ISSN 2039-1676


15 aprile 2019 |

Morte per 'effetto domino' innescato dall’utilizzo di spray urticante: configurabile l’omicidio preterintenzionale c.d. aberrante? La Cassazione sui fatti di Piazza San Carlo a Torino

Cass., Sez. V, 11 dicembre 2018 (dep. 26 marzo 2019), n. 13192, Pres. Settembre, Est. Fidanzia

 

1. Con la sentenza in esame, resa in sede di giudizio cautelare, la Cassazione interviene sui confini applicativi tra il delitto di omicidio preterintenzionale, in combinato con l’istituto dell’aberratio ictus plurilesiva, e l’ipotesi di morte come conseguenza di altro delitto di cui all’art. 586 c.p. Si tratta di una pronuncia che, ferma restando la provvisorietà delle relative statuizioni (in ragione della fase procedimentale in cui si colloca), presenta interessanti spunti di riflessione sul versante sistematico e dei principi generali.

La vicenda, tristemente nota alle cronache, risale al 3 giugno 2017, quando, durante la proiezione della partita di calcio Juventus-Real Madrid in piazza San Carlo a Torino, un uomo spruzzò spray urticante all’indirizzo di alcuni spettatori con il proposito di compiere rapine insieme ai suoi complici, provocando così – secondo la ricostruzione accusatoria per ora accolta in sede cautelare – una fuga scomposta della folla durante la quale fu travolta ed uccisa una giovane donna.

Adita dall’indagato – con ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame che aveva confermato nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere – la Cassazione ha da un lato dichiarato inammissibili le censure tese a rimettere in discussione questioni sulle quali si era formato il giudicato cautelare; dall’altro lato, ha respinto le censure tese a contestare la qualificazione delle condotte a titolo di omicidio preterintenzionale, così confermando l’impianto accusatorio.

 

2. Quanto alla dinamica dei fatti, la pronuncia richiama sinteticamente le statuizioni del riesame, che aveva individuato nell’erogazione dello spray per mano dell’indagato l’unico fattore scatenante del tumulto dal quale era successivamente derivata, all’esito di un tragico “effetto domino”, la morte della vittima: gli spettatori direttamente investiti dallo spruzzo urticante, colti dal panico, si erano improvvisamente allontanati a raggera, diffondendo anche tra gli altri presenti il timore di doversi mettere al riparo da una minaccia imminente e sconosciuta; ne erano derivati, senza soluzione di continuità, movimenti tumultuosi della folla, per effetto dei quali, in un punto diverso della piazza e dopo alcuni minuti, la vittima era stata travolta ed uccisa.

 

3. Come anticipato, il cuore del dictum riguarda il problema della qualificazione dei fatti in questione a titolo, alternativamente, di “morte come conseguenza di altro delitto” ex art. 586 c.p. (opzione inizialmente seguita dal GIP di Torino) ovvero di omicidio preterintenzionale (opzione preferita dal Tribunale del riesame ed ora confermata dalla Cassazione).

Anzitutto il collegio di legittimità ricorda, richiamando la propria giurisprudenza, che «il delitto previsto dall’art. 586 cod. pen. […] si differenzia dall’omicidio preterintenzionale perché […] l’attività del colpevole è diretta a realizzare un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni personali […]»; in sostanza, soggiunge la Corte, «nel delitto di cui all’art. 586 cod. pen. l’agente vuole ledere un bene giuridico che non appartiene, come nel delitto preterintenzionale, allo stesso genere di interessi giuridici tutelati (incolumità, vita) che si distinguono, come tali, solo per la gravità, per la progressione dell’offesa».

