ISSN 2039-1676


18 giugno 2018 |

Omesso avviso dell'udienza di reclamo ex art. 410-bis c.p.p.: il rimedio c'è, ma non si vede

Cass., Sez. VI, ord. 23 marzo 2018 (dep. 18 aprile 2018) n. 17535, Pres. Paoloni, Est. Corbo, ric. Iaria

Contributo pubblicato nel Fascicolo 6/2018

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1. A pochi mesi dal suo debutto sulla scena del procedimento penale, lo strumento del «reclamo», denominazione prescelta dalla L. 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. legge “Orlando”) per identificare il mezzo con cui oggi, abrogato il ricorso per cassazione ex art. 409, comma 6, c.p.p., è consentito impugnare il provvedimento di archiviazione ai sensi del nuovo art. 410-bis c.p.p., approda davanti al giudice di legittimità[1]. Una bella sorpresa: l’innesto, infatti, risponde all’esigenza – comune, peraltro, a molti degli interventi attuati dalla recente novella – di ridurre le vie di accesso alla Suprema corte[2]. A maggior ragione, se si considera che il reclamo, affidato alla competenza (funzionale) del tribunale in composizione monocratica, è deciso con «ordinanza non impugnabile» (art. 410-bis, comma 3, c.p.p.). Nella prospettiva, si direbbe, di una deflazione tombale. 

 

2. Tutto muove, nella vicenda concreta, da un decreto di archiviazione emesso nonostante l’opposizione della persona offesa dal reato. Caso tipico di nullità, oggi riconducibile nell’alveo dello stesso art. 410-bis c.p.p., laddove sono codificate le ipotesi di invalidità del provvedimento – decreto (comma 1) e ordinanza (comma 2) – poste a presidio del contraddittorio[3]. Di qui, la sua impugnazione mediante reclamo, mezzo esperibile – per l’appunto – nei «casi di nullità previsti dai commi 1 e 2» (art. 410-bis, comma 3, c.p.p.)[4].

Senonché, dopo essere stato ignorato come opponente nel procedimento di archiviazione, il soggetto offeso, azionata la nuova procedura per il ripristino del contraddittorio violato, si vede pretermesso anche in sede di impugnazione.

Il tribunale, invero, dichiara il suo reclamo inammissibile, poiché l’atto – ne riferisce la pronuncia in commento – “non si confronta, se non del tutto genericamente, con le argomentazioni poste dal G.i.p. a base della decisione di archiviazione” e risulta, al contempo, la “inconferenza degli accertamenti istruttori richiesti”. Tuttavia, l’ordinanza di reclamo è adottata dal tribunale in difetto di avviso dell’udienza fissata per la decisione. Ne deriva la patente violazione dell’art. 410-bis, comma 3, c.p.p.: l’adempimento è infatti imposto, con anticipo di almeno dieci giorni, in favore delle parti interessate le quali, benché l’udienza si svolga senza il loro intervento, fino a cinque giorni prima possono presentare memorie. Facoltà, nella fattispecie, rimasta preclusa alla persona offesa proprio perché non resa edotta dell’udienza di reclamo.

 

3. Più che comprensibili, dunque, i suoi motivi di doglianza, trasfusi subito in ricorso per cassazione malgrado, a stretto rigore, la decisione del reclamo – un’ordinanza, come detto, inoppugnabile (art. 410-bis, comma 3, c.p.p.) – non ammetta repliche. Diversamente, sostiene il ricorrente, la nuova disciplina sarebbe incostituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui preclude l’impugnazione al cospetto di violazioni gravi del diritto di difesa.

D’altro canto, la patologia consumatasi in seno al reclamo è ben presente anche ai giudici di legittimità investiti del ricorso i quali, per “esigenze di effettività della tutela giurisdizionale, e, quindi, del diritto di difesa”, non esitano a riconoscere il dovere di porvi rimedio. Se così non fosse, la nullità di ordine generale derivante, come dicono gli stessi giudici, dalla violazione del contraddittorio, in assenza di mezzi disponibili “non potrebbe essere mai dedotta”.

Ciò posto, nella vicenda concreta il ricorso è dichiarato “inammissibile”, in forza della causa prevista dall’art. 591, comma 1, lett. b, c.p.p. (i.e., «il provvedimento non è impugnabile»)[5]. Al contempo, però, la Suprema corte tiene fede agli impegni presi e non manca di indicare alla persona offesa la retta via: se il giudice del reclamo pronuncia ordinanza in difetto di contraddittorio, il rimedio esperibile è la richiesta di revoca del provvedimento[6].

