ISSN 2039-1676


29 ottobre 2018 |

Caso Provenzano: la Corte Edu riconosce una violazione dell'art. 3 Cedu con riferimento all'ultimo decreto di proroga del 41-bis

C. eur. dir. uomo, Sez. I, sent. 25 settembre 2018, Provenzano c. Italia, ric. 55080/13

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1. Con la sentenza in commento, la Corte Edu ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 CEDU, con riferimento al provvedimento di proroga del regime di cui all’art. 41-bis ord. penit., emesso nei confronti di Bernardo Provenzano il 23 marzo 2016, qualche mese prima della sua morte, avvenuta il 13 luglio 2016. La Corte Edu, accogliendo solo parzialmente una delle doglianze formulate dal ricorrente, ha motivato la riconosciuta violazione del divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti facendo riferimento alla insufficiente valutazione, nel provvedimento di proroga, del deterioramento delle funzioni cognitive del detenutoNon è stata, invece, rinvenuta alcuna violazione dell’art. 3 né rispetto alla precedente proroga del regime differenziato – pur avvenuta in presenza di un deterioramento delle condizioni cognitive, in quel, caso però, ad avviso della Corte, prese adeguatamente in considerazione –, né con riferimento alla lamentata incompatibilità tra il regime di cui all’art. 41-bis ord. penit. e le condizioni di salute del ricorrente, né rispetto alle doglianze inerenti all’inadeguatezza delle cure ricevute.

 

2. Com’è noto, Bernardo Provenzano, dopo essere rimasto latitante per più di quarant’anni, veniva arrestato nell’aprile del 2006 e sottoposto a processo per una serie di gravi delitti, quali associazione mafiosa, strage, tentato omicidio aggravato, traffico di stupefacenti, sequestro di persona, detenzione illegale di armi, ed estorsione. All’esito delle citate vicende giudiziarie, Provenzano veniva condannato a plurimi ergastoli. Con provvedimento del Ministro della Giustizia del 13 aprile 2006 gli veniva applicato il regime differenziato di cui all’art. 41-bis ord. penit., a cui è rimasto sottoposto continuativamente fino alla data della sua morte, per effetto di una serie di proroghe. Gli ultimi anni di detenzione sono stati connotati da diverse vicende mediche, dovute alle numerose patologie di cui il detenuto soffriva e al progressivo loro peggioramento, caratterizzato anche da un deterioramento delle funzioni cognitive, che ha finito per limitare le sue capacità comunicative. 

Le menzionate condizioni di salute sono state poste a fondamento di istanze di revoca del 41-bis e reclami avverso i decreti ministeriali di proroga del regime differenziatoe di rinvio dell’esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 c.p. Nessuna delle istanze è stata accolta. 

 

2.1. Quanto al rinvio dell’esecuzione della pena, sia il Tribunale di Sorveglianza[1] di Bologna sia quello di Milano ritenevano che non vi fossero i presupposti, né per quello obbligatorio di cui all’art. 146 c.p., né per quello facoltativo exart. 147 c.p. (§ 48-55 ss.). Infatti, quanto al rinvio obbligatorionon veniva riscontrato uno stato di avanzamento della malattia tale da non rispondere più ai trattamenti disponibili e alle terapie curative, condizione che deve sussistere per l’applicazione dell’istituto. Rispetto al rinvio facoltativo, il rigetto dell’istanza veniva motivato in ragione della possibilità per il detenuto di ricevere trattamenti adeguati in stato di detenzione, anche mediante ricoveri presso reparti ospedalieri[2], come del resto era già avvenuto in passato. Contro alcune delle decisioni del Tribunale di sorveglianza il ricorrente presentava ricorso per cassazione, nessuno dei quali veniva accolto.

 

2.2. Il ricorrente aveva presentato anche istanze inerenti al carattere ingiustificato della sua protratta sottoposizione al regime differenziato di cui all’art. 41-bis ord. penit. 