Da questa premessa discende, quale passaggio logico ulteriore, che «allorquando viene commessa una rapina, che abbia come sviluppo non voluto la morte di una persona, viene senz’altro integrato il presupposto del delitto di cui all’art. 584 c.p., ponendosi l’evento morte in progressione criminosa con la violenza esercitata per impossessarsi del bene altrui». In altre parole, la violenza integrante la condotta tipica di rapina può costituire allo stesso tempo la condotta tipica dell’omicidio preterintenzionale, in quanto si estrinseca in un “atto diretto a commettere il delitto di lesioni o percosse” (con assorbimento soltanto di quest’ultimo nell’art. 628 c.p., giusta la clausola ex art. 581 co. 2 c.p.).

Volgendo lo sguardo al caso di specie, la Corte osserva che la condotta consistita nell’impiego della bomboletta spray rientra non solo nella nozione di violenza (quest’ultima dovendosi considerare come «ogni energia fisica adoperata dall’agente verso la persona offesa al fine di annullarne o limitarne la capacità di autodeterminazione»), ma anche in quella di lesioni personali, avendo determinato «alterazioni funzionali dell’organismo», quali «bruciori in gola, fenomeni di difficoltà di respirazione, di lacrimazione e tosse».

 

4. Sempre con riferimento al caso di specie, la pronuncia osserva che l’evento letale non ha riguardato il soggetto che l’indagato intendeva ledere (ossia le persone investite dallo spruzzo urticante), bensì un soggetto diverso, rimasto travolto per effetto della concatenazione causale innescata dall’indagato stesso. Ciò tuttavia non osta, ad avviso della Corte, all’inquadramento delle condotte nella  fattispecie ex art. 584 c.p., laddove quest’ultima venga applicata «in sinergia con l’istituto della aberratio ictus plurilesiva, previsto all’art. 82 comma 2 cod. pen., che ricorre allorquando, oltre alla persona alla quale l’offesa sia diretta, viene offesa persona diversa». Infatti, prosegue la Corte, l’istituto dell’aberratio è applicabile quando l’offesa a persona diversa è cagionata o “per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato” oppure “per un’altra causa”: è ed proprio quest’ultima l’ipotesi ricorrente nel caso di specie, l’altra causa dovendosi individuare nella «reazione di panico» eziologicamente riconducibile alla condotta dell’indagato. A questo riguardo la sentenza si premura di richiamare il proprio consolidato orientamento secondo il quale, ai fini della sussistenza dell’omicidio preterintenzionale, non occorre che la morte sia stata immediatamente causata dalle condotte di percosse o lesioni, ben potendo sopraggiungere successivamente, purché – appunto – risulti eziologicamente correlata alla causa iniziale posta in essere dall’agente (viene citato, a tale proposito, il caso deciso dalla sent. n. 41017 del 2012, Rv. 253744: la vittima, sottoposta a percosse, era deceduta precipitando dal parapetto che aveva tentato di scavalcare per sfuggire agli aggressori).

Infine, la Corte esclude, alla luce delle risultanze di fatto coperte dal giudicato cautelare, che l’evento letale possa essere ricondotto a cause sopravvenute da sole in grado di cagionarlo, non essendosi frapposto alcun decorso causale interruttivo tra la condotta del ricorrente (e dei suoi complici) e la serie causale sfociata nella morte.

 

* * *

 

5. Trovandosi il caso in esame in uno stadio procedimentale relativamente precoce, un commento approfondito sulle statuizioni appena illustrate risulterebbe forse prematuro. Ci limiteremo, pertanto, ad alcune brevi osservazioni di carattere generale.

Viene in rilievo, anzitutto, il problema della configurabilità del c.d. omicidio preterintenzionale aberrante.

La Corte dà per scontata la soluzione affermativa, ritenendo compatibili l’omicidio preterintenzionale e la disciplina dell’istituto dell’aberratio ictus. Trattasi, in effetti, dell’orientamento dominante in giurisprudenza[1] e seguito da una parte della dottrina[2]. L’idea di fondo, ancorché espressa con sfumature non sempre coincidenti, può essere così riassunta: da un lato, la disciplina dell’aberratio ictus consente di traslare il dolo di percosse o lesioni, in realtà rivolto verso la sola vittima designata, sull’offesa arrecata all’integrità fisica del soggetto terzo; dall’altro lato, laddove questa seconda offesa sia stata condicio sine qua non della morte del terzo, trova naturale applicazione l’ordinario meccanismo di imputazione ex art. 584 c.p.

