23 gennaio 2019 |
Dati e numeri sulla tratta di persone nel mondo: il Global report on trafficking in persons 2018
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1. Redatto dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (in sigla: UNODC), il Global report on trafficking in persons 2018 è uno studio che si occupa di ricostruire l’entità assunta dal fenomeno criminale della tratta di esseri umani a livello globale, analizzandone i modelli e i principali flussi a partire dai dati disponibili nell’ambito dei singoli contesti nazionali. Si tratta di un’operazione di raccolta e analisi sistematica di dati che l’UNODC svolge da oltre dieci anni: studi di medesimo segno sono stati infatti precedentemente pubblicati nel 2009, nel 2012, nel 2014 e nel 2016. Nella versione più recente, lo studio raccoglie informazioni provenienti da 142 Stati membri dell’ONU (sui 193 totali), coprendo così un’area geografica più ampia rispetto agli studi precedenti, in relazione al periodo intercorrente tra il 2014 e il 2016-2017.
In questa occasione, il report è composto da due distinti documenti, i quali possono leggersi entrambi in allegato: allo studio principale, composto da due capitoli (intitolati, rispettivamente, Global e Regional overview), si è infatti scelto di affiancare un’analisi specifica dedicata al tema della tratta di esseri umani nell’ambito dei conflitti armati, in merito al quale nel dicembre 2016 lo stesso Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva sollecitato una più accurata opera di monitoraggio al fine di colmare le gravi lacune informative ancora esistenti[1].
2. Il primo dato sistematico che viene sottolineato all’interno del report è il progressivo incremento del numero delle vittime di tratta rilevate a livello globale: nel 2016 si colloca infatti il picco massimo rispetto ai passati tredici anni di osservazione, con numeri del 40% superiori a quelli del 2011; è in media cresciuto anche il numero di rilevazioni effettuate nell’ambito dei singoli Stati membri.
Un simile aumento, si osserva, può avere una valenza tanto negativa, quanto positiva: da un lato, infatti, potrebbe corrispondere a una crescita effettiva di tale fenomeno criminale, e dunque a un aumento reale del numero delle vittime di tratta nel mondo; dall’altro lato, tuttavia, potrebbe essere invece rappresentativo di una maggiore capacità degli Stati di riconoscere e identificare le vittime di tratta e dell’utilizzo di strumenti e procedure più efficienti. A sostegno di questo secondo assunto, i dati dimostrano che il numero delle vittime individuate nell’ambito dei singoli Stati è direttamente proporzionale all’adozione di misure di contrasto alla tratta di esseri umani da parte dei medesimi: dall’introduzione di fattispecie penali ad hoc, all’elaborazione di specifici piani d’azione, allo sviluppo di misure di assistenza per le vittime[2].
All’incremento del numero delle vittime corrisponde inoltre un incremento del numero di trafficanti di esseri umani sottoposti a condanna nel corso degli ultimi sette anni di osservazione (dal 2009 al 2016); da questo trend in crescita sono però escluse l’Europa e l’Asia centrale: ciò nonostante i Paesi europei, benché in media riportino un numero di condanne stabile o inferiore rispetto al passato, registrano comunque i numeri in assoluto più elevati tanto con riferimento alle vittime identificate, quanto in relazione alle condanne degli autori di reato.
Ciò nondimeno, deve ancora constatarsi la persistenza di vaste aree di impunità per i trafficanti di esseri umani. Il numero di condanne per tratta pronunciate in molti Paesi dell’Africa (specialmente sub-Sahariana) e dell’Asia (in particolare la regione orientale) è infatti estremamente ridotto, sebbene proprio da queste zone provengano la maggior parte delle vittime rintracciate nel resto del globo[3].
3. In linea con le analisi già effettuate in passato, le vittime di tratta risultano essere in larghissima proporzione donne; quasi la metà delle vittime identificate (il 49%) sono difatti donne adulte, mentre le minori corrispondono al 23 %: sicché insieme rappresentano la significativa quota del 72 % delle vittime di tratta a livello globale. Se si considerano, invece, le vittime di tratta minori, esse costituiscono il 30% del totale, con netta prevalenza delle bambine rispetto ai bambini, dato peraltro in incremento nel 2016 rispetto agli anni precedenti[4].
