ISSN 2039-1676


04 novembre 2011 |

Sull'applicabilità della contravvenzione di smaltimento illecito di rifiuti in relazione ai fanghi di depurazione

Cass. pen., sez. III, 22 settembre 2011 (dep. 5 ottobre 2011), Pres. Squassoni, Est. Ramacci, imp. Lupi

Il legale rappresentante della società affidataria di un impianto di depurazione di acque reflue urbane veniva condannato per la contravvenzione di “gestione di rifiuti non autorizzata” (art. 256 co. 1, lett. a, T.U. ambiente), per aver effettuato il deposito incontrollato, e non il regolare smaltimento, di rifiuti costituiti dai fanghi di depurazione del predetto impianto.

 

Avverso la condanna in primo grado, l’imputato proponeva ricorso per saltum in Cassazione, lamentando, tra l’altro, l’inosservanza dell’art. 127 T.U. Ambiente, che individua la disciplina applicabile ai fanghi di depurazione.

 

Secondo la tesi avanzata dal ricorrente, mentre nel testo originario l’art. 127 estendeva ai fanghi di depurazione la disciplina dei rifiutiove applicabile”, nell’attuale formulazione – introdotta dal d. lgs. n. 4 del 2008 – la norma prevede che detta estensione avvenga soltanto “alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”. La modifica, conseguentemente, avrebbe ridotto l’ambito di applicazione della contravvenzione ex art. 256 T.U., espungendovi tutte le ipotesi in cui le condotte abusive abbiano ad oggetto fanghi provenienti da processi di depurazione non ancora ultimati: proprio tra queste ipotesi, prive di rilevanza penale ai sensi del più favorevole jus superveniens, rientravano – secondo la tesi difensiva – le condotte contestate al ricorrente.

 

La Terza Sezione rigetta il ricorso, enunciando il principio di diritto al quale attenersi nell’interpretazione del novellato art. 127 T.U. Ambiente.

 

Infatti, dopo avere riconosciuto che la modifica del 2008 ha effettivamente spostato al termine del processo depurativo  il momento in cui la disciplina dei rifiuti si applica ai fanghi, i giudici di legittimità evidenziano come tale intervento legislativo non possa tuttavia escludere “l’applicabilità della disciplina sui rifiuti in tutti i casi in cui il trattamento non venga effettuato o venga effettuato in luogo diverso dall’impianto di depurazione o in modo incompleto, inappropriato o fittizio”.

 

Ciò posto, la Cassazione evidenzia che, nel caso di specie, la contravvenzione di smaltimento illecito di rifiuti (art. 256 co. 1 lett. a T.U. Ambiente) era stata correttamente applicata, in quanto “le modalità di detenzione dei fanghi deponevano inequivocabilmente per la loro condizione di rifiuto, stante la incompatibilità delle modalità di conservazione con qualsivoglia fase del processo depurativo e con procedure di trattamento tecnicamente accettabili”.

 

In particolare, numerosi dati fattuali consentivano di escludere che l’accumulo dei fanghi costituisse un mero deposito temporaneo (il quale, se realizzato seguendo determinate modalità, solleva il produttore dalla maggior parte degli obblighi previsti dal regime autorizzatorio delle attività di gestione dei rifiuti): a parte la considerazione, di per sé assorbente, secondo cui "l’onere della prova in ordine al verificarsi delle condizioni  fissate per la liceità del deposito temporaneo grava sul produttore dei rifiuti in considerazione della natura eccezionale e derogatoria del deposito temporaneo rispetto alla disciplina ordinaria (Sez. III n. 15680, 23 aprile 2010 […])”, nel caso di specie l’applicabilità della disciplina sanzionatoria era resa evidente dalla “mancanza di documentazione attestante il lecito smaltimento, [dal]la presenza di un quantitativo rilevante di fanghi in uno dei letti di essiccamento (definito “colmo”) e [dal]la presenza di vegetazione sui fanghi medesimi”.