ISSN 2039-1676


27 settembre 2018 |

Incompetenza per materia per eccesso e giudice di pace. Alle Sezioni Unite un'interessante questione sulla disciplina del vizio

Cass., Sez. V, ord. 14 giugno 2018 (dep. 24 luglio 2018), n. 35292, Pres. Vessichelli, Est. De Gregorio, ric. Balais; Cass., Sez. V, ord. 14 giugno 2018 (dep. 24 luglio 2018), n. 35293, Pres. Vessichelli, Est. De Gregorio, ric. Treskine

Contributo pubblicato nel Fascicolo 9/2018

Per leggere il testo dell'ord. 35292/18, clicca qui.

Per leggere il testo dell'ord. 35293/18, clicca qui.

 

1. Con le ordinanze che si annotano[1], la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito di diritto: se «in caso di riqualificazione del fatto giudicato dal Tribunale, così ricondotto ad una fattispecie di reato di competenza del giudice di pace, il Giudice debba dichiarare l’incompetenza, ai sensi dell’art. 48 del d. lgs. 274/2000 e disporre la trasmissione degli atti al PM».

Come evidenziato in motivazione[2], la questione devoluta si compone di due nuclei tematici strettamente legati fra loro.

In via preliminare, viene in rilievo la natura giuridica degli artt. 48 del D. Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 e 23 c.p.p.

Come noto, il primo sancisce che «in ogni stato e grado del processo, se il giudice ritiene che il reato appartiene alla competenza del giudice di pace, lo dichiara con sentenza e ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero»; diversamente, il secondo prevede un termine a pena di decadenza stringente (art. 491 c.p.p.) per poter far valere il vizio di incompetenza per materia per eccesso.

La prima tematica con la quale le Sezioni Unite dovranno confrontarsi è dunque la seguente: se l’art. 48 del D. Lgs. n. 274/2000 sia norma speciale e derogatoria rispetto all’art. 23 comma 2 c.p.p.; oppure se, all’opposto, quest’ultimo sia norma generale ed inderogabile che, per l’effetto, comporta l’impossibilità di far valere l’incompetenza per eccesso del tribunale oltre le rigide cadenze ivi stabilite[3].

La seconda si incentra, invece, sui casi nei quali il predetto vizio possa essere fatto valere. In buona sostanza: se l’art. 48 del D. Lgs. n. 274/2000 sia applicabile esclusivamente nel caso in cui il reato per cui si procede fosse ab origine attribuito alla competenza del giudice di pace e, quindi, nella sola ipotesi di vizio “genetico” di incompetenza per eccesso (il pubblico ministero ha erroneamente adito un giudice incompetente sin da principio); oppure se, al contrario, l’incompetenza per eccesso debba essere dichiarata anche al sopraggiungere di evenienze processuali quali la riqualificazione giuridica del fatto (art. 521 c.p.p.) o l’assoluzione dell’imputato dal reato esercente la vis actractiva verso il giudice superiore.

In attesa della decisione delle Sezioni Unite[4], le ordinanze meritano alcune riflessioni di fondo, utili per lo meno ad inquadrare correttamente i termini del problema.

 

2. Per linearità espositiva, iniziamo con l’analisi del primo polo problematico.

Sul punto esiste un contrasto giurisprudenziale, adeguatamente evidenziato dalla Corte.

Si può partire da un punto fermo: secondo un consolidato indirizzo[5], la competenza del giudice superiore rispetto ai reati che sarebbero originariamente devoluti alla cognizione del giudice di pace è affermata dal legislatore con riferimento esclusivo al caso di connessione fra procedimenti determinata dal concorso formale (art. 6, D. Lgs. n. 274/2000). In altre parole: ci si riferisce al caso in cui l’imputato con una sola azione od omissione abbia commesso più reati, dei quali taluno è attribuito alla cognizione del tribunale (o della corte di assise) ed altri a quella del giudice di pace; qui, il giudice superiore è competente a conoscere di tutti i reati. Al di fuori di tale specifica ipotesi, la legge stabilisce l’incompetenza del giudice superiore: vuoi perché il reato sia riservato ab origine dal legislatore alla cognizione del giudice di pace ed il giudice superiore sia stato erroneamente adito; vuoi perché la riqualificazione giuridica del fatto (art. 521 c.p.p.) determini l’eccesso di competenza del giudicante; vuoi ancora perché in un procedimento, avente ad oggetto più reati, venga meno quello esercente la forza attrattiva (ad esempio, per intervenuta assoluzione).

