ISSN 2039-1676


06 giugno 2018 |

Misura cautelare applicata in udienza di convalida per un fatto diverso da quello che ha dato luogo all'arresto: non è necessario un successivo interrogatorio "di garanzia" (purché sia stato garantito il contraddittorio)

Cass., Sez. II, sent. 1 dicembre 2017 (dep. 05 marzo 2018), n. 9904, Pres. Davigo, rel. Imperiali, ric. Bona

Contributo pubblicato nel Fascicolo 6/2018

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1. Accade spesso che la concreta applicazione degli istituti processuali nella prassi ponga l’interprete davanti a dinamiche che, ictu oculi, appaiono sfuggenti al più immediato significato del dato normativo. In questi casi, non resta che soffermarsi sulla ratio delle disposizioni di interesse e farne buon governo per giungere a soluzioni che, da una parte, non risultino in contrasto con la lettera della legge e, dall’altra, si pongano in linea con i principi del giusto processo.

È di queste coordinate che, nella sentenza in esame, si serve la II Sezione della Corte di cassazione per risolvere la questione sottopostale, sulla quale, peraltro, si era registrato in passato un precedente giurisprudenziale di segno opposto.

Questi, in sintesi, i termini della decisione.

Come è noto, l’applicazione di una misura cautelare personale deve essere immediatamente seguita dal c.d. interrogatorio di garanzia di cui all’art. 294 c.p.p., pena l’estinzione della misura (art. 302 c.p.p.). Per espressa previsione di questa stessa disposizione non è necessario tuttavia che il giudice proceda a tale adempimento quando abbia già interrogato l’indagato durante l’udienza di convalida dell’arresto o del fermo.

Con la pronuncia in oggetto, i giudici di legittimità precisano che quest’ultima eccezione, che fa venir meno la necessità di procedere al c.d. interrogatorio di garanzia, opera anche quando, all’esito dell’udienza di convalida, la misura cautelare sia stata applicata per un fatto diverso da quello per cui è stato eseguito l’arresto o il fermo. Ciò, però, a condizione che sia stato garantito il pieno contraddittorio sulla richiesta di misura cautelare avanzata dal p.m.

 

2. La vicenda processuale che ha dato occasione a questa decisione si lascia riassumere brevemente.

Nell’aprile 2017, B.R. veniva arrestato per il delitto di tentata truffa (artt. 56, 640 c.p.), per aver preteso, nei confronti di un conducente di un’autovettura, il risarcimento dei danni asseritamente subiti dal proprio veicolo in conseguenza di un incidente in realtà mai avvenuto.

La misura “precautelare” non veniva però convalidata dal giudice per le indagini preliminari, in quanto l’art. 381, co. II, lett. i) c.p.p., nel prevedere l’arresto facoltativo di chi è colto in flagranza del delitto di truffa, si riferisce alla sola fattispecie “consumata”.

Tuttavia, nella stessa udienza di convalida, l’indagato si vedeva applicare una misura cautelare personale in relazione ad un diverso episodio di truffa aggravata, consumatosi con le medesime modalità pochi giorni prima dell’arresto.

Tale decisione veniva presa dal G.i.p. in accoglimento di una specifica domanda del pubblico ministero, il quale, nella medesima sede, aveva provveduto a contestare al soggetto indagato anche quel differente addebito[1].

 

3. Nel maggio 2017, il difensore chiedeva al giudice di dichiarare l’estinzione della misura cautelare applicata nei confronti del proprio assistito.

Tale richiesta si fondava sul disposto di cui all’art. 302 c.p.p., in quanto, dopo l’applicazione della misura, non aveva avuto luogo il c.d. interrogatorio di garanzia. Secondo la disposizione appena richiamata[2], infatti, le misure cautelari personali perdono «immediatamente efficacia» se il giudice non procede all’interrogatorio di cui all’art. 294 c.p.p. entro il termine ivi indicato (cinque o dieci giorni, a seconda che si tratti di custodia cautelare in carcere o di altra misura coercitiva o interdittiva, decorrenti dall’esecuzione del provvedimento o dalla sua notificazione).

Il G.i.p. milanese respingeva l’anzidetta istanza, rilevando che, nel caso di specie, non si rendeva necessario procedere a tale adempimento, in quanto la misura cautelare era stata applicata all’esito dell’udienza di convalida.