Le istanze di revoca presentate ai Tribunali di Sorveglianza di Bologna, Roma e Parma in data 8 marzo 2013 (§ 60 ss.) venivano dichiarate inammissibili, mentre quella diretta al Ministro della Giustizia veniva rigettata. 

Il ricorrente, inoltre, aveva proposto reclamo ex art. 41-bis co. 2-quinquies ord. penit. contro due decreti di proroga del regime differenziato, uno del marzo 2014 e il successivo del marzo 2016 [3], emessi in momenti in cui le funzioni cognitive del detenuto erano già in fase di deterioramento. A fondamento del reclamo, veniva evidenziato come, a causa di tale deterioramento, era venuta meno la ragione originariamente posta alla base dell’applicazione del 41-bis, ossia la possibilità che il Provenzano – se collocato in regime detentivo ordinario – mantenesse i collegamenti con l’associazione. 

Il reclamo veniva rigettato dal Tribunale di Sorveglianza di Roma[4]. I provvedimenti ministeriali e la decisione del Tribunale sono motivati sulla base dei seguenti argomenti: il prominente ruolo del detenuto all’interno dell’associazione, desumibile, tra l’altro, dai gravi delitti commessi; il perdurante stato di latitanza di un altro dei principali componenti della medesima associazione; l’articolata rete di supporto si cui il detenuto aveva beneficiato in passato, che servendosi metodi di comunicazione molto semplici ma efficaci – i c.d. pizzini – gli aveva consentito di impartire direzioni e definire strategie, e in definitiva di mantenere le redini dell’associazione durante il periodo di latitanza; l’impossibilità di escludere con certezza, nonostante l’accertato deterioramento delle funzioni cognitive e comunicative, la capacità del detenuto di trasmettere messaggi all’associazione criminosa di appartenenza, agevolata dal più ampio contatto con il mondo esterno derivante dalla revoca del regime differenziato. 

Quest’ultimo rappresenta un punto cruciale per la comprensione della decisione della Corte Edu: nel decreto di proroga del marzo del 2016 simile valutazione è risultata carente. Va evidenziato che, con riferimento ad entrambe le proroghe, il Ministro aveva ricevuto parere sfavorevole – alla luce delle condizioni di salute del detenuto –, da parte delle DDA di Firenze e Caltanissetta, mentre favorevole alla prosecuzione del regime differenziato rimanevano la DNA e la DDA di Palermo. 

 

3. Il ricorrente, per mezzo del figlio, nominato suo amministratore di sostegno, si rivolgeva, esauriti i rimedi interni (§ 102-114), alla Corte europea dei diritti dell’uomo, sostenendo la violazione dell’art. 3 CEDU, sotto due profili: da un lato, quello inerente allo stato di detenzione, rispetto al quale lamentava sia l’incompatibilità della detenzione con le sue condizioni di salute, sia l’inadeguatezza delle cure ricevute (§117-119) e, dall’altro, quello concernente alla perdurante sottoposizione al regime di cui all’art. 41-bis ord. penit., ritenuta non più giustificata, in ragione del significativo deterioramento delle sue funzioni cognitive (§ 142).

 

4. I Giudici di Strasburgo, come anticipato, hanno riconosciuto la violazione dell’art. 3 CEDU solo rispetto alla proroga del regime differenziato – limitatamente all’ultimo provvedimento ministeriale –, e non alle condizioni della detenzione.