In attesa, dunque, di conoscere dove condurrà la strada così tracciata, il cui approdo, come si dirà, nello specifico caso in esame non sembra affatto sicuro, conviene anche verificare se la revoca in autotutela, alternativa “pretoria” all’impugnazione preclusa per legge, costituisca un rimedio effettivo per tutti i vizi dell’ordinanza di reclamo; ovvero se, malgrado il monito contrario del legislatore e quello espresso, nella fattispecie, dalla stessa Corte di cassazione, in talune ipotesi non resti che adire proprio il giudice di legittimità.

 

4. Prima di approfondire la soluzione proposta nel caso qui considerato, va premesso che l’incidente di costituzionalità dell’art. 410-bis c.p.p. – paventato dal ricorrente, nella fattispecie, per la mancata previsione dell’impugnazione avverso l’ordinanza di reclamo lesiva del contraddittorio – si è risolto con un nulla di fatto. Certosino, sul punto, l’approccio della Suprema corte, attenta a disinnescare ogni dubbio sulla tenuta dell’argine normativo che vieta di impugnare l’esito del reclamo (art. 410-bis, comma 3, c.p.p.) e di accedere, per questa via, al giudice di legittimità.

4.1. A cominciare dai profili connessi alla garanzia del ricorso per cassazione per violazione di legge, sempre ammesso «contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale» (art. 111, comma 7, Cost.). Forte, in proposito, di una giurisprudenza di legittimità che già ne esclude l’estensione alle ordinanze e ai decreti di archiviazione, con il placet della Corte costituzionale, la pronuncia in commento ha gioco facile nel riproporre i precedenti-chiave per poi concludere, complice un assist dalla Cassazione civile, che “anche alle ordinanze non impugnabili pronunciate in sede di reclamoex art. 410-bis c.p.p. “non si applichi” la garanzia stabilita per le «sentenze».

Decisivo, in tal senso, l’assunto per cui l’ordinanza di reclamo, funzionale alla verifica di nullità dei provvedimenti di archiviazione, a loro volta dotati di valore decisorio rebus sic stantibus, non può avere “una più ampia efficacia di accertamento sui fatti oggetto di investigazione” essendo, anzi, il suo ambito cognitivo ristretto alle sole invalidità procedimentali indicate nell’art. 410-bis, commi 1 e 2, c.p.p. Di talché, anche l’ordinanza che respinge o dichiara inammissibile il reclamo, diversamente dalle sentenze, è provvedimento privo di “stabilità”; sempre superabile, difatti, da una successiva riapertura delle indagini ex art. 414 c.p.p., istituto ritenuto azionabile anche dopo l’esito reiettivo della nuova procedura.

4.2. Tanto premesso, la Suprema corte esclude ogni ulteriore profilo di contrasto: sia con l’art. 3 Cost., poiché manca una disciplina omogenea invocabile a tertium comparationis per sostenere l’irragionevole disparità di trattamento; sia con l’art. 24 Cost. La tutela del diritto di difesa, in particolare, non imporrebbe il controllo delle decisioni assunte in “seconda battuta” - tale sarebbe l’ordinanza di reclamo, a detta della Cassazione, poiché “strumento di verifica della correttezza della decisione del giudice per le indagini preliminari di accogliere la richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero” - a meno di non prefigurare come necessaria “la proponibilità di impugnazioni tendenzialmente all’infinito”. Argomento, quest’ultimo, per certi versi opinabile, se è vero che il reclamo non verifica la “correttezza” del provvedimento di archiviazione - è anzi precluso il suo esame nel merito - ma serve a porre rimedio alle violazioni del contraddittorio verificatesi nel relativo procedimento, mediante una decisione che si pronuncia per la prima volta (e non per la seconda) su tale questione.

4.3. Riserve a parte, la Corte di cassazione completa l’opera di salvataggio della disciplina scrutinata, affermando – in difetto, parrebbe, di censure specifiche sul punto – la sua compatibilità anche con i principi sovranazionali.

Quanto alle norme Cedu, si osserva, nessuna disposizione impone come garanzia la possibilità di sottoporre a verifica ogni provvedimento giudiziario, neppure quale aspetto del diritto a un equo processo (art. 6 Cedu) o a un ricorso effettivo (art. 13 Cedu). Resta fermo, peraltro, che il doppio grado di giudizio in materia penale (art. 2, Prot. n. 7, Cedu) costituisce una garanzia passibile di limitazioni da parte del legislatore.

