ISSN 2039-1676


08 giugno 2018 |

Giudizio immediato, processo all'ente e interrogatorio del legale rappresentante

Trib. Roma, ord. 11 gennaio 2018, Romeo Gestioni s.p.a.

Contributo pubblicato nel Fascicolo 6/2018

1. Con l’ordinanza in commento, l’ottava sezione del Tribunale di Roma ha dichiarato la nullità del decreto che ha disposto il giudizio immediato nei confronti di una società per azioni, chiamata a rispondere ex d.lgs. 231/01 per taluni fatti di corruzione commessi, secondo l’ipotesi accusatoria, da soggetti apicali dell’organizzazione societaria.

Dopo aver confermato l’ammissibilità del rito speciale ex art. 453 c.p.p. nel procedimento per l’accertamento della responsabilità dell’ente[1], il Tribunale ha rilevato il difetto di uno dei presupposti di legge per l’instaurazione del rito, individuando una nullità ex artt. 178 lett. c) e 180 c.p.p. nell’omissione dell’interrogatorio del legale rappresentante della società.

Sul punto, il Collegio osserva come il vizio dedotto dalla difesa della società non possa ritenersi sanato dall’applicazione, nel caso di specie, di una misura cautelare interdittiva nei confronti dell’ente, adottata all’esito della procedura disciplinata dall’art. 47 d.lgs. 231/01. Per un verso, infatti, si afferma che la richiesta cautelare del pubblico ministero ben possa equipararsi all’invito a comparire ex art. 375 c.p.p., laddove essa contenga «l’indicazione degli elementi e delle fonti di prova assimilabili al contenuto previsto dall’art. 375, comma 3, c.p.p.»[2]. Per altro verso, al pari di quanto previsto per il giudizio immediato instaurato nei confronti di una persona fisica, si rimarca la necessità di informare preventivamente l’ente della possibilità di procedere con le forme di cui all’art. 453 c.p.p., pur non determinandosi alcuna nullità in caso di omissione dell’avviso nell’ipotesi in cui l’interrogatorio del legale rappresentante abbia comunque luogo[3].

 

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2. Il percorso argomentativo sin qui illustrato stimola indubbiamente talune riflessioni.

In primo luogo, appare d’interesse l’aver riconosciuto alla richiesta di applicazione di una misura cautelare nei confronti dell’ente una sorta di equipollenza (in vista della richiesta di giudizio immediato) rispetto all’invito a comparire previsto dall’art. 375 c.p.p. Una simile equivalenza, infatti, appare contrassegnata da un considerevole tratto di novità, in quanto non risultano analoghi arresti interpretativi, neppure in seno alla giurisprudenza inerente il giudizio immediato destinato alle persone fisiche.

Effettivamente, la diversa collocazione processuale dei due istituti non sembra coerente rispetto alla lettura proposta dal Tribunale di Roma. La richiesta di applicazione di misura cautelare e l’invito a comparire, infatti, costituiscono entrambi atti propri del pubblico ministero, ma sono destinati a provocare, in un caso, la pronuncia inaudita altera parte di un provvedimento del Giudice avente ad oggetto la limitazione della libertà personale e, nell’altro, l’instaurazione di un diretto contraddittorio con l’indagato sui fatti oggetto d’indagine (ciò mediante l’invito ad avvalersi di uno strumento di difesa).

Anche calandosi nella peculiare natura del procedimento di accertamento della responsabilità da reato degli enti, appare difficile ricondurre alla medesima funzione processuale atti rivolti a soggetti diversi e con finalità eterogenee, per il solo fatto che entrambi possano assicurare – grazie alla propria struttura – una precisa indicazione delle condotte, delle norme violate e del compendio probatorio destinato a sorreggere l’accusa in giudizio.

A ben vedere, infatti, l’orientamento secondo il quale il giudizio immediato per le persone fisiche può legittimamente instaurarsi in assenza dell’invito ex art. 375 c.p.p. individua quale presupposto l’espletamento dell’interrogatorio ad opera del giudice, effettuato dopo l’esecuzione di una misura cautelare personale (art. 294 c.p.p.), oppure in sede di udienza di convalida del fermo o dell’arresto (art. 391 co. 3 c.p.p.). Il giudizio di equipollenza fra i diversi interrogatori si fonda sulla concreta possibilità offerta all’indagato di interloquire sulle condotte che gli sono contestate e sugli elementi di prova raccolti a suo carico, così esercitando pienamente il diritto al contraddittorio[4]. In tale ottica, si comprende maggiormente la limitata efficacia invalidante attribuita dalla giurisprudenza di legittimità all’omissione dell’avviso previsto dalla seconda parte del terzo comma dell’art. 375 c.p.p., riguardante la possibilità di procedere con rito immediato. La mancanza dell’avvertimento nell’invito a comparire, infatti, «non dà luogo a nullità, in quanto esso assolve esclusivamente alla funzione di evitare che l’accusato, mediante la semplice inottemperanza dell’invito a presentarsi davanti al P.M., possa ostacolare l’instaurazione del giudizio immediato»[5].