Del resto – si sottolineava – lo stesso art. 294, co. I, c.p.p., esclude che il giudice debba procedere all’interrogatorio “di garanzia” allorquando abbia già interrogato il soggetto «nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto o del fermo di indiziato di delitto». E, nell’udienza celebrata per la convalida dell’arresto, eseguito per il reato di truffa tentata, l’indagato era stato messo a conoscenza anche della contestazione riguardante la truffa consumata, nonché della richiesta di misura cautelare avanzata dal p.m. in relazione ad essa, tanto che il suo difensore ne aveva chiesto il rigetto[3].

Contro tale provvedimento l’indagato proponeva appello avanti al Tribunale di Milano, il quale, però, lo rigettava: secondo i giudici milanesi, non vi era alcuna necessità di un successivo interrogatorio “di garanzia”, in quanto all’udienza di convalida era già stato instaurato un valido contraddittorio[4].

 

4. Contro l’ordinanza del “tribunale della libertà” veniva proposto ricorso per cassazione ex art. 311 c.p.p.

In sintesi, la difesa lamentava un’erronea applicazione dell’art. 294, co. I, c.p.p., nella parte in cui esclude la necessità del c.d. interrogatorio di garanzia quando il giudice abbia già interrogato l’indagato nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto o del fermo.

Secondo la tesi difensiva, tale particolare sequenza processuale (udienza di convalida con interrogatorio; applicazione della misura cautelare; superfluità del c.d. interrogatorio di garanzia) potrebbe aver luogo soltanto quando all’esito dell’udienza di convalida sia stata applicata una misura cautelare per il medesimo reato per cui si è proceduto all’arresto. Al contrario, nel caso di misura cautelare applicata per un differente reato, come avvenuto nel caso di specie, il giudice dovrebbe comunque procedere all’interrogatorio ex art. 294, co. I, c.p.p., seguendo l’“ordinaria” cadenza procedimentale.

A sostegno di tale interpretazione del dato normativo veniva richiamato un precedente giurisprudenziale (Cass. pen. Sez. II, 26.04.2001, n. 22539) che, in una situazione analoga a quella in oggetto, aveva affermato dovesse trovare applicazione «la disciplina dell’art. 294 c.p.p., secondo cui l’interrogatorio di garanzia segue e non precede l’applicazione della misura cautelare».

L’indagato chiedeva così l’annullamento dell’ordinanza impugnata; in subordine, sollecitava la rimessione della questione alle Sezioni Unite della Corte di cassazione[5].

 

5. Con la sentenza in esame, la II Sezione della Corte di cassazione ha – da una parte – dichiarato il ricorso infondato e – dall’altra – escluso che la soluzione adottata si ponga in contrasto con il precedente giurisprudenziale del 2001[6].

Anzitutto, viene speso un argomento di carattere letterale, secondo cui l’interpretazione dell’art. 294, co. I, c.p.p. prospettata dall’indagato contrasterebbe con il dato normativo, restringendone la portata applicativa. Tale disposizione, infatti, prevede semplicemente che il giudice procede all’interrogatorio “di garanzia” «se non vi ha proceduto nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto o del fermo». Nessun riferimento, dunque, viene fatto alla necessità che vi sia coincidenza tra il reato per cui è stata eseguita la misura “precautelare”, e quello per cui è stata applicata la misura cautelare.

In secondo luogo, secondo i giudici di legittimità la suddetta interpretazione restrittiva non potrebbe neppure dirsi avvalorata dall’«ormai remoto» precedente giurisprudenziale richiamato dalla difesa. È vero che, con la sentenza n. 22539 del 26.04.2001, la II Sezione della Corte di cassazione si era espressa nei termini invocati dal ricorrente. Tuttavia, a fondamento di quella decisione era stata posta la mancata instaurazione di un «valido contraddittorio tra l’indagato ed il giudice in ordine ai nuovi reati contestati»[7]. Il primo, infatti, non aveva avuto «piena cognizione degli elementi di prova a suo carico», e, conseguentemente, si era visto negata «l’opportunità di discolparsi»[8].

Da quel precedente, però, molto è cambiato nel panorama giurisprudenziale, che ha visto rafforzato il diritto al contraddittorio dell’indagato rispetto alla richiesta di applicazione di una misura cautelare avanzata dal p.m. in sede di udienza di convalida. Il riferimento corre, in particolare, a quella pronuncia del 2010 con cui le Sezioni Unite della Corte di cassazione – prendendo le distanze da orientamenti giurisprudenziali meno sensibili al diritto di difesa – hanno affermato che il nostro ordinamento riconosce al difensore dell’indagato il diritto di avere conoscenza, e di estrarre copia, «degli atti su cui si fonda la richiesta di convalida del fermo o dell’arresto e di applicazione della misura cautelare»[9].

