ISSN 2039-1676


22 febbraio 2012 |

Corte cost., 16 febbraio 2012, n. 22, Pres. Quaranta, Rel. Silvestri (sui presupposti di legittimità  costituzionale del decreto-legge e della legge di conversione: illegittima la pratica dei decreti e degli emendamenti 'omnibus')

Le norme inserite in un decreto-legge devono presentare carattere di omogeneità, ed un rapporto di omogeneità; deve sussistere anche con riguardo alle disposizioni modificative o aggiuntive della legge di conversione

1. La sentenza n. 22 del 2012 merita di essere segnalata per vari motivi, attinenti, tra l'altro, alla prassi dei decreti c.d. milleproroghe, all'autonomia finanziaria delle Regioni, ai vizi sindacabili da queste ultime in sede di giudizio di legittimità costituzionale in via d'azione, al riparto di competenze in materia di protezione civile, fino ai doveri di solidarietà dello Stato nei confronti delle collettività colpite da calamità naturali. Ma la principale ragione di interesse della pronunzia in esame è certamente rappresentata dalla ricostruzione dei rapporti tra decreto-legge e legge di conversione, operata dalla Corte costituzionale.

In proposito, deve essere preliminarmente evidenziata la sostanziale linea di continuità di questa pronunzia con altre due fondamentali decisioni in materia: le sentenze n. 171 del 2007 e n. 128 del 2008, che, al momento, costituiscono i soli casi in cui il Giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di un decreto-legge per evidente carenza dei requisiti di necessità e di urgenza.

Nell'odierna occasione, la Corte doveva giudicare su alcune norme introdotte solo in sede di conversione di un decreto-legge c.d. milleproroghe.

Le norme in questione caricavano sulle spalle delle Regioni gli oneri finanziari degli interventi di protezione civile, anche quando questi ultimi fossero stati messi in atto dallo Stato. Si tratta dei casi nei quali, a seguito del verificarsi di un evento di cui alla lettera c) del comma 2 dell'art. 2 della legge n. 225 del 1992 (cioè eventi fronteggiabili solo «con mezzi e poteri straordinari»), viene dichiarato lo stato di emergenza. In prima battuta, era imposto alle Regioni di reperire nel proprio bilancio le risorse per fronteggiare l'emergenza e, solo «qualora il bilancio della regione non rechi le disponibilità finanziarie sufficienti per effettuare le spese conseguenti all'emergenza ovvero per la copertura degli oneri conseguenti alla stessa», la norma sembrava autorizzare il Presidente della Regione interessata dagli eventi (e non genericamente quest'ultima), a «deliberare aumenti, sino al limite massimo consentito dalla vigente legislazione, dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuite alla regione, nonché ad elevare ulteriormente la misura dell'imposta regionale» sulla benzina per autotrazione.

Un'altra delle norme impugnate, e dichiarate incostituzionali dalla Corte, disponeva che, qualora le misure adottate ai sensi del precedente comma non fossero state sufficienti, ovvero in tutti gli altri casi di eventi di rilevanza nazionale, avrebbe potuto essere disposto l'utilizzo delle risorse del Fondo nazionale di protezione civile.

In altre parole, quest'ultima norma subordinava l'accesso al Fondo appena citato alle seguenti condizioni, alternative fra loro: a) le misure adottate dalla Regione interessata (sotto forma di tagli alle spese e di aumenti dei tributi) non erano sufficienti a fronteggiare l'emergenza; b) si trattava di eventi, sempre riconducibili alla lettera c del primo comma dell'art. 2 della legge n. 225 del 1992, ma «di rilevanza nazionale».

In sostanza, era individuata - all'interno della categoria degli eventi per i quali è dichiarato lo stato di emergenza - una sottocategoria di eventi di «rilevanza nazionale», rispetto ai quali poteva essere disposto l'utilizzo del Fondo nazionale anche quando le risorse disponibili della Regione non fossero state insufficienti o non fossero stati deliberati gli aumenti di cui al comma precedente.

In definitiva, le norme in parola non "facoltizzavano" affatto il Presidente della Regione interessata a deliberare gli aumenti ivi previsti ma ponevano un onere a suo carico. Infatti, se la Regione in questione avesse voluto accedere al Fondo nazionale di protezione civile sarebbe stata obbligata a tagliare le proprie spese e, in subordine, a deliberare gli aumenti dei tributi sopra indicati; solo dopo la constatazione della insufficienza delle risorse così reperite, la Regione avrebbe potuto utilizzare il suddetto Fondo.

 

2. Com'è evidente dalla descrizione del contenuto delle disposizioni censurate, la sentenza in esame incide su punti nevralgici dell'autonomia finanziaria delle Regioni, che però in questa sede non possono essere esaminati e per i quali si rinvia al commento di M. Massa, Omogeneo il decreto-legge, omogenea la legge di conversione, in www.dirittiregionali.org.