Adottando una simile chiave di lettura, risulta agevole cogliere l’essenza della garanzia processuale riposta dal legislatore nei presupposti per l’instaurazione del giudizio immediato, riconoscibile nella necessità di assicurare un’irrinunciabile partecipazione critica dell’indagato e del suo difensore alla formazione del patrimonio conoscitivo che verrà impiegato dal giudice per le indagini preliminari nella valutazione dell’evidenza della prova funzionale all’ammissione del rito[6].

 

3. Volendo quindi ricercare nel procedimento previsto dal d.lgs. 231/01 un istituto diverso dall’interrogatorio ex art. 453 c.p.p. capace di assicurare il medesimo livello di tutela del diritto di difesa in vista di una possibile richiesta di giudizio immediato, ben si potrebbe concentrare l’attenzione sulla disciplina dell’art. 47 d.lgs. 231/01.

L’udienza camerale fissata dal giudice a seguito del deposito della domanda cautelare del pubblico ministero determina, al pari di quanto accade nella peculiare ipotesi prevista dall’art. 289 c.p.p. per l’interdizione cautelare di pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, l’instaurarsi di un contraddittorio pieno ed anticipato rispetto all’adozione dell’ordinanza cautelare nei confronti dell’ente; così, si consente a quest’ultimo l’esercizio del diritto di difesa sia in merito ai fatti oggetto dell’accusa, sia in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari (da valutarsi anche alla luce delle eventuali iniziative prontamente realizzate in vista di una richiesta di sospensione ex art. 49 d.lgs. 231/01). A ciò deve aggiungersi la piena discovery degli atti d’indagine compiuti e posti a sostegno della domanda cautelare (depositati entro congruo termine prima dell’udienza).

 

4. Giova sul punto osservare come il percorso argomentativo seguito dal Tribunale di Roma nel provvedimento qui in commento non sembri affatto negare, in astratto, l’equiparazione ora proposta. Si afferma, infatti, che la «complessità della fattispecie cautelare per l’ente, ove rechi con sé gli elementi essenziali indicati dagli artt. 64 e 65 c.p.p. e dunque, la contestazione del fatto risultante dalle indagini compiute, della indicazione degli elementi e delle fonti da cui risulta l’evidenza della prova, ben può ritenersi equipollente, dal punto di vista sostanziale, nella sua struttura, all’istituto dell’interrogatorio, presupposto del giudizio immediato ai sensi degli artt. 453, comma 1, e 375, comma 3, c.p.p.»[7].

Ciò nondimeno, desta perplessità la conclusione alla quale giunge il Collegio nell’applicazione in concreto di tale premessa logica e giuridica. Il vizio derivante dalla già menzionata omissione dell’avvertimento circa l’eventuale richiesta di giudizio immediato, infatti, determinerebbe i propri effetti invalidanti proprio in ragione della mancata partecipazione del legale rappresentante all’udienza ex art. 47 d. lgs. 231/01, pur in presenza di articolata interlocuzione in tale sede del procuratore speciale nominato ai sensi dell’art. 39 d.lgs. 231/01.

Occorre osservare a tal proposito come, in primo luogo, risulti difficile individuare la corretta collocazione sistematica dell’avvertimento previsto dal comma terzo dell’art. 375 c.p.p. in seno al procedimento cautelare riservato agli enti. La prospettazione dell’eventuale richiesta di giudizio immediato dovrebbe trovare spazio in un atto destinato al giudice e portato a conoscenza del legale rappresentante non attraverso una notifica, ma mediante deposito presso la cancelleria. Per contro, non può ragionevolmente ipotizzarsi che l’onere di tale avvertimento possa gravare sul giudice, nell’ambito del provvedimento con il quale viene fissata l’udienza camerale di cui all’art. 47 d.lgs. 231/01.

In secondo luogo, appare utile evidenziare come il richiamo, contenuto nell’art. 47 d.lgs. 231/01, all’art. 127 co. 3 e 4 c.p.p., attribuisca al legale rappresentante dell’ente la facoltà di rendere dichiarazioni e di inibire la conclusione dell’udienza qualora abbia chiesto di essere sentito e ricorra un legittimo impedimento[8]. Ciò permette di desumere, superando le argomentazioni del Tribunale di Roma, che la celebrazione dell’udienza ex art. 47 d.lgs. 231/01, all’esito di una corretta costituzione delle parti necessarie, garantisca di per sé sola un intervento del legale rappresentante ampiamente idoneo a consentire il più completo esercizio del diritto al contraddittorio in relazione a tutti i possibili sviluppi del procedimento e non soltanto in merito al pericolo di sottoposizione ad un dibattimento inutile in virtù dell’indebito sacrificio della fase dell’udienza preliminare.