Sussistono tuttavia validi argomenti per giungere a conclusioni di segno opposto, discendenti in particolare dalla struttura tipica dell’omicidio preterintenzionale e dalla funzione politico-criminale che tale fattispecie delittuosa persegue. Giova ricordare, a tale riguardo, che l’entità della pena edittale di cui all’art. 584 c.p., maggiore di quella che deriverebbe dal sommarsi delle sanzioni previste per la fattispecie dolosa base (percosse o lesioni) e l’omicidio colposo, si giustifica proprio (e solo) in considerazione della ritenuta necessità di una più marcata risposta sanzionatoria nei confronti di colui che, aggredendo intenzionalmente l’integrità fisica di taluno, inneschi un decorso causale idoneo a cagionarne la morte.

Tale premessa risulta logicamente incompatibile con la teoria della preterintenzione aberrante, che pretende di sostituire la base dolosa dell’art. 584 c.p. con una mera fictio[3]. Come è noto, infatti, l’art. 82 c.p. rappresenta una deviazione dai principi generali in materia di imputazione soggettiva, dal momento che consente di imputare a titolo di dolo un’offesa sorretta – anche abbracciando le interpretazioni più garantistiche[4] – da mera colpa. Pure ammettendo che la disciplina dell’aberratio ictus sia immune da profili di illegittimità al metro dei principi di colpevolezza e proporzionalità – circostanza sulla quale la dottrina nutre, non a torto, seri dubbi[5]non appare giustificabile avvalersi della stessa fictio per finalità ulteriormente estensive della responsabilità penale, come invece accadrebbe laddove essa venisse altresì posta alla base dell’art. 584 c.p. Si finirebbe infatti così per alterare la struttura dell’art. 584 c.p., surrogando il requisito degli atti dolosi diretti a commettere percosse o lesioni con il suo mero equivalente normativo, e dunque creando per via interpretativa un’area di rilevanza penale terza rispetto agli artt. 82 e 584 isolatamente considerati, in evidente contrasto con il principio cardine del nullum crimen.

Esclusa a nostro avviso, per le ragioni illustrate, la percorribilità della strada della preterintenzione aberrante, resta da sciogliere un nodo ulteriore. Nel passaggio finale della sentenza in esame la Cassazione afferma che l’omicidio preterintenzionale può trovare applicazione anche quando l’evento morte non sia conseguenza immediata di percosse o lesioni, purché sia comunque collegato eziologicamente agli atti diretti a commettere tali delitti. Questa affermazione, a ben vedere, potrebbe suggerire che i fatti in questione possano essere qualificati a titolo di omicidio preterintenzionale anche senza necessità di invocare l’art. 82 c.p., sulla sola base del principio di equivalenza causale: l’agente, infatti, con gli atti diretti a commettere lesioni (erogazione dello spray urticante) ha innescato una serie causale che ha cagionato la morte di un uomo.

Sebbene apparentemente lineare, anche questo percorso argomentativo ci sembra fallace. È vero che l’art. 584 c.p. non richiede espressamente l’identità tra il destinatario della condotta dolosa base e la persona deceduta; nondimeno, è da ritenersi che tale requisito sia implicitamente racchiuso nella fattispecie[6]: la ragione di tale conclusione è da rinvenirsi, ancora, nella specialità della disciplina in questione, sotto il profilo della severità del trattamento sanzionatorio, da cui discende la necessità di ricostruire il relativo ambito di applicazione in senso restrittivo, incentrandolo non solo sull’omogeneità dei beni giuridici coinvolti (la quale in astratto sussiste anche quando si cagioni la morte di persona diversa da quella aggredita), bensì anche sull’idea di progressione o approfondimento dell’offesa, che da un’aggressione all’integrità fisica evolve senza soluzione di continuità in una lesione del bene vita[7].