 

4.1. Quanto allo stato di detenzione, i giudici di Strasburgo ricordano, anzitutto, la centralità dell’art. 3 CEDU, che, nel vietare in modo assoluto trattamenti o pene inumani o degradanti, sancisce uno dei valori fondamentali di una società democratica. All’art. 3 CEDU è riconducibile il dovere dello Stato di assicurare che la salute e il benessere del detenuto siano adeguatamente garantiti. Sul punto, la Corte ricorda come affinchè un trattamento possa essere ritenuto adeguato, oltre la possibilità di essere sottoposto a visite mediche, sia necessario assicurare un trattamento adeguato, diagnosi e cure appropriate e tempestive, nell’ambito di un trattamento personalizzato, di cui deve essere tenuta adeguata documentazione. Tanto premesso, la Corte Edu non ritiene sussistente una violazione dell’art. 3 CEDU, valutando come adeguate le cure mediche garantite a Provenzano, consistite in: regolari controlli, esami, visite specialistiche, un piano terapeutico regolarmente risultante dai registri, trasferimenti presso reparti di ospedali civili per consentire al detenuto accesso a esami o trattamenti non eseguibili in carcere. Quanto agli episodi specifici menzionati dal ricorrente, la Corte rileva: a) quanto al periodo successivo alla caduta avvenuta nel carcere di Parma (§133-136), come non vi sia riscontro nella documentazione, peraltro non contestata dal ricorrente, di una carenza nella cure mediche; b) in relazione al periodo di detenzione a Milano (§ 137-138), come i trattamenti ricevuti siano stati regolari e adeguati e che le allegazioni circa la carenza di cura dell’igiene personale non trovassero riscontro nei documenti e non fossero sufficientemente dettagliate. Da ultimo, va evidenziato come i giudici di Strasburgo, pur avendo espresso preoccupazione rispetto al ritardo nel dotare il letto del detenuto delle sbarre richieste, non hanno ritenuto tale carenza sufficiente a integrare una violazione dell’art. 3 CEDU (§136).

 

4.2. Con riferimento alla sottoposizione al 41-bis, la Corte Edu ha riscontrato una violazione dell’art. 3 CEDU, limitatamente alla proroga disposta con decreto ministeriale del 23 marzo 2016, in ragione della sostanziale assenza di una aggiornata rivalutazione delle ulteriormente peggiorate condizioni cognitive del ricorrente.

Per accertare la violazione dell’art. 3 CEDU, la Corte esamina i provvedimenti di proroga per verificare se siano giustificati o meno. Nel fare questo, ricorda come l’essenza della Convenzione risieda nel rispetto della dignità umana e che le sue norme devono essere interpretate in modo da rendere tale protezione effettiva. Pertanto, la Corte ritiene che sottoporre un individuo a una serie di restrizioni aggiuntive, imposte discrezionalmente, senza fornire sufficienti e rilevanti ragioni basate su una valutazione individualizzata di necessità, minerebbe la sua dignità umana e integrerebbe una violazione del diritto sancito dall’articolo 3 CEDU

Tanto premesso, rispetto alla proroga del 26 marzo 2014, la Corte ritiene che, sebbene il decreto non avesse dedicato particolare attenzione all’esame del deterioramento delle condizioni cognitive del detenuto, nella pronuncia del Tribunale di Sorveglianza sul reclamo proposto, sia riscontrabile un ampio esame della documentazione medica. Ad avviso della Corte, sulla base di questa documentazione il Tribunale ha raggiunto una motivata conclusione sull’impossibilità di escludere la capacità per il ricorrente di comunicare con l’estero

