ISSN 2039-1676


09 febbraio 2012 |

Il Magistrato di Sorveglianza non può provvedere alla dichiarazione di abitualità  nel reato qualora il reo stia ancora espiando la pena

Nota a Magistrato di Sorveglianza di Milano, 9 novembre 2011 (ord.), Est. Fadda

1. Con l'ordinanza che può leggersi in allegato, il Magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Milano ha dichiarato non luogo a provvedere in ordine alla richiesta di dichiarazione di abitualità nel reato presentata, ex art. 103 c.p., dal Pubblico Ministero nei confronti di un soggetto condannato ad una pena il cui termine di estinzione era fissato per l'anno 2015.

In particolare, secondo quanto sostenuto nell'ordinanza in esame, qualora il termine di fine pena risulti ancora lontano e, quindi, il percorso rieducativo del condannato sia in itinere, il Magistrato di Sorveglianza non può pronunciare la dichiarazione di abitualità nel reato in quanto, in caso contrario, si andrebbe ad imporre una misura di sicurezza - effetto fisiologico conseguente alla dichiarazione di abitualità ai sensi dell'art. 109 c.p. - senza poter accedere ad una concreta ed attuale indagine sulla pericolosità sociale del condannato; indagine che è oggi invece espressamente prescritta a seguito delle modifiche apportate alla disciplina in esame dall'art. 31 della legge n. 663 del 1986 (c.d. legge Gozzini), il quale ha abrogato l'art. 204 c.p. eliminando dal Codice penale le vecchie presunzioni di pericolosità sociale. Inoltre, aggiunge il Giudice, una pronuncia del Magistrato di Sorveglianza che dichiarasse l'abitualità nel reato di un condannato nel corso della fase espiativa della pena, quando essa sia lontana dalla sua estinzione, risulterebbe essere contraria ai principi di economia processuale, dato che l'autorità giudiziaria sarebbe in questo caso chiamata a pronunciarsi due volte, sia al momento della richiesta della dichiarazione da parte del Pubblico Ministero, sia a fine pena, per verificare, ex art. 679 c.p.p., la sussistenza dei presupposti di legge  necessari per l'applicazione della misura di sicurezza ovvero l'effettiva pericolosità sociale del prevenuto.

2. La decisione in commento scaturisce dalla richiesta del Pubblico Ministero di emettere la dichiarazione di abitualità nel reato nei confronti di un soggetto, condannato alla pena di quattro anni e quattro mesi di reclusione, il quale in passato era già stato raggiunto da diverse sentenze di condanna ed aveva pertanto scontato altri periodi di detenzione, seppur non continuativi. A fondamento della sua richiesta, il Sostituto Procuratore della Repubblica sostiene che la dichiarazione ai sensi degli artt. 102 e 103 c.p. abbia mero effetto dichiarativo, nonché effetti penali propri e distinti rispetto all'applicazione della misura di sicurezza - la quale avrebbe, invece, carattere costitutivo -, e che, pertanto, essa possa essere emessa nonostante il termine di espiazione finale della pena sia lontano nel tempo.

3. Il Magistrato di Sorveglianza, tuttavia, ritiene non condivisibili le argomentazioni del Pubblico Ministero, basando, all'opposto, il proprio convincimento sulla ratio sottostante il ruolo - così come ridefinito a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 663 del 1986 - da assegnarsi alla Magistratura di Sorveglianza nel dichiarare l'abitualità nel reato ex art. 679, comma 1, c.p.p., ovvero nel revocare tale dichiarazione ex art. 69, comma 4, ord. penit., e, più in generale, nell'applicare gli istituti che la legge n. 354 del 1975 (Ordinamento Penitenziario) e alcune disposizioni del Codice di rito (artt. 677-684 c.p.p.) attribuiscono alla sua competenza ratione materiae.

Le norme che permeano il diritto penitenziario, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, infatti, escludono ogni automatismo o valutazione presuntiva in malam partem, e richiedono necessariamente che l'adozione di qualsiasi provvedimento nei confronti di un soggetto condannato sia subordinata alla verifica in concreto della sussistenza dei presupposti di legge che ne legittimano l'emanazione. In questo senso, l'attività del Magistrato di Sorveglianza è più rivolta al futuro rispetto che al passato, dovendo egli sempre  valutare l'evoluzione della personalità del soggetto ai fini della sua rieducazione, ex art. 27, comma 3, Cost., senza rimanere ancorato soltanto, nelle sue statuizioni, alla quantità o gravità dei reati antecedentemente commessi.

Del resto, chiarisce il Giudice nelle motivazioni della sua ordinanza, è proprio all'interno del quadro complessivo, così come appena delineato, dell'attività del Magistrato di Sorveglianza che è stata inserita, dal legislatore della legge Gozzini, la sua competenza a revocare, ai sensi dell'art. 69, comma 4, ord. penit., la dichiarazione di abitualità nel reato, dal momento che il Giudice di Sorveglianza può operare un tale giudizio solo con una valutazione ancorata all'attualità dello status detentionis e all'evoluzione psicologica del condannato. Conseguentemente, risulterebbe senza alcun dubbio contraria alle summenzionate finalità rieducative una dichiarazione di abitualità nel reato, disposta dal Magistrato di Sorveglianza, nei confronti di un soggetto che, da poco raggiunto da un ordine esecutivo della pena - anche qualora, come nel caso di specie, non si trattasse di prima condanna -, sia in procinto di intraprendere un percorso riabilitativo e di recupero dalla tossicodipendenza, oltretutto presso una struttura, la Casa di Reclusione di Milano Bollate, particolarmente attenta alle esigenze di recupero e alle risorse professionali dei condannati detenuti.

4. Pertanto il Magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Milano, nella parte motiva dell'ordinanza in esame, prudentemente - a parere di chi scrive - ritiene che risulterebbe illogico nonché contrario ai principi di economia processuale - oltre a quelli rieducativi appena menzionati - chiamare il Magistrato di Sorveglianza a pronunciarsi in merito alla dichiarazione di abitualità nel reato nel pieno del momento espiativo della condanna, laddove la legge (artt. 679, comma 1, c.p.p. e 69, comma 4, ord. penit.) prevede che, una volta estinta la pena, egli è comunque tenuto a verificare la pericolosità sociale del prevenuto nonché la sussistenza dei presupposti necessari perché venga applicata la misura di sicurezza ex art. 109 c.p.