralizzando il rischio che il legislatore – o, nel caso di rifiuto dell’idea di una riserva di legge in materia di giustificazione, anche altri organi dello Stato – possano accordare irragionevoli – quindi odiose – forme di privilegio a determinati soggetti o per determinate condotte, raggiungendo così quello che, a parere dell’Autore è lo scopo finale del controllo di ragionevolezza come vincolo contenutistico in materia di scriminanti: emarginare giustificazioni improntate ad una concezione totalitaria del diritto scriminante.

Del resto, prendendo ancora una volta in prestito la voce dell’Autore: “Il tema di fondo è, come sempre, costituito dal fondamento assiologico del punire: rispetto ad esso, la difesa della (sola) legalità del fatto pare un fronte di battaglia troppo arretrato. Ad essere in gioco è una questione di giustizia del diritto penale, chiamato com’è al rispetto di principi di uguaglianza e di razionalità prima ancora che di legalità: le esigenze della democrazia penale travalicano, dunque, i confini della fattispecie incriminatrice”.