Anche sotto il profilo letterale, del resto, il requisito che la morte sia derivata dagli atti “diretti” a commettere percosse o lesioni limita lo spettro applicativo della norma alle conseguenze letali riguardanti la vittima originariamente designata (verso la quale soltanto, appunto, gli atti erano “diretti” in senso stretto). Diversamente opinando, infatti, si perverrebbe ad esiti decisionali evidentemente discutibili. Si pensi al risalente caso della culla[8]: Tizio, durante un diverbio, scagliava una culla contro Caio, non sapendo che nella stessa dormiva una bambina di pochi mesi, la quale decedeva per effetto dei traumi riportati. La condanna inflitta a Tizio per omicidio preterintenzionale appare ictu oculi una forzatura del dettato normativo dell’art. 584 c.p., accompagnata da un travisamento dei suoi rapporti con l’ipotesi presa in considerazione dall’art. 586 c.p. (norma quest’ultima all’evidenza applicabile in un caso siffatto). Il richiamo al principio di equivalenza causale risulta, in definitiva, fuorviante: l’omicidio preterintenzionale deve infatti considerarsi fattispecie a forma vincolata, attraverso la quale il legislatore non incrimina la causazione del risultato finale in qualunque modo (come invece accade nell’omicidio tout court), bensì attraverso le modalità tipizzate dalla fattispecie base[9], che per l’appunto consiste nella realizzazione di percosse e lesioni all’indirizzo di una vittima designata.

Alla luce di quanto illustrato, a nostro avviso appare allora più corretto inquadrare il caso in cui la morte riguardi una persona diversa dal destinatario degli atti diretti a ledere o percuotere nel più favorevole regime dell’aberratio delicti, e segnatamente nell’ambito della disciplina speciale di cui all’art. 586 c.p. (norma che, giova sottolineare, non costituisce un reato autonomo, bensì appunto un’ipotesi speciale di concorso formale di reati)[10]. Corretta, in tale prospettiva, appare una risalente pronuncia di merito che ha ravvisato la morte in conseguenza del delitto di percosse (e non l’omicidio preterintenzionale) in un caso in cui l’aggressione di Tizio ai danni di Caio aveva provocato un turbamento psichico allo spettatore Sempronio, il quale, essendo affetto da disturbi cardiocircolatori, era deceduto per insufficienza cardiaca[11].

 

6. Anche laddove si optasse per la più severa disciplina di cui all’art. 584 c.p., occorrerà comunque accertare, nel giudizio di merito sui fatti in questione, la prevedibilità in concreto dell’evento morte:  ossia la riconoscibilità ex ante, alla luce di tutte le circostanze di specie, del rischio che l’utilizzo dello spray determinasse movimenti tumultuosi della folla tali da cagionare la morte di taluno.

Il richiamo alla necessità di tale accertamento non appare superfluo. Nell’attuale panorama giurisprudenziale, infatti, mentre la prevedibilità in concreto dell’evento letale viene di regola accertata con riferimento all’ipotesi di “morte come conseguenza di altro delitto” (sulla scorta della lettura costituzionalmente orientata accolta dalle Sezioni Unite nel 2009[12]), tuttora si registra una certa refrattarietà rispetto all’estensione di analoga esegesi all’omicidio preterintenzionale[13]. Tale diverso atteggiamento è dovuto alla peculiare struttura di cui all’art. 584 c.p., dove l’omogeneità tra l’aggressione dolosamente posta in essere e l’offesa effettivamente cagionata finisce per alimentare l’idea di una prevedibilità in re ipsa del risultato lesivo. Pur non essendo questa la sede per affrontare funditus la problematica in questione, giova ricordare che siffatto diffuso orientamento della prassi si pone in frontale contrasto con la consolidata giurisprudenza costituzionale sul principio di colpevolezza, la quale prescrive che ogni elemento essenziale del reato – incluso dunque l’evento lesivo – sia collegato all’agente almeno da un coefficiente colposo[14]; un coefficiente non surrogabile con considerazioni mutuate dall’id quod plerumque accidit, per definizione sganciate da valutazioni effettuate caso per caso ed ispirate alla logica del versari in re illicita[15].

