ISSN 2039-1676


26 settembre 2019 |

“Unicità delle impugnazioni” e diritto al ricorso giurisdizionale effettivo in materia cautelare

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 5 settembre 2019, Rizzotto c. Italia (n. 2)

 

Considerata la rilevanza dei temi trattati e la connessione con l’ordinamento processuale italiano, pare opportuno segnalare ai lettori la sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Rizzotto c. Italia (n. 2). Con tale pronuncia, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto la violazione dell’art. 5 comma 4 Conv. eur. dir. uomo, il quale sancisce il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo nei confronti delle misure privative della libertà personale.

Per un’adeguata comprensione della vicenda, occorre premettere che il ricorrentenon rintracciabile al momento di emissione della misura custodiale – era stato catturato a distanza di qualche mese in territorio estero e rapidamente estradato in Italia. In seguito, la richiesta di riesame avanzata dal difensore di fiducia era stata dichiarata inammissibile sulla base del principio di “unicità delle impugnazioni”, ritenendo che la precedente iniziativa del difensore d’ufficio, nominato ex art. 296 comma 2 c.p.p., avesse generato una preclusione processuale” (in tal senso, cfr. Cass., sez. I, sent. 16 settembre 2008, Sposito, in CED Cass., m. 241137 e Cass., sez. IV, sent. 5 aprile 2013, Colonna, in Cass. pen., 2014, p. 3356 ss., con nota di G. Colaiacovo; contra, v. Cass., sez. III, sent. 14 febbraio 2013, Dines, in Giur. it., 2013, p. 2364 ss., con nota di E.N. La Rocca). Peraltro, dal momento che si trovava detenuto in un circondario assai distante rispetto a quello in cui era incardinato il procedimento, il ricorrente non aveva nemmeno potuto presenziare all’udienza fissata per la discussione del ricorso. Egli, pertanto, sosteneva di non aver beneficiato di un ricorso giurisdizionale effettivo al fine di contestare la legittimità del provvedimento cautelare.

La Corte eur. dir. uomo ha accolto il nucleo fondamentale della prospettazione attorea, ponendo in rilievo il diritto di ciascun detenuto di presentare – al giudice competente per il controllo sulla legittimità della privazione della libertà personale – le argomentazioni a sostengo delle proprie istanze, partecipando personalmente al relativo procedimento.

La Corte di Strasburgo ha affermato, in primo luogo, che nel caso di specie non è stata garantita la partecipazione effettiva dell’accusato al procedimento di riesame ex art. 309 c.p.p.: il ricorrente, infatti, era completamente ignaro delle iniziative processuali intraprese dall’avvocato d’ufficio, le quali – benché compiute da un difensore che non era in condizione di comunicare con il proprio assistito – hanno “consumato” irrimediabilmente il diritto d’impugnazione. In tale contesto, la Corte eur. dir. uomo ha incidentalmente osservato che – sebbene il ricorrente sia stato considerato latitante dalle autorità italiane – difettano elementi concreti per ritenere che egli abbia inteso sottrarsi alla giustizia o rinunciare inequivocabilmente al suo diritto di difesa.

Secondariamente, i giudici europei hanno rilevato come nemmeno la richiesta di revoca della misura cautelare ex art. 299 c.p.p. – avanzata dalla difesa in seguito alla declaratoria di inammissibilità del riesame – abbia garantito al ricorrente un rimedio giurisdizionale effettivo: l’istanza, infatti, è stata rigettata de plano, senza che fosse effettuato l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini.

Infine, respingendo l’eccezione preliminare sollevata dal Governo italiano, la Corte eur. dir. uomo ha osservato che la prassi delle corti interne tende ad escludere l’applicazione dell’art. 175 c.p.p. in casi analoghi a quello segnalato, negando la rimessione in termini ai soggetti interessati.

Sulla scorta di queste argomentazioni, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto la violazione del dettato convenzionale. Nel caso di specie, invero, il sistema dei controlli cautelari ha mostrato alcune défaillances, ponendosi in contrasto con l’indirizzo consolidato della giurisprudenza europea, secondo cui anche il giudizio sulla legalità della detenzione deve conformarsi ai lineamenti essenziali dell’equo processo: da questi ultimi discende, in primo luogo, le droit d'être effectivement entendu par le juge saisi d'un recours contre une détention. Di qui, la condanna della Repubblica italiana, cui spetta rifondere al ricorrente 4000 euro a titolo di danno morale e 7000 euro per le spese di causa.