ISSN 2039-1676


12 febbraio 2014 |

Sezioni unite: le "dichiarazioni spontanee" con contestazione dell'addebito interrompono il corso della prescrizione.

Cass., Sez. un., 28 novembre 2013 (dep. 6 febbraio 2014), n. 5838/14, Pres. Santacroce, Rel. Bruno, Ric. Citarella e altri

1. Come già comunicato all'epoca dell'udienza in cui la decisione avrebbe dovuto essere assunta, le Sezioni unite non hanno avuto occasione di pronunciarsi su una questione controversa di grande importanza pratica e di rilevante interesse teorico, che pure era stata loro rimessa.

Si trattava di stabilire se la richiesta di applicazione di pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen.,  che sia formulata per un reato già prescritto, possa valere come atto di rinuncia alla prescrizione.

Il problema non si pone per domande antecedenti all'estinzione, poiché si ritiene, com'è noto, che la prescrizione sia rinunciabile solo dopo la maturazione del termine relativo. Ma quando invece la richiesta è successiva, si deve appunto stabilire se la stessa si atteggi a rinuncia, con l'ovvia conseguenza della piena legittimità (ed anzi, a ben guardare, della doverosità)  della sentenza che applichi la pena invece che rilevare l'improcedibilità dell'azione.

Il panorama delle soluzioni giurisprudenziali è particolarmente complesso, ed è rimasto inalterato. Può quindi rinviarsi alla ricostruzione già operata in sede di commento all'ordinanza che aveva rimesso la questione alle Sezioni unite (Cass., Sez. Fer., ord. 6 agosto 2013, n. 34283, in questa Rivista con commento di G. Leo, Le Sezioni unite chiamate a pronunciarsi sulla sorte della sentenza di patteggiamento deliberata per reati già prescritti).

Le cose sono rimaste in effetti allo stesso punto. Le Sezioni unite, all'esito di una complessa e laboriosa verifica, hanno constatato che in realtà, nei casi di specie,  la prescrizione non era ancora maturata al momento di formulazione della domanda di patteggiamento, ed hanno quindi accantonato il problema.

 

2. L'irrilevanza del quesito è dipesa anche dall'identificazione, in alcuni dei casi di specie, di eventi interruttivi del corso della prescrizione.

Si trattava di dichiarazioni rese a seguito di «presentazione spontanea», a norma del comma 1 dell'art. 374 cod. proc. pen. Le Sezioni unite hanno avuto dunque occasione di ribadire ed autorevolmente avallare una soluzione che già si era episodicamente proposta nella giurisprudenza di legittimità: le cd. «dichiarazioni spontanee», alle condizioni che subito saranno precisate, esplicano un effetto interruttivo della prescrizione, secondo quanto stabilito al secondo comma dell'art. 160 cod. pen. per l'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice.

Non si tratta - precisa la Corte - di una inammissibile operazione di estensione analogica in malam partem, perche è la legge a stabilire che l'atto contenente le dichiarazioni spontanee, quando di fatto assume la struttura essenziale dell'interrogatorio innanzi al magistrato, «equivale per ogni effetto all'interrogatorio» medesimo (comma 2 dell'art. 374 cod. proc. pen.).

Occorre appunto, e per altro, che nel corso dell'adempimento si dia luogo ai fatti che tipicamente manifestano la volontà del potere pubblico di perseguire il reato, e la possibilità per l'accusato di offrire elementi in sua difesa. Occorre, dunque, che «il fatto per cui si procede [sia] contestato a chi si presenta spontaneamente», e che questi sia «ammesso a esporre le sue discolpe» (così, ancora, il citato comma 2 dell'art. 374)

Le Sezioni unite hanno precisato in particolare, richiamando in tono adesivo precedenti pronunce, come occorra che «vi sia stata una contestazione chiara e precisa del fatto addebitato», mentre non avrebbe rilievo un atto risoltosi nel mero recepimento delle allegazioni difensive dell'interessato. Per altro, l'adeguatezza della contestazione non deve essere misurata solo in base alla rappresentazione di un formale capo d'accusa, dovendosi tener conto anche della enunciazione dei fatti che interviene nel corso della escussione, così da determinare per l'accusato «piena contezza» degli addebiti, «nella loro specificità».