Rispetto alla proroga del 23 marzo 2016, la Corte Edu perviene ad una conclusione opposta: il provvedimento ministeriale non prende adeguatamente in considerazione l’ulteriore peggioramento delle condizioni cognitive del ricorrente e per questo viola l’art. 3 CEDU. Infatti, rilevano i Giudici di Strasburgo, la gravità della situazione avrebbe richiesto non solo una più dettagliata e attenta motivazione delle ragioni in favore della proroga, ma anche la necessaria valorizzazione del progressivo deterioramento delle funzioni cognitive del ricorrente. Nel decreto, invece, non vi è alcuna valutazione autonoma di tale situazione di salute, ma solo due riferimenti alle relazioni della DNA e DDA di Palermo, le quali a loro volta si basavano su valutazioni non aggiornate della situazione cognitiva di Provenzano. La ragione della violazione dell’art. 3 CEDU, dunque, risiede nel non aver dimostrato, nel provvedimento ministeriale, che il ricorrente, nonostante lo stato di deterioramento psichico, sarebbe stato in grado di comunicare con l’associazione, qualora fosse stato collocato in regime ordinario. La Corte Edu, dunque, collega la contrarietà all’art. 3 della Convenzione alla carenza di un'attenta considerazione del peggioramento delle condizioni cognitive del detenuto, nell’ambito delle valutazioni inerenti alla sussistenza delle finalità preventive che, ai sensi dell’art. 41-bis ord. penit., devono giustificare l’applicazione del regime differenziato. Ciò integra una violazione dell’art. 3 CEDU. Dal percorso argomentativo seguito dalla Corte, emerge con chiarezza che l’applicazione del regime di cui all’art. 41-bis è considerata in sé legittimaanche se di lunga durata (§ 147), nei limiti in cui sia giustificata – in concreto – da finalità di prevenzione.

 

5. In conclusione, pare interessante evidenziare come un simile ragionamento, fondato sulla necessità di una valutazione attuale e in concreto della pericolosità del detenuto, sia stato posto a fondamento, unitamente ad altre considerazioni, di una recente pronuncia della Cassazione nel caso Riina[5]. In quel frangente, la Corte ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna di rigetto delle istanze di differimento dell’esecuzione della pena detentiva ex art. 147 co. 1 lett. b) c.p. e di detenzione domiciliare ex art. 47-ter co. 1-ter ord. penit. Motivo della decisione, tra gli altri, la carenza di motivazione sotto il profilo della attualizzazione della valutazione sulla pericolosità del soggetto: ferma restando la pericolosità del Riina connessa al suo spessore criminale, il provvedimento annullato non chiariva come tale pericolosità potesse considerarsi attuale, alla luce della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del generale decadimento fisico del detenuto.

 


[1] La competenza a decidere sul rinvio dell’esecuzione della pena è del Tribunale di Sorveglianza ai sensi dell’art. 70 co. 1 ord. penit. 

[2] La valutazione alla base della concessione del rinvio dell’esecuzione per grave infermità fisica ex art. 147 co. 1 lett. b) c.p. avviene, come precisato dalla giurisprudenza sulla base di due requisiti: a) gravità oggettiva della malattia, implicante un pericolo per la vita del condannato o la probabilità di rilevanti conseguenze dannose; b) possibilità di fruire, in stato di libertà di cure e trattamenti diversi e più efficaci di quelli disponibili in regime di detenzione, quest’ultimo comprensivo anche di ricoveri in luoghi esterni di cura exart. 11 co. 2 ord. penit. Sul punto: Cass. pen., sez. I, 5 marzo 2014, n. 37216; Cass. pen., sez. I, 18 dicembre 2012, n. 789; Cass. pen., sez. I, 10 novembre 2010, n. 41542. Per una più approfondita ricognizione della giurisprudenza in materia cfr. Marinucci-Dolcini-Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, 7aedizione, Milano 2018, pp. 735 ss.

[3] Si tratta dei decreti del Ministro della Giustizia del 26 marzo 2014 e del 23 marzo 2016. Per un più approfondito resoconto delle motivazioni dei menzionati decreti v. § 65-71 (decreto del 26 marzo 2014) e § 74-78 (decreto del 23 marzo 2016). 

[4] Solo il reclamo contro il decreto ministeriale del 26 marzo 2014 è stato deciso. Il secondo reclamo, presentato contro il decreto di proroga del 23 marzo 2016, invece, non è stato deciso nel merito, per via della morte del detenuto, nel frattempo intervenuta. 

[5] Cass. pen., sez. I, 23 marzo 2017, n. 27766, in questa Rivista, 7 giugno 2017.