ISSN 2039-1676


19 febbraio 2018 |

Nuove risposte della giurisprudenza di merito sulla rinnovazione "obbligatoria" dell'istruzione in appello

Corte App. Palermo, ord. 8 febbraio 2018, Pres. Piras, Giudd. Corleo e Gamberini, Imp. Mannino

Contributo pubblicato nel Fascicolo 2/2018

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1. Pubblichiamo con immediatezza, e con riserva di riprendere il tema mediante un commento approfondito, l’ordinanza che la Corte d’appello di Palermo ha reso in uno dei procedimenti riguardanti la cd. “trattativa Stato–mafia”, e segnatamente quello a carico di Calogero Mannino. L’imputato, giudicato mediante rito abbreviato, è stato prosciolto all’esito del processo di primo grado, ma la relativa sentenza è stata impugnata, di talché si sta svolgendo, appunto, un rito abbreviato d’appello innanzi alla Corte palermitana.

Nelle more del giudizio è sopravvenuta la promulgazione della legge n. 103 del 2017 (cd. “riforma Orlando”), con la quale, tra l’altro, è stato introdotto un comma 3-bis nel corpo dell’art. 603 c.p.p.: in un campo già abbondantemente arato dalla giurisprudenza, il legislatore ha testualmente disposto che «Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale».

La difesa delle parti civili appellanti, costituite nel giudizio contro Calogero Mannino, ha sollecitato l’assunzione di una serie di prove integrative.

Dal canto proprio il rappresentante del pubblico ministero, pur non mancando di sollecitare l’acquisizione di prove documentali ed eventualmente d’una prova dichiarativa (non assunta in primo grado), ha prospettato una serie di questioni e soluzioni interpretative che, in sostanza, avrebbero dovuto condurre la Corte a negare l’integrazione della base cognitiva. Su posizioni per molti versi analoghe si è schierata, non imprevedibilmente, la difesa dell’imputato.

La Corte ha respinto le tesi contrarie alla rinnovazione dell’istruzione, negando alle parti interessate anche l’accesso, richiesto in via subordinata, alla giurisdizione costituzionale, per la presunta illegittimità della nuova disciplina. Conseguentemente, la Corte ha disposto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, stabilendo l’assunzione di sei prove dichiarative.

 

2. In primo luogo, il Procuratore generale ha sostenuto che la disciplina dell’art. 603 c.p.p. non sarebbe applicabile ai giudizi condotti mediante rito abbreviato, riprendendo vecchie tesi secondo le quali, non essendovi nel procedimento speciale di primo grado una “istruttoria dibattimentale”, neppure sarebbe concepibile una “rinnovazione” di quella istruttoria nella fase di appello. Qualunque fosse il fondamento della tesi, la soluzione opposta si è affermata fin dai primi anni di applicazione del codice vigente, ed è stata ribadita dalle Sezioni unite proprio nell’ambito del recente dibattito sui presupposti per il ribaltamento del deliberato assolutorio di primo grado, con specifico riguardo al giudizio abbreviato (Sez. un., 19 gennaio 2017, n. 18620, Patalano, C.E.D. Cass., n. 269785-786). Nel provvedimento che pubblichiamo, la Corte palermitana ha svolto un’accurata disamina della giurisprudenza formatasi sul punto, ponendo in evidenza come la novella dell’estate scorsa non eserciti alcuna influenza sull’orientamento consolidato, che ammette l’integrazione probatoria nel giudizio abbreviato d’appello.

 

3. Come accennato, secondo la pubblica accusa, ove la Corte avesse ritenuto applicabile la nuova disciplina al rito abbreviato, avrebbero dovuto essere sollevate varie questioni di legittimità costituzionale.

In estrema sintesi, il nuovo comma 3-bis dell’art. 603 contrasterebbe con il secondo comma dell’art. 111 Cost., implicando una sostanziale violazione del principio di ragionevole durata del processo; con il terzo comma dell’art. 81 Cost., poiché la legge non avrebbe previsto le coperture finanziarie indispensabili a sostenere i costi aggiuntivi implicati dalla regola di necessaria rinnovazione dell’istruzione dibattimentale; con l’art. 24 Cost, poiché la disciplina esporrebbe ad un mutamento della base cognitiva, potenzialmente sfavorevole, l’imputato che pure avrebbe richiesto ed ottenuto di essere giudicato sullo stato degli atti; con il primo comma dell’art. 111 Cost., perché la riserva di legge in materia di processo penale imporrebbe che la legge stessa dettasse soluzioni ragionevoli e sistematicamente compatibili.

Quanto alla difesa dell’imputato, nel rinviare alla corposa ordinanza della Corte per una migliore descrizione, può dirsi che ha inteso negare la ricorrenza nella specie delle condizioni che, secondo la giurisprudenza sovranazionale e nazionale, imporrebbero la rinnovazione dell’istruzione, argomentando sia sull’incidenza delle prove dichiarative richieste nell’economia della sentenza e l’atto di impugnazione, sia sulla funzionalità dell’istituto nell’ottica esclusiva del ragionevole dubbio (dunque, in sostanza, la rinnovazione sarebbe strumento per il ribaltamento della sentenza di condanna, e mai per il suo contrario).

Anche la difesa, comunque, ha inteso subordinatamente prospettare una questione di legittimità costituzionale della nuova norma, per contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, Cost., nella parte in cui non esclude i giudizi abbreviati dalla regola della necessaria rinnovazione.

 

4. Anche sulle questioni di compatibilità costituzionale della novella la Corte palermitana si è diffusa con ricchezza di argomentazione, pervenendo per tutte ad un giudizio di manifesta infondatezza.

In sintesi, la rinnovazione della istruttoria nel giudizio d’appello contro la sentenza assolutoria sarebbe giustificata proprio dal rafforzamento della presunzione di innocenza connesso al deliberato del primo giudice, e costituirebbe attuazione dei principi del giusto processo, valendo a prevenire una decisione di condanna assunta su basi cognitive inadeguate. Di fronte all’interesse generale all’accertamento dei fatti, ed a quello particolare segnato dal giusto processo come garanzia dell’individuo, la scelta dell’imputato per il rito abbreviato sarebbe “recessiva”. D’altra parte – ha proseguito la Corte – è stato da tempo chiarito che, con l’accesso al rito abbreviato, l’imputato non conquista un diritto al blocco degli atti, tanto è vero che, con le riforme del 1999, una integrazione officiosa della prova è stata introdotta anche per il giudizio di primo grado.

Rilievi specifici sono dedicati, nell’ordinanza, anche alle questioni concernenti il principio di durata ragionevole del processo, la riserva di legge in materia di processo penale e la copertura finanziaria delle leggi di riforma.

 

5. La Corte palermitana, naturalmente, ha trattato anche il tema dei presupposti e dei limiti alla luce dei quali il giudice d’appello è chiamato, secondo la novella, a disporre l’assunzione della prova dichiarativa.

L’obbligatorietà della rinnovazione è pur sempre «correlata ai motivi attinenti alla valutazione» della predetta prova: dunque si ritiene che «non tutte le prove dichiarative debbano essere rinnovate ma solo quelle la cui valutazione effettuata dal primo Giudice sia contestata nell'atto di appello e che assuma la qualità di "prova decisiva", ossia di prova la cui valutazione abbia condotto il primo Giudicante alla pronuncia assolutoria e che, nella logica dell'impugnante, risulti decisiva per il ribaltamento della pronuncia assolutoria».