Oltre a ciò, si aggiunge che il diritto «di chiedere il riesame di una decisione di non esercitare l’azione penale», accordato alla vittima dall’art. 11 § 1 Direttiva 2012/29/UE e già tutelato, secondo giurisprudenza, nell’ordinamento interno, non opera riferimento alcuno alla necessità di assicurare un sindacato di legittimità[7]. A conferma, insomma, delle scelte operate dall’ultimo legislatore, ritenute legittime anche sul fronte degli obblighi imposti dall’Unione a tutela delle vittime di reato[8].

 

5. Ultimata la difesa – strenua – rispetto a censure, in verità, a malapena enunciate, la pronuncia può tornare al cuore della questione. Se, dunque, in sede di reclamo risulta leso il contraddittorio, poiché non è stato dato l’avviso d’udienza funzionale al deposito delle memorie da parte degli interessati (art. 410-bis, comma 3, c.p.p.), interpellare la Suprema corte non serve: un rimedio prontamente disponibile già esiste, basta saperlo individuare.

In proposito, sono esclusi gli istituti della restituzione nel termine (art. 175 c.p.p.) e del c.d. incidente di esecuzione (art. 670 c.p.p.). Il primo, infatti, operante per i termini prescritti «a pena di decadenza», risulta inapplicabile nei casi di inosservanza addebitabile al giudice, come accade, per l’appunto, quando manca l’avviso alle parti dell’udienza di reclamo: il termine – rilievo ineccepibile – con riguardo al giudice “non è certo stabilito a pena di decadenza”. D’altro canto, l’intervento in executivis è ritenuto non “pertinente”, considerato che l’ordinanza di reclamo non necessita di esecuzione e nemmeno può essere qualificata «titolo esecutivo». 

Anche per queste ragioni, si consolida la soluzione, da subito prospettata dalla Suprema corte, nel senso di ammettere la richiesta di revoca dell’ordinanza di reclamo viziata per violazione del contraddittorio. Un rimedio “fai da te”, di pura creazione giurisprudenziale, a cui favore militano argomenti ben precisi.

Sul piano testuale – si osserva – ordinanza «non impugnabile» (art. 410-bis, comma 3, c.p.p.) non significa “non revocabile”, e dunque si può ammettere l’istanza di revoca anche se l’impugnazione è preclusa. Quanto al merito, affermare, come detto, che l’ordinanza reiettiva del reclamo è priva di stabilità equivale a negare la sua irrevocabilità, essendo anzi possibile che la stessa ordinanza sia superata con la riapertura delle indagini ex art. 414 c.p.p.

È vero, peraltro, che parte della giurisprudenza ha escluso, in passato, l’ammissibilità di rimedi in “autotutela” in relazione ai provvedimenti di archiviazione, anch’essi instabili e recessivi a fronte di una ripresa delle indagini; ma si tratta di pronunce – peraltro, non univoche – fondate sul rilievo che i vizi fossero emendabili con ricorso per cassazione[9]. Lo stesso argomento non è dunque spendibile per l’ordinanza di reclamo adottata in violazione del contraddittorio, decisione sottratta per legge a qualsiasi impugnativa (art. 410-bis, comma 3, c.p.p.). D’altra parte, la riapertura ex art. 414 c.p.p., rimedio “sostanziale” ancorato alla «esigenza di nuove investigazioni», sarebbe del tutto inutile per lesioni di carattere “formale” come quelle legate al rispetto del contraddittorio, specialmente se consumate in sede di reclamo.

Argomenti, si direbbe, più che convincenti perché la persona offesa, incassato il verdetto di inammissibilità dalla Corte di cassazione, torni a rivolgersi al tribunale del reclamo per ottenere la revoca dell’ordinanza e una decisione nuova.

 

6. L’epilogo, nondimeno, è tutt’altro che scontato, sia con riguardo al caso concreto sia, più in generale, per la sorte dei vizi ipotizzabili in relazione al provvedimento di reclamo.

6.1. Quanto al primo aspetto, il dubbio che l’istanza in “autotutela” possa innescare, nella fattispecie, una sequenza virtuosa - nell’ordine: revoca della prima ordinanza, fissazione di una nuova udienza, avvisi alle parti e nuova decisione - origina dai motivi che avevano indotto il tribunale a ritenere il reclamo inammissibile. La relativa declaratoria, infatti, a leggere la pronuncia in commento si ancorava a ragioni prettamente di “merito” (i.e., confronto generico con le argomentazioni a base del provvedimento di archiviazione e inconferenza degli atti istruttori richiesti), del tutto estranee ai motivi fondanti il reclamo, proponibile, invece, per soli vizi “processuali”, e cioè nei casi di nullità indicati nell’art. 410-bis, commi 1 e 2, c.p.p. Di talché, vi è da credere che il tribunale, accolta l’istanza di revoca e ripristinato il contraddittorio con gli avvisi dovuti, mantenga ferma la stessa decisione di inammissibilità già pronunciata.