Come noto, però, l’esistenza di un vizio procedurale e la possibilità concreta di farlo valere non viaggiano sempre congiuntamente. In altre parole: entro quale termine è possibile far valere l’incompetenza per eccesso del tribunale (o della corte di assise) rispetto ai reati attribuiti alla cognizione del giudice di pace?

 

3. Secondo un primo (maggioritario) indirizzo[6], l’incompetenza va eccepita a pena di decadenza entro il termine stabilito dall'art. 491 comma 1 c.p.p., secondo quanto disposto dall'art. 23 comma 2 c.p.p. Alla stregua di tale impostazione, la funzione dell’art. 48 del D. Lgs. n. 274/2000 – che effettivamente è di ben altro tenore letterale, come si è visto – sarebbe unicamente quella di stabilire che l’incompetenza per eccesso è dichiarata con sentenza dal giudice, attraverso cui quest’ultimo ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero[7]. L’art. 23 comma 2 c.p.p., pertanto, sarebbe norma generale ed inderogabile e la disciplina del regime di rilevabilità del vizio in parola sarebbe unitaria.

Da tale ricostruzione, si trae logicamente la risposta alla seconda parte del quesito: il mutamento del nomen iuris del fatto (art. 521 c.p.p.) non comporterebbe la dichiarazione di incompetenza del giudice superiore e la conseguente trasmissione degli atti al pubblico ministero; lo confermerebbe il combinato disposto degli artt. 23 e 521 c.p.p., per cui l’incompetenza per materia è in linea di principio dichiarata anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, salva invece proprio l’ipotesi dell’incompetenza per eccesso (comprensiva, si afferma, anche dei casi di reati attribuiti alla cognizione del giudice di pace).

Alla stessa soluzione si arriverebbe ove la riqualificazione giuridica avesse luogo nel grado di appello: giunti a tale stadio, la competenza del giudice superiore risulterebbe definitivamente consolidata, con la conseguenza che in tali casi il giudice di appello pronuncia nel merito.

Insomma, in base alla tratteggiata ricostruzione, l’art. 48 del D. Lgs. n. 274/2000 va interpretato nel senso per cui esso trova applicazione soltanto ove il reato contestato fosse già originariamente attribuito alla competenza del giudice di pace[8].

 

4. Secondo un indirizzo di segno opposto[9], invece, «la violazione della disciplina sulla competenza per materia del giudice di pace (art. 48, D. Lgs. 28 agosto 2000, n 274) determina l'annullamento senza rinvio da parte della Corte di Cassazione della sentenza del giudice monocratico, con conseguente restituzione degli atti al Pubblico Ministero procedente». Così, l’art. 48 del D. Lgs. n. 274/2000 è norma speciale e derogatoria rispetto all’art. 23 comma 2 c.p.p.: d’altronde, aderire all’impostazione maggioritaria significherebbe svuotare di significato la parte (probabilmente) più pregnante del precetto contenuto nell’art. 48 del D. Lgs. n. 274/2000, così di fatto fornendone una (quasi totale) interpretatio abrogans.

Da ciò, segue che la riqualificazione del fatto in termini di reato di competenza del giudice di pace comporta la dichiarazione di incompetenza del giudice superiore, mediante sentenza e con trasmissione degli atti al pubblico ministero.

 

5. Pur non inoltrandoci in avventati sguardi prospettici sulla possibile risposta delle Sezioni Unite, possiamo tuttavia svolgere alcune brevi considerazioni sulle potenziali ricadute dell’una o dell’altra opzione interpretativa.

Come si diceva, l’impostazione secondo cui l’art. 23 c.p.p. costituisce norma generale ed inderogabile fonda il filone giurisprudenziale maggioritario; alla base, vi sono certamente esigenze quali la riconduzione ad unitarietà del sistema processuale con riguardo alla disciplina dell’incompetenza per eccesso. Ma non solo, perché ad uno sguardo più attento, ci si rende conto che vi è sottesa anche quella dell’economia processuale. È chiaro, infatti, che l’adesione all’indirizzo minoritario si risolve nell’ammettere la possibilità di regressione di procedimenti giunti anche a fasi molto avanzate (si pensi al giudizio in cassazione): con la restituzione degli atti, il pubblico ministero sarebbe onerato del riesercizio dell’azione penale davanti al giudice di pace. Il maggior dispendio di risorse e di lavoro processuale è evidente.