Anche nell’omicidio preterintenzionale, in conclusione, l’imputazione soggettiva dell’evento non potrà che essere basata sul criterio del dolo misto a colpa, intendendosi quest’ultima come colpa generica, ossia prevedibilità in concreto dell’evento lesivo[16], strutturalmente compatibile con il contesto delle attività illecite[17].

 

 


[1] Tra i casi in termini, invero non frequentissimi, possono ricordarsi, in ordine cronologico dal più recente, i seguenti: Tizio spara alcuni colpi all’indirizzo di Caio, allo scopo di fermarne la fuga, ma attinge per errore di  mira un’altra persona (Cass. 6.7.2006, n. 1796, in Dir. pen. proc., 2007, 762 con nota adesiva di Arrigoni F., L’offesa a persona diversa dalla vittima designata può integrare l’omicidio preterintenzionale); Tizio colpisce Caio con il calcio di una pistola, lasciando tuttavia partire accidentalmente un proiettile che cagiona al contempo la morte di Sempronio (28.5.1990, n. 12330, Moschetti, Rv. 185288, in Giust. pen., 1991, II, 555); Tizio esplode un colpo di pistola all’indirizzo di Caio, ferendolo, ma il proiettile colpisce anche Sempronio (per rimbalzo o altra causa), uccidendolo (Cass. 14.11.1999, n. 2183, Vito, Rv. 215478, in Cass. pen., 2001, 2371 ss., con nota critica di Brunelli D., Omicidio preterintenzionale aberrante: un disinvolto impiego delle finzioni normative di dolo da parte della Cassazione; Cass. 13.1.1988, n. 7736, Romano, Rv. 178778; Cass. 19.6.1975, n. 854, Papararo, Rv. 89008, Foro it., 1976, II, 41); Tizio, durante un diverbio, scaglia una culla contro Caio, non sapendo che nella stessa dorme una bambina di pochi mesi, la quale muore per effetto dei traumi riportati (Ass. Napoli, 29.9.1952, Russo, in Giust. pen., 1953, II, c. 743).

[2] Pisa P., Giurisprudenza commentata di diritto penale, vol. I, Delitti contro la persona e contro il patrimonio, IV ed., CEDAM, 2006, p. 178; Arrigoni F., L’offesa a persona diversa dalla vittima designata può integrare l’omicidio preterintenzionale, cit. Si limitano a riportare, ancorché adesivamente, la soluzione maggioritaria in giurisprudenza: Romano M., Commentario sistematico del codice penale, vol. I, III ed., Giuffrè, 2004, p. 780; Mantovani F., Diritto penale, X ed., CEDAM-Wolters Kluwer, 2017, p. 382, nt. n. 105.

[3] In questo senso, con varietà di argomenti, Brunelli D., Omicidio preterintenzionale aberrante, cit., 2374-2376; De Francesco G., Aberratio, Giappichelli, 1998, 156-157.

[4] Cfr. Marinucci G., Dolcini E., Gatta G.L., Manuale di diritto penale. Parte Generale, VII ed., Giuffrè, 2018, p. 401; Pulitanò D., Diritto penale, VII ed., Giappichelli, 2017, p. 333.

[5] V. ancora, ex multis, Marinucci G., Dolcini E., Gatta G.L., Manuale di diritto penale, cit., 408-409, che evidenziano come, all’esito dell’interpretazione conforme a Costituzione, resti comunque il problema dell’applicazione ad un fatto colposo della pena prevista per la corrispondente ipotesi dolosa.

