ISSN 2039-1676


24 febbraio 2012 |

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha dichiarato i respingimenti collettivi verso la Libia operati nel maggio 2009 contrari agli artt. 3, 4 prot. 4 e 13 CEDU

Corte EDU, Grande Chambre, 23.2.2012, Hirsi Jamaa c. Italia

Con la sentenza che può leggersi in allegato, la Grande Chambre della Corte di Strasburgo ha deciso il ricorso per violazione degli artt. 3, 4 prot. 4 e 13 CEDU discusso all'udienza del 22 giugno 2011 (caso Hirsi e altri c. Italia) e relativo ai respingimenti collettivi verso la Libia operati dalla marina militare nella primavera del 2009.

Il ricorso era stato presentato da 11 cittadini somali e 13 cittadini eritrei, facenti parte di un gruppo di circa 200 persone che il 6 maggio 2009 erano state intercettate da alcune navi della marina militare italiana, mentre si trovavano a bordo di tre imbarcazioni in acque internazionali a 35 miglia da Lampedusa; trasferiti sulle imbarcazioni italiane, i ricorrenti erano stati ricondotti in Libia, in attuazione degli accordi bilaterali siglati da Italia e Libia nel febbraio 2009.

La Corte ha accolto tutti i motivi di ricorso avanzati, con decisione assunta all'unanimità.

Preliminarmente, la Corte ha respinto le obiezioni del Governo italiano relative alla validità delle procure fornite dai rappresentanti dei ricorrenti, affermando che né la Convenzione né il regolamento della Corte richiedono formalità particolari di redazione della procura, essendo sufficiente che essa risulti da atto scritto firmato dal ricorrente (§ 45-59).

Quanto alla questione della giurisdizione, la Corte ricorda innanzitutto il principio di diritto internazionale secondo il quale un'imbarcazione che si trova in acque internazionali è sottoposta alla giurisdizione esclusiva dello Stato cui appartiene; la Corte rigetta poi l'argomento, avanzato dal Governo italiano, secondo cui l'operazione sarebbe consistita in una mera operazione di soccorso, e ritiene invece che i ricorrenti, dal momento in cui sono stati trasportati sulle navi italiane sino a quello dello sbarco in Libia, si siano trovati sotto il controllo diretto ed esclusivo dei militari italiani, per cui i fatti avvenuti sulle navi rientrano nella giurisdizione dello Stato italiano (§ 63-82).

Venendo poi al merito dei ricorsi, la Corte ritiene sia stato violato l'art. 3 CEDU tanto perché i ricorrenti sono stati riaccompagnati in Libia, benché fosse noto che in tale Paese essi erano esposti al concreto rischio di subire trattamenti contrari alla Convenzione, in violazione dunque del principio di non-refoulement (§ 85-138); quanto perché i ricorrenti, in seguito al loro riaccompagnamento in Libia, correvano il rischio di essere rimpatriati in Somalia o in Eritrea, dove sarebbero stati con ogni probabilità sottoposti a trattamenti anch'essi contrari a quanto disposto dalla Convenzione (§ 139-158).

La Corte ritiene altresì violato l'art. 4 del protocollo n. 4 che vieta i respingimenti collettivi (della cui applicabilità anche alle ipotesi di respingimento in mare la Corte non vede ragione di dubitare), posto che i ricorrenti sono stati trasferiti in Libia senza alcuna valutazione delle peculiarità di ogni singolo caso (§ 159-186).

La Corte afferma infine la violazione dell'art. 13 in relazione all'art. 3 ed all'art. 4 prot. 4, considerato come i ricorrenti non abbiano avuto alcuna possibilità di contestare davanti ad un'autorità competente la legittimità del respingimento cui venivano sottoposti; né la facoltà di agire in sede penale nei confronti dei militari operanti sulle navi può essere considerato un rimedio effettivo, dal momento che secondo la Corte l'art. 13 richiede la disponibilità di un mezzo di ricorso che possa avere efficacia sospensiva del provvedimento contestato (§ 187-207).

In ragione di tali violazioni, la Corte ha condannato lo Stato italiano a versare ad ogni ricorrente la somma di euro 15.000 a titolo di risarcimento del danno morale.

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Rinviando ad altra sede per un commento della sentenza, si può qui soltanto evidenziare l'estrema importanza della decisione, che costituisce una inequivocabile censura di una modalità di gestione del fenomeno migratorio che il Governo italiano dell'epoca aveva in molte occasioni rivendicato come legittima e necessaria, nonostante le critiche avanzate da parte non solo di diverse ONG, ma anche delle istituzioni europee e di organismi delle Nazioni Unite (perplessità peraltro riportate anche nella sentenza, § 33-44).

Anche sotto il profilo più squisitamente tecnico-giuridico, poi, non mancano i profili di interesse, posti in luce dalla stessa sentenza: in ordine alla questione della giurisdizione, in primo luogo, ed a quella dei respingimenti collettivi, trattandosi soltanto della seconda occasione in cui la Corte ha affermato la violazione dell'art. 4 prot. 4 (dopo il caso Conka c. Belgio del 2002), e la prima in cui oggetto di valutazione sono stati respingimenti in mare.