ISSN 2039-1676


11 marzo 2019

Legittima la previsione della sospensione da incarichi elettivi nel caso di condanne per gravi delitti, anche se antecedenti all’elezione o alla nomina

Corte cost., sent. 23 gennaio 2019 (dep. 6 marzo 2019), n. 36, Pres. Lattanzi, Red. De Pretis

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Segnaliamo che, con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata una questione di legittimità avente a oggetto l’art. 11, comma 1, lettera a), d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, attuativo di delega contenuta nella legge c.d. Severino del 6 novembre 2012, n. 190, il quale prevede la sospensione di diritto da determinati incarichi elettivi pubblici (indicati dall’art. 10, c. 1, d.lgs. 235/2012) per coloro che abbiano riportato una condanna non definitiva per taluni gravi delitti, elencati all’art. 10, c. 1, lett. a), b) e c) del medesimo decreto. Si tratta, nello specifico, dei delitti di associazione mafiosa e finalizzata al traffico di stupefacenti, di delitti in tema di stupefacenti e armi, di tutti i delitti previsti dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., oltre che di diversi delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

Secondo il giudice a quo, tale norma costituiva violazione degli artt. 1 (secondo comma), 2, 3, 48 e 51 (primo comma), della Costituzione, nella parte in cui non prevedeva che la sospensione dalla carica conseguisse alle sole sentenze non definitive di condanna pronunciate «dopo l’elezione o la nomina», come è previsto invece alla lettera b) del medesimo art. 11, comma 1.

Nel dichiarare l’infondatezza delle censure mosse, la Consulta osserva che «la scelta legislativa di applicare la sospensione anche per condanne che hanno preceduto l’elezione risulta risalente e mantenuta nel tempo fino alla normativa del 2012 qui in esame», e che inoltre essa «costituisce ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa e non viola le norme costituzionali invocate dal giudice a quo». Nemmeno sussiste alcuna disparità di trattamento rispetto alla disciplina di cui al citato art. 11 c. 1, lett. b) del decreto in esame, in quanto trattasi di norma ispirata a una ratio differente, applicabile a ipotesi residuali rispetto a quelle contemplate dalla lett. a): essa si riferisce infatti a coloro che abbiano riportato una condanna, confermata anche in grado d’appello, a una pena non inferiore a due anni di reclusione per qualsiasi delitto non colposo.

È invece considerata inammissibile l’ulteriore questione, presentata dal rimettente in via subordinata, volta a delimitare l’applicazione della norma censurata «al solo periodo precedente l’elezione, quello cioè […] compreso tra la candidatura e l’elezione».

(Silvia Bernardi)