[6] De Francesco G., Aberratio, cit., p. 156.

[7] L’idea di fondo è che è stato attivato, con la condotta base, un certo tipo di rischio, suscettibile di degenerare verso esiti più gravi ed eventualmente letali: cfr. Palazzo, Corso di diritto penale, cit., p. 347; Canestrari S., Preterintenzione, in Diz. Dir. Pubb., vol. V., 2006, p. 4485, secondo cui, nel delitto preterintenzionale «il delitto doloso di base ha la funzione di tipizzare una situazione di rischio in cui sia oggettivamente prevedibile l’esito ulteriore». Sui rapporti tra aberratio e teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento, v. Donini M., voce Imputazione oggettiva dell’evento (diritto penale), in Enc. Dir., Annali, III, Giuffrè, 2010, 698-699.

[8] Ass. Napoli, 29.9.1952, Russo, in Giust. pen., 1953, II, c. 743.

[9] Sostanzialmente in questo senso, Brunelli D., Omicidio preterintenzionale aberrante, cit., p. 2379.

[10] Cfr. Basile F., La colpa in attività illecita, Giuffrè, 2005, p. 32-38; nella manualistica,  Mantovani F., Diritto penale, cit., p. 384; Fiandaca G., Musco E., Diritto penale. Parte generale, VIII ed., Zanichelli, 2019, p. 413.

[11] Ass. Salerno, 19 luglio 1971, Foro Nap., 1972, II, 17.

[12] Il riferimento è alla nota sentenza in tema di responsabilità dello spacciatore per morte dell’acquirente di sostanza stupefacente (Cass. pen., Sez. un., 29 maggio 2009, n. 22676, Ronci).

[13] Cfr., ex multis, Cass. pen., 8 gennaio 2016, n. 6918, Avram, Rv. 266614.

[14] Il riferimento è alle note pronunce C. Cost. nn. 364/1988, 1085/1988 e 322/2007.

[15] Per un caso nel quale l’accertamento della colpa in concreto (non effettuato dai giudici di merito) avrebbe verosimilmente portato ad escludere l’omicidio preterintenzionale, v. Ass. App. Milano, ud. 19 dicembre 2012 (dep. 5 marzo 2013), in questa Rivista, 30.5.2013, con nota critica di Aimi A., Omicidio preterintenzionale e principio di colpevolezza.

[16] Sul punto la manualistica è unanime: cfr. Mantovani F., Diritto penale, cit., p. 355; Marinucci G., Dolcini E., Gatta G.L., Manuale di diritto penale, cit., p. 399; Palazzo F., Corso di diritto penale. Parte generale, cit., p. 343, 349; Pulitanò D., Diritto penale, cit., p. 330. In tema, v. amplius Basile F., La colpa in attività illecita, cit., p. 236-241, 790. Per una diversa impostazione v. Canestrari S., Preterintenzione, cit., che scarta l’opzione della colpa generica tout court a favore, comunque, di una «colpa generica oggettivata».

[17] Sull’ammissibilità della c.d. “colpa in attività illecita”, cfr., Basile F., La colpa in attività illecita, cit., p. 243-276; per aggiornate considerazioni sul tema, v. Astorina P., L’accertamento del dolo, Giappichelli, 2018, p. 211-219. Per un caso in cui i giudici sono pervenuti alla condanna per omicidio preterintenzionale, pur nel quadro di un puntuale accertamento della prevedibilità in concreto dell’evento, v. Ass. Reggio Emilia, sent. 12 gennaio 2015, in questa Rivista, 24.12.2015, con nota adesiva di Finocchiaro S., Anche nell’omicidio preterintenzionale il criterio di imputazione dell’evento è la colpa in concreto? Una pronuncia della Corte d’Assise di Reggio Emilia.