6.2. Quanto precede induce ad approfondire la seconda e più ampia questione, prospettabile in punto di effettività dei rimedi in rapporto alle singole patologie riscontrabili.

In linea teorica, il contraddittorio violato in sede di reclamo sembra utilmente emendabile mediante la revoca, con risultati persino migliori, quanto a tempi e risorse, di un ricorso per cassazione proposto per ragioni di nullità[10]. Sarebbero comunque da chiarire i profili procedurali (termini per proporre istanza, coinvolgimento dei soggetti controinteressati) di questo rimedio, tutto pretorio, interamente autogestito dall’interessato e dai singoli operatori.

Se però dal piano teorico si scende a quello pratico, è possibile che le violazioni del contraddittorio non risultino tutte uguali. Questioni giuridicamente complesse, come il riconoscimento della qualità di persona offesa dal reato in relazione a talune ipotesi criminose, possono infatti incidere sulla stessa legittimazione soggettiva a proporre reclamo ex art. 410-bis c.p.p.[11].

Con riguardo a questa situazione, sono due le decisioni ipotizzabili da parte del tribunale: reclamo ictu oculi inammissibile per carenza radicale di legittimazione, con pronuncia adottata senza formalità di procedura (arg. ex art. 127, comma 9, c.p.p.)[12]; ovvero declaratoria di inammissibilità in esito all’udienza, esaurito il contraddittorio cartolare (art. 410-bis, commi 3 e 4, c.p.p.). In entrambi i casi, al cospetto di decisioni comunque fondate sull’apprezzamento di requisiti sostanziali (i.e., qualifica di offeso e conseguente legittimazione), espresso dal tribunale in un senso ben preciso, risulta difficile immaginare, da parte del tribunale medesimo, una revoca in autotutela a beneficio del reclamante, né quando pretermesso de plano né, tanto meno, quando escluso ex post.

Allo stesso modo, abbandonato il campo delle violazioni processuali, anche le più gravi patologie riconducibili al genus abnormità – sia “strutturale” (quando l’atto, per la sua singolarità, si pone al di fuori del sistema organico della legge processuale) che “funzionale” (ove l’atto, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del procedimento e l’impossibilità di proseguirlo)[13] – non si prestano a correzioni in autotutela[14].

In definitiva, per i vizi meno “formali” e più “sostanziali”, la richiesta di revoca del provvedimento suggerita dalla Suprema corte – il rimedio che non si vede, ma comunque c’è – non funziona. È inverosimile, cioè, che il tribunale del reclamo, dopo avere compiuto valutazioni di “merito” non sempre o non del tutto riconducibili alle sue strette competenze, emetta una decisione di segno diametralmente opposto a quella appena presa. In casi simili, insomma, il rimedio non c’è; oppure, a guardar bene, è ancora il ricorso per cassazione per abnormità.

 

 


[1] L’istituto del reclamo è già presente nell’ordinamento giuridico, ma “con caratteristiche ben diverse”: così, L. Kalb, La riforma in materia di archiviazione: nullità del provvedimento e controllo giurisdizionale mediante reclamo, in Dir. pen. proc., 2017, p. 1313, riferendosi alle numerose ipotesi in cui il reclamo opera in ambito penitenziario - regime di sorveglianza particolare (art. 14-ter ord. penit.), permessi (artt. 30-bis e 30-ter ord. penit.), sospensione delle regole di trattamento (art. 41-bis ord. penit.) nonché, in aggiunta al reclamo “generico” (art. 35 ord. penit.), il reclamo giurisdizionale per la tutela dei diritti di detenuti e internati (artt. 69 e 35-bis ord. penit.) - e a quelle in materia di avocazione delle indagini (art. 70, comma 6-bis, ord. giud.).

[2] Sul piano soggettivo, sono stabiliti limiti per il ricorso del pubblico ministero in ipotesi di proscioglimento confermato in appello, ora proponibile, a norma del comma 1-bis dell’art. 608 c.p.p., «solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’art. 606» (i.e., per violazione di legge); l’imputato, inoltre, perde la legittimazione personale a ricorrere, con la soppressione dell’incipit originario dell’art. 613, comma 1, c.p.p. e l’introduzione di una corrispondente clausola di salvezza nell’art. 571, comma 1, c.p.p. A ridurre l’ambito oggettivo del ricorso per cassazione contribuiscono, invece, il ripristino dell’appello avverso la sentenza di non luogo a procedere ex art. 428 c.p.p. e la ridotta casistica dei vizi della sentenza di applicazione pena censurabili in sede di legittimità, secondo il nuovo comma 2-bis dell’art. 448 c.p.p.