Sussistono però delle ampie differenze geografiche nei profili delle vittime di tratta identificate: mentre i dati rilevati rispetto all’area dell’Europa occidentale e meridionale − cui appartiene anche l’Italia − sono sostanzialmente equivalenti a quelli rilevati a livello globale (tra le vittime di tratta il 52% sono donne adulte, il 23% uomini adulti, il 19% bambine e il 6% bambini), nella zona dell’Africa sub-Sahariana si registra una netta prevalenza delle vittime minori (il 55% del totale), mentre le regioni dell’Asia orientale e meridionale vedono una maggiore quota di uomini adulti tra le vittime (circa il 30%). Considerato l’ampio numero oscuro che ancora permane in relazione a questi territori, deve allora ritenersi che le cifre di cui sopra non siano in grado di rispecchiare interamente il dato di realtà[5].
Le vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale costituiscono il 59% delle vittime identificate nell’anno 2016; il 34% è invece oggetto di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo. Occorre nondimeno sottolineare come rispetto a tale dato rilevi fortemente la differenza di genere, poiché mentre l’83% delle donne vittime di tratta è trafficata a scopo di sfruttamento sessuale, in relazione agli uomini è nettamente prevalente lo scopo di sfruttamento lavorativo, che ne interessa l’82%. Allo stesso modo, occorre tenere in considerazione altresì la zona geografica di rilevazione: mentre la tratta a scopo di sfruttamento sessuale è quantitativamente più rilevante in Europa e nelle Americhe, rispetto all’Africa e al Medio Oriente i dati del 2016 dimostrano una netta prevalenza della tratta a scopo di sfruttamento lavorativo[6].
Rispetto ad altre forme di sfruttamento rilevanti, la tratta di persone a scopo di rimozione di organi sembra interessare un numero molto più limitato di vittime (le rilevazioni riguardano infatti nel complesso, rispetto al periodo compreso tra il 2014 e il 2017, appena un centinaio di vittime, tutte adulte). Di maggiore impatto sembrano invece la tratta finalizzata a sfruttare le vittime nell’accattonaggio, ovvero in attività criminali, la tratta di donne in stato di gravidanza o di neonati finalizzata ad adozioni illegali e la tratta finalizzata alla contrazione di matrimoni forzati o alla produzione di materiale pornografico.
4. Un dato significativo messo in luce all’interno del report è che la maggior parte delle vittime di tratta identificate risulta essere cittadina dello Stato di rilevazione. La quota delle c.d. “vittime domestiche” è peraltro raddoppiata nel corso degli ultimi anni, passando dal 27% registrato nel 2010 al 58% registrato nel 2016: dato che potrebbe indicare tanto un effettivo incremento quantitativo delle vittime trafficate all’interno del proprio Paese d’origine, quanto una riduzione del volume della tratta internazionale dovuta a un rafforzamento dei controlli di frontiera; ancora, esso potrebbe essere inoltre il risultato di un rafforzamento delle misure di prevenzione e controllo all’interno dei Paesi d’origine dei flussi criminali (sicché le vittime, intercettate nello stadio iniziale del processo di trasferimento, sarebbero state destinate a essere sfruttate altrove).
Fanno eccezione a tali rilevazioni i dati inerenti a Nord Africa, Medio Oriente, Asia orientale ed Europa centrale, occidentale e meridionale, i quali registrano con riferimento al 2016 una prevalenza delle vittime di tratta straniere[7].
In ogni caso, il report osserva come i dati riportati dimostrino che la tratta di esseri umani non ha sempre carattere di reato transnazionale, radicandosi sullo sfruttamento della vittima, più che sul suo effettivo movimento[8]. Affermazione che, tuttavia, non sembra corrispondere pienamente al modello di human trafficking delineato dal Protocollo di Palermo del 2000, il quale considera come elemento essenziale della tratta di persone il trasferimento della vittima da un luogo a un altro[9].
5. È inoltre possibile prendere in considerazione alcuni dati specificamente relativi all’Italia e concernenti l’insieme dei reati di cui agli artt. 600 (riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù), 601 (tratta di persone), 602 (acquisto e alienazione di schiavi) e 603-bis c.p. (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro). Come si evidenzia all’interno del documento Country profiles – Western and Southern Europe (p. 34 ss.), allegato al 2018 Global report[10], il numero di procedimenti penali per tali titoli di reato ammonta, complessivamente, a 1.193 per il 2014, 1.164 per il 2015 e 998 per il 2016.
Con riferimento alle vittime, occorre segnalare che più della metà delle stesse è costituita da minori: prendendo a esempio il solo anno 2016, sono state identificate come vittime di tratta e di reati a essa connessi 96 minori di sesso maschile, 307 minori di sesso femminile, 117 uomini adulti e 143 donne adulte; la principale forma di sfruttamento cui le vittime sono destinate è lo sfruttamento sessuale. Le vittime, inoltre, sono in larghissima parte (al 60,7%) di cittadinanza italiana, mentre il 18% ha cittadinanza rumena e l’8% nigeriana.