Nel caso di specie, anche alla luce degli adempimenti informativi ex artt. 386 co. I lett. e) e 391 co. II c.p.p., l’indagato era stato messo pienamente a conoscenza degli atti su cui si fondavano entrambe le richieste del p.m.: quella di convalida dell’arresto per la truffa tentata, da una parte, e quella di applicazione di misura cautelare per la truffa consumatasi pochi giorni prima, dall’altra[10]. Ciò a differenza di quanto avvenuto nel precedente del 2001, quando ancora si registravano orientamenti giurisprudenziali che negavano all’indagato, in sede di udienza di convalida, il diritto di conoscere gli atti su cui si fondavano le richieste del p.m.[11].

Pertanto, essendovi già stato un pieno contraddittorio, non vi era motivo di procedere ad un ulteriore interrogatorio “di garanzia” ex art. 294 c.p.p.

 

6. A sostegno dell’interpretazione adottata, i giudici di legittimità osservano peraltro che la giurisprudenza ha ampliato il perimetro delle situazioni in cui non occorre procedere all’interrogatorio “di garanzia”, ricomprendendovi anche ipotesi che – a differenza di quella qui esaminata – certamente non sono riconducibili al dato letterale dell’art. 294 c.p.p. A tal proposito, viene richiamato quell’orientamento secondo cui, all’applicazione della misura in sede di appello cautelare ex art. 310 c.p.p., non deve far seguito un successivo interrogatorio ex art. 294 c.p.p. Anche in questo caso, infatti, il provvedimento cautelare viene adottato a contraddittorio già instaurato, e, pertanto, un successivo, nuovo interrogatorio rappresenterebbe – secondo la Corte – una «formalità superflua»[12].

 

***

 

7. Gli snodi motivazionali che abbiamo brevemente ripercorso ci sembrano pervenire ad una soluzione condivisibile.

A persuadere non è tanto l’ampiezza del dato letterale dell’art. 294 c.p.p., che, pur non opponendosi all’interpretazione adottata dalla Corte, sembra in effetti “fisiologicamente” congegnato per richieste cautelari relative ai fatti per cui si è proceduto ad arresto o fermo. Dirimente appare l’indagine sulla reale funzione svolta dal c.d. interrogatorio “di garanzia”.

Secondo l’art. 294, co. III, c.p.p., mediante tale interrogatorio il giudice sarebbe chiamato a valutare se «permangono» le condizioni di applicabilità delle misure cautelari personali e le esigenze cautelari. L’espressione utilizzata dalla disposizione ci sembra però in parte fuorviante, in quanto la verifica della “permanenza” di una situazione, presuppone l’indubbia originaria sussistenza della stessa. Se scopo dell’istituto fosse unicamente quello di vagliare la permanenza delle condizioni “presupposto” della misura cautelare, sarebbe singolare prevedere che tale incombente debba avere luogo «immediatamente» dopo l’applicazione della stessa, cioè immediatamente dopo l’accertamento dell’esistenza di quelle condizioni (v. art. 294, co. I e I-bis c.p.p., che pone il quinto ed il decimo giorno quali termini ultimi per effettuare l’interrogatorio).

Piuttosto, attraverso l’interrogatorio di garanzia, il giudice valuta, più in radice, l’effettiva esistenza[13] delle condizioni di applicabilità della misura e delle esigenze cautelari. Solo mediante questo primo contatto con l’indagato è possibile verificare, fino in fondo, la correttezza di una decisione presa inaudita altera parte. In altre parole, l’interrogatorio di garanzia serve a recuperare, nel più breve tempo possibile, quel diritto al contraddittorio rimasto sacrificato in una procedura che – essendo volta all’applicazione di misure che per essere efficaci devono essere eseguite «a sorpresa»[14] – si è svolta in segreto[15].

Da ciò deriva che non vi è motivo di procedere all’interrogatorio ex art. 294 c.p.p. (non solo nei casi espressamente esplicitati dal legislatore, ma) ogni qualvolta l’applicazione della misura cautelare sia stata preceduta dall’instaurazione di un pieno contraddittorio sulle richieste del pubblico ministero e sugli elementi da questi presentati al giudice. Ed infatti, quando il d.lgs. 12/1991 ha modificato l’art. 294 c.p.p., chiarendo che l’interrogatorio assunto nell’udienza di convalida è atto equivalente all’interrogatorio “di garanzia”, autorevole dottrina ha osservato come tale conclusione fosse già «asseribile in via interpretativa»[16].