[3] Fermi i casi di provvedimento abnorme, ricorribile per cassazione: v. F. Cassibba, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, in Indagini preliminari e giudizio di primo grado. Commento alla legge 23 giugno 2017, n. 103, a cura di L. Giuliani e R. Orlandi, Giappichelli, 2018, p. 142.

[4] Resta non censurabile la valutazione espressa dal giudice per le indagini preliminari a fondamento del provvedimento di archiviazione: v. Trib. Roma, 29 novembre 2017, in Il Penalista, 26 marzo 2018, con nota di C. Pansini, Il reclamo avverso il provvedimento archiviativo. Natura e perimetro applicativo del nuovo art. 410-bis c.p.p. Per una critica alla scelta legislativa di non estendere il nuovo reclamo ai profili di merito, specialmente dopo averne attribuito la competenza al tribunale in luogo della Corte di cassazione a cui prima era affidato il ricorso, v. M. Gialuz – A. Cabiale – J. Della Torre, Riforma Orlando: le modifiche attinenti al processo penale, tra codificazione della giurisprudenza, riforme attese da tempo e confuse innovazioni, in Dir. pen. cont. Riv. trim., 3/2017, p. 182 ss. Secondo F. Cassibba, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, cit., p. 142, il circoscritto raggio operativo assegnato al reclamo avrebbe consentito di radicare la competenza nello stesso giudice per le indagini preliminari, con risultati ancora più tangibili in termini di efficienza.

[5] Stante la “novità e rilevanza” della questione proposta, da cui si evince l’assenza di profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (C. cost., 13 giugno 2000, n. 186), viene esclusa la condanna del ricorrente al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende ex art. 616, comma 1, c.p.p.

[6] Di “evidente ripiego (più che di rimedio effettivo ed efficace)”, dovrebbe parlarsi secondo E. Campoli, La “porta in faccia” della Cassazione all’impugnazione dell’ordinanza di rigetto del reclamo avverso il provvedimento di archiviazione, in Il Penalista, 8 giugno 2018.

[7] Per effetto delle modifiche apportate dalla L. n. 103 del 2017 anche al regime di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, con il ripristino dell’appello in sostituzione della precedente previsione del solo ricorso per cassazione (art. 428 c.p.p.), la persona offesa, oggi legittimata ad appellare il provvedimento nei casi di nullità previsti dall’art. 419, comma 7, c.p.p., non è ammessa a ricorrere per cassazione nemmeno contro la sentenza che abbia rigettato l’appello confermando il non luogo a procedere.

[8] Si allude specialmente al D. Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, che ha dato attuazione alla Direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI. Per un commento organico, v. Vittime di reato e sistema penale. La ricerca di nuovi equilibri, a cura di M. Bargis – H. Belluta, Giappichelli, 2017.

[9] Altre pronunce (v. Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2010, Becquet e altro, in Cass. pen., 2012, p. 161; Cass. pen., sez. VI, 28 settembre 2005, Scopece, in Ced Cass. n. 230180) hanno invece ritenuto compatibile il potere di autotutela con la titolarità del ricorso per cassazione in capo alla persona offesa: ne riferisce F. Cassibba, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, cit., p. 153.

[10] Lo evidenzia F. Cassibba, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, cit., p. 154, auspicando l’evoluzione della prassi in tal senso.

[11] Eventualità che si è già manifestata: v. Trib. Gela, 6 marzo 2018, in Il Penalista, 23 aprile 2018, con nota di C. Ingrao, La legittimazione a proporre il reclamo avverso i provvedimenti di archiviazione in materia ambientale. Per taluni rilievi critici sul punto, espressi sin dalla gestazione della novella, v. G. Colaiacovo, Riforma Orlando: procedimento di archiviazione, in www.parolaalladifesa.it, 16 giugno 2017.

[12] La declaratoria de plano delle inammissibilità del reclamo che emergano ictu oculi è ipotizzata da F. Cassibba, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, cit., p. 150, sia pure evidenziando che l’art. 410-bis c.p.p., con una scelta “antieconomica”, sembri escluderne la praticabilità.

[13] V. Cass. pen., sez. un., 24 novembre 1999, Magnani, in Ced Cass. 215094.

[14] In senso favorevole alla ricorribilità per cassazione dell’ordinanza di reclamo abnorme, v. F. Cassibba, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, cit., p. 152.