6. Con riferimento al collegamento tra tratta di persone e conflitti armati − che, come già si è detto, costituisce oggetto di un documento specifico – si osserva che esso può essere tanto diretto, quanto indiretto: nel primo caso, la tratta di persone diviene parte delle violenze e delle ostilità tra le parti in conflitto, mentre nel secondo caso i trafficanti approfittano dello stato di vulnerabilità della popolazione delle aree interessate dal conflitto (oltre che dei rifugiati, costretti ad abbandonare il proprio Paese e a migrare) per i propri scopi illeciti.
Le principali forme di tratta di persone nell’ambito dei conflitti armati sono la tratta a scopo di sfruttamento sessuale, quella a scopo di schiavitù sessuale e quella finalizzata alla contrazione di matrimoni forzati[11]. Un fenomeno che desta particolare allarme è poi la tratta di bambini a scopo di reclutamento nei gruppi armati, al fine di sfruttarli tanto per scopi propriamente militari (quali “bambini soldato” o persino vittime di attentati esplosivi suicidi) quanto in attività lavorative di supporto al gruppo. Anche la tratta di persone – adulte e minori – a scopo di sfruttamento lavorativo rientra spesso nelle strategie di autosostentamento dei gruppi armati: ad esempio, il lavoro forzato all’interno di industrie estrattive è uno dei mezzi con cui alcuni di essi finanziano le proprie operazioni[12].
I gruppi armati, in molti territori dell’Africa sub-Sahariana, del Medio Oriente e dell’Asia, utilizzano la tratta di persone non solo per ricavarne vantaggi tanto militari quanto economici, ma anche come strumento di controllo – attraverso la paura − della popolazione civile. L’utilizzo della violenza sessuale e della schiavitù sessuale all’interno delle proprie operazioni di guerra, inoltre, è spesso parte della loro strategia di reclutamento, svolgendo la funzione di ricompensare i nuovi combattenti che aderiscano al gruppo o particolari meriti nelle operazioni militari[13].
Si ricorda inoltre che tanto la tratta a fini di sfruttamento e schiavitù sessuale da parte dei gruppi armati, quanto il reclutamento forzato di bambini possono ammontare a crimini di guerra ai sensi dell’art. 8 dello Statuto di Roma, ricadendo così sotto la competenza della Corte Penale Internazionale[14].
[1] Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, 20 dicembre 2016, Risoluzione n. S/RES/2331 (2016)
[2] UNODC, Global report in trafficking in persons, 2018, p. 21.
[3] UNODC, Global report in trafficking in persons, 2018, p. 23.
[4] UNODC, Global report in trafficking in persons, 2018, p. 27.
[5] UNODC, Global report in trafficking in persons, 2018, p. 25, 51, 67 e 80.
[6] UNODC, Global report in trafficking in persons, 2018, p. 29.
[7] UNODC, Global report in trafficking in persons, 2018, p. 41.
[8] UNODC, Global report in trafficking in persons, 2018, p. 13.
[9] Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini, adottato il 15 novembre 2000 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Esso, all’art. 3 (“Terminologia”) definisce infatti la tratta di persone facendo riferimento a una particolare condotta (per l’appunto “il reclutamento, trasporto, trasferimento, l'ospitare o accogliere persone”), a specifici mezzi (“l'impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un'altra”) e allo scopo di sfruttamento (il quale “comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l'asservimento o il prelievo di organi”). Tale definizione è stata successivamente ripresa tanto dalla Convenzione del Consiglio d’Europa n. 197 sulla lotta alla tratta di esseri umani approvata a Varsavia il 16 maggio 2005, quanto dalla Direttiva 2011/36/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime.
[10] Reperibile online sul sito www.unodc.org.
[11] UNODC, Global report in trafficking in persons, 2018 – booklet II: Trafficking in persons in the context of armed conflict, p. 9.
[12] UNODC, Global report in trafficking in persons, 2018 – booklet II: Trafficking in persons in the context of armed conflict, p. 13.
[13] UNODC, Global report in trafficking in persons, 2018 – booklet II: Trafficking in persons in the context of armed conflict, p. 6.
[14] Sul punto si può rimandare al recente studio tematico UNODC, Countering trafficking in persons in conflict situations, 2018, pp. 26-28, reperibile sul sito www.unodc.org.