ISSN 2039-1676


07 maggio 2013 |

La prova dichiarativa cartolare al vaglio della Corte europea dei diritti dell'uomo

Nota a C. eur. dir. uomo, Sez. III, 5 marzo 2013, ric. n. 36605/04, Manolachi c. Romania e C. eur. dir. uomo, Sez. III, 9 aprile 2013, ric. recn. 17520/04, FlueraÅŸ c. Romania

Per leggere la sentenza della Corte EDU Manolachi c. Romania, clicca qui.

Per leggere la sentenza della Corte EDU FlueraÅŸ c. Romania, clicca qui.

 

1. Le sentenze in commento confermano la linea interpretativa già emersa nel caso Dan c. Moldavia (Corte EDU, 5 luglio 2011): la Corte europea ritiene iniquo il processo che, in secondo grado, conduce alla condanna dell'imputato attraverso la rivalutazione su base esclusivamente cartolare della testimonianza, senza passare attraverso la diretta audizione dei testi. Le pronunce riguardano infatti entrambe casi in cui la condanna del ricorrente si fondava su una diversa valutazione della attendibilità di testimonianze (già) giudicate non sufficientemente credibili dai giudici di primo grado.

Si tratta di analisi che incide in modo sensibile sulla interpretazione dell'art. 6 CEDU, destinata a creare non pochi problemi di "conformazione" nel nostro sistema.

Il diritto dell'imputato a confrontarsi con la fonte delle accuse viene "letto" come diritto a criticare il testimone d'accusa di fronte ad ogni giudice (dunque anche alle corti di secondo grado) che abbia il (pieno) potere di pronunciare una sentenza di condanna e, più in generale, come diritto ad essere giudicati sulla base di una valutazione affidabile dell'attendibilità delle dichiarazioni accusatorie. Affidabilità che si ritiene garantita solo dalla percezione diretta dell' "evento-testimonianza".

Il rispetto del principio di oralità viene richiesto ogni volta che:

- l'autorità decidente abbia pieni poteri (in fatto ed in diritto) sulla valutazione della responsabilità,

- su quella prova intenda fondare la condanna.

La particolare intensità della tutela riservata dalla Corte di Strasburgo al diritto previsto dall'art. 6 della Carta nella sua declinazione di "garanzia della affidabilità della valutazione giudiziale in ordine alla attendibilità della testimonianza" emerge con chiarezza dalla richiesta (contenuta nella pronuncia Flueras v. Romania) che tale diritto venga tutelato (anche) d'ufficio, a prescindere da eventuali richieste di parte. Tale approdo appare estremamente significativo, dato che la Corte di Strasburgo si dimostra sempre particolarmente incline a valorizzare (in senso favorevole allo Stato) i "cedimenti" di tutela dei diritti nascenti dal consenso (o semplice accettazione) dell'imputato (particolarmente chiara ad es. nel caso S.N. v Sweden, Corte EDU, 2 luglio 2002)

 

2. In sintesi, il diritto previsto dall'art. 6 CEDU diventa (anche) diritto ad una affidabile valutazione della attendibilità, che può essere garantita solo dalla valutazione diretta della testimonianza fondamentale.

Si tratta di una interpretazione che valorizza non tanto il diritto dell'imputato ad "entrare in contatto" con la fonte delle accuse (diritto che nei casi analizzati risultava essere stato esercitato di fronte ai giudici di primo grado), ma il diritto dello stesso ad una condanna basata sull'audizione diretta dei testi (fondamentali).

Sullo sfondo, emerge la valorizzazione dell' "evento testimonianza" come fatto complesso, che si compone di comunicazione verbale e extraverbale.

Un evento che - se posto alla base della condanna - deve svilupparsi di fronte al giudice, che solo così può apprezzare la credibilità del testimone, valutando nella sua interezza (e complessità extraverbale) il flusso comunicativo.

La emersione della tridimensionalità della prova dichiarativa si registra anche nel nostro sistema, dove, nell'area della testimonianza della vittima vulnerabile (più precisamente del minore) sono stati valorizzati, in modo inedito, sia la capacità inquinante delle domande suggestive, che il corrispondente aggravio dell'onere motivazionale del giudice, ogni volta che su quel dato testimoniale si intenda fondare la condanna (Cass. sez. 3, 18 gennaio 2012 n. 7373, C.E.D. Cass. n.. 252134; Cass. sez. 3, 11 maggio 2011, n. 25712 C.E.D. Cass. n.. 250615). Si tratta, anche in questo caso, di una interessante valorizzazione dell' "evento testimonianza" che si compone non solo del "risultato" dell'intervista giudiziale, ma anche delle "modalità" con cui quell'intervista è realizzata. Modalità che devono essere valutate dal giudice insieme al risultato dichiarativo, perché, se etero inducenti, possono incidere in modo sensibile sulla attendibilità. Tale valutazione per essere affidabile non può che conseguire alla diretta percezione dell'evento testimonianza o alla sua analisi indiretta, attraverso la visione delle videoregistrazioni.

 

3. La preoccupazione circa l'incidenza del filone interpretativo in esame è fondata, nella misura in cui nel nostro sistema è consentito al giudice di secondo grado rivalutare i dati testimoniali su base esclusivamente cartolare. E' altresì consentito fondare su quei dati le condanne, ribaltando eventuali pregresse pronunce assolutorie.

Non solo: nel nostro sistema non esiste un obbligo di documentazione aggravata della testimonianza assunta in sede incidentale. E' previsto infatti solo un obbligo di documentazione fonografica nel caso di incidente "speciale" assunto ai sensi dell'art. 392 comma 1 bis c.p.p.

Ancora: se nei giudizi abbreviati si apre la parentesi istruttoria attraverso la assunzione di testimonianze (ammesse su richiesta, nel caso di abbreviato condizionato, o disposte d'ufficio nei casi di esercizio dei poteri previsti dall'art. 441 comma 5 c.p.p.), non è chiaro se i giudici d'appello possano "rivalutare" quelle testimonianze senza audizione diretta, dato che è dubbio che il consenso dell'imputato (che legittima la rinuncia al diritto al contraddittorio nei casi di accesso al rito a prova contratta) "copra" anche il dato testimoniale. La prova testimoniale si forma in modo "ordinario", sicchè in modo ordinario dovrebbe essere valutata dal giudice di secondo grado, nel pieno rispetto del diritto al processo equo come interpretato dalla Corte di Strasburgo.

 

4. Quali i rimedi?

Se la declinazione del diritto al processo equo che emerge dalle pronunce in esame è il diritto ad una corretta valutazione dell'attendibilità garantita dalla analisi dell'"evento testimonianza" che emerge dalla percezione diretta (e non cartolare) del suo sviluppo, un rimedio possibile potrebbe essere l'accrescimento delle forme di documentazione aggravata disponendo la videoregistrazione (si direbbe, anche nel corso delle udienze dibattimentali).

Allo stato non deve essere dimenticato che le censure della Corte sono limitate ai casi in cui il ribaltamento della valutazione sulla attendibilità concerne testimonianze fondamentali per la decisione. Non si estende dunque alle testimonianze di contorno, o a quelle che compongono un quadro indiziario che resta univoco anche senza la testimonianza "critica".