 

5. In conclusione, se l’ampiezza del contraddittorio assicurato alle persone giuridiche nel procedimento cautelare ha indotto parte della dottrina a riconoscere nelle dichiarazioni rese dal legale rappresentante dell’ente nel corso dell’udienza camerale un ruolo simile a quello svolto dall’interrogatorio ex art. 294 c.p.p. per le misure personali[9], non sembra irragionevole prospettare la legittimità di un giudizio immediato nei confronti di una società che abbia visto applicarsi una misura cautelare interdittiva, senza che l’omissione dell’avviso di cui al terzo comma dell’art. 375 c.p.p. possa realmente costituire una minaccia per il diritto di difesa dell’ente.

 

 


[1] Sul punto, giova porre in risalto come il d.lgs. 231/01 non preveda espressamente l’ammissibilità del giudizio immediato nei confronti dell’ente. Ciò nonostante, la decisione del Tribunale di Roma si inserisce nel solco di un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui la possibilità di applicare anche alle persone giuridiche il rito ex art. 453 c.p.p. consegue al generale rinvio effettuato dall’art. 34 d.lgs. 231/01 alle norme del codice di procedura penale, non potendosi ravvisare elementi che ne impediscano l’applicazione. Cfr. in tal senso, G.i.p. Tribunale di Milano, ordinanza 23 marzo 2004, in Cass. pen. 2004, p. 3789 ss. con nota di Buccellato. L’estensione del rito immediato al giudizio degli enti collettivi, peraltro, risulta coerente rispetto all’interpretazione ricavabile dalla Relazione governativa al d.lgs.231/01, nella quale può leggersi che “per quanto riguarda il giudizio immediato e il giudizio direttissimo non sono state dettate regole particolari. In caso di processo simultaneo, qualora sussistano (nei confronti dell'autore del reato e dell'ente) i presupposti per l'accesso a tali giudizi e non debba disporsi la separazione dei procedimenti, anche la posizione dell'ente in ordine all'illecito dipendente da reato verrà valutata secondo i relativi moduli processuali. Nell'ipotesi, invece, di accertamento della sola responsabilità dell'ente, certamente praticabile sarà il giudizio immediato, fondato sull'evidenza probatoria che rende inutile l'udienza preliminare (par. 19)”

[2] Cfr. Tribunale di Roma, ordinanza 11 gennaio 2018, p. 7.

[3] Cfr., sul punto, Cass., Sez. VI, 7 luglio 2016, n. 39452, Brigandì, in Cass. pen., 2017, p. 243 s., con osservazioni di M. Grande; Cass., Sez. II, 18 gennaio 2012, Cannone, in C.e.d., n. 252820; Cass., Sez. V, 4 luglio 2002, Briglia, in C.e.d., n. 222302.

[4] Cass., sez. II, 18 gennaio 2012, Cannone, in C.e.d., n. 252820.

[5] Cass., Sez. VI, 7 luglio 2016, Brigandì, cit.

[6] Cass., S.U., 26 giugno 2014, Squicciarino, in Cass. pen. 2015 p. 989 s., dove si afferma che «Il previo interrogatorio della persona sottoposta alle indagini o, comunque, la contestazione dell'accusa con l'invito a comparire emesso nelle forme indicate nell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen. è indispensabile per porre la persona in condizione di esporre la sua versione, fornire le sue discolpe, adottare le più opportune iniziative defensionali, interloquire sulla natura, evidente o meno, delle prove, contrastare la richiesta di emissione del decreto di giudizio immediato e la sua eventuale adozione. Il contraddittorio effettivo (o, quanto meno, la possibilità dello stesso) in ordine all'esito delle investigazioni svolte dal pubblico ministero rappresenta un passaggio procedimentale ineludibile per la formulazione del giudizio di evidenza della prova, implicante, come già detto, un apprezzamento di superfluità dell'udienza preliminare».

[7] Cfr. Tribunale di Roma, ordinanza 11 gennaio 2018, p. 6.

[8] Sul punto, tuttavia, in senso critico rispetto all’efficacia delle garanzie riservate all’ente nel procedimento camerale, cfr. Varanelli, Commento all’art. 46, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, a cura di Levis – Perini, Bologna, 2014, p. 1079 s.; Varraso, Il procedimento per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, Milano, 2012, p. 202.

[9] cfr. Bassi-Epidendio, Enti e responsabilità da reato, Milano, 2006, p. 444, nonché Fidelbo, Le misure interdittive, in Reati e responsabilità degli enti, a cura di Lattanzi, Milano, 2010, p. 496.