Dall’altro lato, è doveroso osservare che l’impostazione di segno minoritario è più aderente alla lettera dell’art. 48 più volte richiamato: un’interpretazione tesa ad attribuire all’art. 23 comma 2 c.p.p. la portata di norma generale ed inderogabile si traduce nella sostanziale obliterazione della locuzione in cui (forse) si incentra la reale portata precettiva del primo: «in ogni stato e grado del processo».

Si tratta quindi, a ben guardare, di una questione spinosa, dove l’adozione di una soluzione in luogo dell’altra è gravida di conseguenze di non poco momento. Per fornire un altro esempio: ove la Corte di cassazione dovesse aderire all’orientamento minoritario, quali sarebbero le ricadute sui processi pendenti che versino in situazioni analoghe? Lo scenario di un numero non quantificabile di processi nei quali gli atti vengano restituiti al pubblico ministero, per il nuovo esercizio dell’azione innanzi al giudice di pace, è da prendere seriamente in considerazione, come saranno da prendere attentamente in considerazione gli equilibri e le esigenze suscettibili di essere coinvolti (o sacrificati) nella scelta dell’una o dell’altra opzione.

 


[1] Si fa riferimento alle ordinanze di rimessione nn. 1763/2018 e 1766/2018, emesse da Cass. Pen., Sez. V, 14 giugno 2018, est. De Gregorio. Come si può evincere dalla lettura delle motivazioni delle predette ordinanze, al netto delle specificità delle singole vicende processuali di ciascun procedimento, il quesito di diritto posto è il medesimo.  

[2] Si vedano in particolare i §§ 2 e ss. delle ordinanze in commento.

[3] Le ordinanze annotate prendono in considerazione il problema dell’incompetenza per eccesso avendo unicamente a riguardo – così si desume dalla lettura delle motivazioni – il tribunale; nondimeno, la questione può del tutto analogamente porsi anche rispetto alla corte di assise, atteso che le disposizioni di legge richiamate formulano un generico riferimento al «giudice» superiore e, dunque, non al solo tribunale.

[4] L’udienza per la decisione è stata fissata per il 27 settembre 2018.

[5] A solo titolo esemplificativo, si richiamano: Cass. Pen., Sez. V,  26 febbraio 2009,  n. 12734, Rv. 243336; Cass. Pen., Sez. I,  19 marzo 2008, n. 14679, Rv. 239406; Cass. Pen., Sez. I,  08 febbraio, 2008, n. 7803, Rv. 239240; Cass. Pen., Sez. I, 18 maggio 2005,  n. 21357, Rv. 231963.

[6] Si vedano, fra le altre, le pronunce di: Cass. Pen., Sez. V,  27 marzo 2015,  n. 25499, Rv. 265144; Cass. Pen., Sez. V, 22 gennaio 2014,  n. 15727, Rv. 260560; Cass. Pen., Sez. III, 12 giugno 2008, n. 31484, Rv. 240752; Cass. Pen., Sez. V, 6 marzo 2007, n. 13827.

[7] Con ciò, quindi, si effettua un implicito riferimento a: Corte cost., 26 febbraio 1993, n. 76; Corte cost., 23 aprile 1993, n. 214. Con tali pronunce, il Giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 23 comma 1 e 24 comma 1 c.p.p., nelle parti in cui rispettivamente dispongono che: «quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per materia, ordina la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo»; «a seguito dell'annullamento della sentenza di primo grado per incompetenza per materia, gli atti siano trasmessi al giudice ritenuto competente, anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo».

[8] Non è un profilo tematico affrontato esplicitamente dalla Sezione rimettente, ma tale impostazione, calibrata sul caso specifico della riqualificazione giuridica, dovrebbe a rigor di logica valere anche in altre ipotesi di incompetenza per eccesso “sopravvenuta”: si pensi al caso in cui – come è avvenuto nel procedimento penale in seno al quale è stata pronunciata l’ordinanza di rimessione n. 1766/2018 del 14 giugno 2018, qui annotata – l’imputato, al quale siano stati contestati due reati, venga assolto per quello esercitante la vis actractiva presso il giudice superiore; od, ancora, al caso di una riforma legislativa per cui un reato venga successivamente devoluto alla competenza del giudice di pace; od ancora – si può affermare senza timore di smentita – al caso di declaratoria di illegittimità costituzionale di una circostanza aggravante, la cui contestazione ha comportato la competenza del tribunale in luogo del giudice di pace.

[9] In quest’ultimo senso, si veda: Cass. Pen., Sez. III, 2 marzo 2010, n. 12636 del 02/03/2010, Rv. 246816.