Quanto appena osservato ci sembra trovi ulteriore conferma nella disciplina di un altro istituto. Come noto, diversamente da quanto avviene per le altre misure cautelari personali, l’art. 289, co. II, c.p.p. prevede che l’applicazione della misura interdittiva della “sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio” debba essere preceduta (e non seguita) dall’interrogatorio, da parte del giudice, del soggetto indagato che riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.

A ben vedere, nessuna disposizione esclude espressamente la necessità di procedere, ai sensi dell’art. 294 c.p.p., ad un ulteriore interrogatorio “di garanzia” entro dieci giorni dalla notificazione del provvedimento che applica tale misura. La lettera della legge, dunque, porterebbe ad affermare che anche in questa ipotesi il giudice sia tenuto ad osservare quest’altro incombente. E tuttavia, sembra pacifico che l’interrogatorio ex art. 289 c.p.p., il quale realizza un “contraddittorio anticipato”, e dunque si rivela più “garantista” dell’interrogatorio “di garanzia”, non si aggiunga a quest’ultimo, ma lo sostituisca[17].

 


[1] Cfr. §1 della sentenza.

[2] Come risultante a seguito della declaratoria di parziale illegittimità costituzionale operata da Corte cost., sent. 4 aprile 2001, n. 95.

[3] Cfr. §2 della sentenza.

[4] Cfr. §3 della sentenza.

[5] Cfr. §4 della sentenza.

[6] Cfr. §5 della sentenza.

[7] Cfr. Cass. pen., Sez. II, 26.04.2001, n. 22539.

[8] Cfr. Cass. pen., Sez. II, 26.04.2001, n. 22539.

[9] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 11.10.2010, n. 36212.

[10] Cfr. §5 della sentenza: «è pacifico e non contestato che all’udienza di convalida il B. è stato edotto non solo dell’accusa formulata in relazione all’episodio di truffa tentata per il quale era stato tratto in arresto, ma anche di quello, precedente, di truffa aggravata e consumata ascrittogli al capo n. 2), per il quale anche il pubblico ministero aveva richiesto l’applicazione della misura cautelare […]».

[11] Prima del già richiamato intervento delle Sezioni Unite (v. nota 8), il dibattito giurisprudenziale vedeva scontrarsi tre differenti impostazioni. Il primo, “radicale”, orientamento negava all’arrestato, al fermato e ai difensori non soltanto il diritto di prendere visione, ma anche quello di conoscere le richieste avanzate dal pubblico ministero, in sede di udienza di convalida, in ordine alla libertà personale (cfr. Cass. pen., Sez. I, 22.11.1991, n. 4101). Per la posizione maggioritaria, invece, pur rimanendo ferma l’esclusione di un diritto all’accesso agli atti su cui si fondavano le richieste del p.m. in ordine alla libertà personale, l’udienza di convalida avrebbe dovuto quanto meno assicurare, su tale punto, un contraddittorio orale (cfr. Cass. pen., Sez. III, 07.04.2010, n. 16420). Infine, secondo l’impostazione poi accolta dalle Sezioni Unite, solo la possibilità di prendere conoscenza del contenuto degli atti posti a fondamento della richiesta di misura cautelare avanzata dal p.m. in udienza di convalida avrebbe evitato violazioni del diritto di difesa (cfr. Cass. pen., Sez. I, 11.04.2009, n. 19170).

[12] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 12.11.2014, n. 50768, §5.

[13] Cfr. P. Corso, Le misure cautelari, in Aa. Vv. Procedura penale, IV ed., Giappichelli, Torino, 2015, p. 384.

[14] Cfr. P. Tonini, Manuale di procedura penale, XVIII ed., Giuffrè, Milano, 2017, p. 457.

[15] Cfr. P. Tonini, Manuale di procedura penale, cit., p. 458.

[16] Cfr. F. Cordero, Procedura penale, IX ed., Giuffrè, Milano, 2012, p. 519.

[17] Cfr. P. Tonini, Manuale di procedura penale, cit., p. 438: «il giudice […] deve procedere all’interrogatorio dell’indagato prima di decidere, e non successivamente, come avviene per tutte le altre misure per le quali è previsto l’interrogatorio di garanzia». Cfr. anche F. Cerqua, Cautele interdittive e rito penale. Uno studio sulle alternative ai modelli coercitivi personali, Maggioli Editore, 2015, p. 85, secondo cui tale previsione ripete funzionalmente il meccanismo di cui agli artt. 294, 302 c.p.p.