In queste brevi note ci si soffermerà piuttosto sulla parte della motivazione che riguarda i rapporti tra decreto e legge di conversione. Al riguardo, il percorso logico seguito dalla Corte consta di quattro passaggi argomentativi:

a) innanzitutto, viene dimostrata l'eterogeneità delle norme impugnate, inserite in sede di conversione, rispetto al contenuto originario del decreto-legge (punto 3.2 del cons. dir.);

b) in secondo luogo, la Corte rinviene nell'art. 77, secondo comma, Cost., il fondamento costituzionale del requisito dell'omogeneità del decreto-legge (espressamente enunciato solo nell'art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988) (punti 3.3 e 3.4 del cons. dir.);

c) dalla necessaria omogeneità del decreto-legge viene dedotta la necessaria omogeneità della legge di conversione, anch'essa imposta dall'art. 77, secondo comma, Cost. (punti 4, 4.1 e 4.2 del cons. dir.);

d) dal riconoscimento della necessaria omogeneità della legge di conversione rispetto al decreto-legge viene tratta la conseguenza dell'incostituzionalità delle norme introdotte in sede di conversione che siano del tutto eterogenee rispetto a quelle originariamente contenute nel decreto, al punto da «spezzare il legame essenziale tra decretazione d'urgenza e potere di conversione» (punto 4.2 del cons. dir.).

È facile intuire come l'esame di ciascuno di questi passaggi obblighi l'annotatore a plurime considerazioni, specie in relazione ai punti sopra indicati con le lettere b) e c), che rappresentano l'aspetto più interessante della decisione.

 

3. Sinteticamente, può rilevarsi quanto segue.

In relazione al punto a), la Corte desume l'eterogeneità delle norme impugnate, introdotte in sede di conversione, rispetto al contenuto originario del decreto-legge, utilizzando criteri valutativi analoghi a quelli impiegati nelle sentenze n. 171 del 2007 e n. 128 del 2008. In particolare, valuta la pertinenza delle norme de quibus rispetto al titolo del decreto-legge, al preambolo dello stesso, alla rubrica dell'articolo contenente i commi impugnati; ma soprattutto la Corte rileva come in sede di conversione sia stata introdotta una normativa "a regime", in tema di protezione civile, «del tutto slegata da contingenze particolari».

In merito al punto b), il Giudice delle leggi ribadisce (rispetto a quanto già affermato nelle sentenze n. 171 del 2007 e n. 128 del 2008) che il riconoscimento dell'esistenza dei presupposti fattuali, di cui all'art. 77, secondo comma, Cost. si collega «ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico». A tal proposito, va notato come la Corte ritenga sufficiente anche una coerenza «dal punto di vista funzionale e finalistico»; in effetti, come si vedrà a breve, questo è il caso delle norme inserite nei c.d. decreti milleproroghe.

Aggiunge la Corte: «L'inserimento di norme eterogenee all'oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell'urgenza del provvedere ed "i provvedimenti provvisori con forza di legge", di cui alla norma costituzionale citata. Il presupposto del «caso» straordinario di necessità e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno. La scomposizione atomistica della condizione di validità prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il "caso" che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale».

Sulla base di questa argomentazione la Corte conclude rilevando che il requisito dell'omogeneità del decreto-legge trova fondamento nell'art. 77, secondo comma, Cost., la cui «ratio implicita» è esplicitata dall'art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988, il quale, com'è noto, richiede che il contenuto del decreto-legge sia «specifico, omogeneo e corrispondente al titolo». In relazione a questo passaggio la Corte sembra richiamare il contenuto di alcuni messaggi del Presidente Ciampi, che aveva sottolineato la natura ordinamentale della legge n. 400 del 1988.

Le considerazioni sopra svolte vengono poi adattate al caso di specie; anche un decreto c.d. milleproroghe, per sua natura disomogeneo quanto al contenuto, può e deve avere una intrinseca coerenza, che la Corte rinviene nella attitudine di questi decreti ad «obbedire alla ratio unitaria di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal Governo e dal Parlamento, o di incidere su situazioni esistenti - pur attinenti ad oggetti e materie diversi - che richiedono interventi regolatori di natura temporale».

In questa prospettiva, «del tutto estranea a tali interventi è la disciplina "a regime" di materie o settori di materie, rispetto alle quali non può valere il medesimo presupposto della necessità temporale e che possono quindi essere oggetto del normale esercizio del potere di iniziativa legislativa, di cui all'art. 71 Cost. Ove le discipline estranee alla ratio unitaria del decreto presentassero, secondo il giudizio politico del Governo, profili autonomi di necessità e urgenza, le stesse ben potrebbero essere contenute in atti normativi urgenti del potere esecutivo distinti e separati. Risulta invece in contrasto con l'art. 77 Cost. la commistione e la sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e finalità eterogenei, in ragione di presupposti, a loro volta, eterogenei».

Il passaggio fondamentale dell'intera pronunzia è quello sopra indicato al punto c): dall'art. 77, secondo comma, Cost. discende non solo l'omogeneità delle norme contenute nel decreto-legge ma anche di quelle contenute nella legge di conversione.

Al riguardo, la Corte si sofferma preliminarmente su alcune norme dei regolamenti parlamentari dalle quali è possibile dedurre siffatto principio, ricordando anche una recente lettera inviata dal Presidente del Senato ai Presidenti delle commissioni parlamentari, proprio in occasione dell'iter di conversione del decreto-legge in questione.

Sempre a questo proposito, il Giudice delle leggi richiama alcuni messaggi sia del Presidente Ciampi, sia del Presidente Napolitano a sostegno della necessaria omogeneità delle norme contenute nella legge di conversione di un decreto-legge. In merito a questo passaggio, è interessante notare come l'attuale Capo dello Stato sia intervenuto due volte (con una lettera del 22 febbraio 2011 e con un messaggio del 26 febbraio 2011) in occasione del procedimento di conversione in legge del decreto oggetto del giudizio della Corte, stigmatizzando l'indebito inserimento nel testo del decreto di norme del tutto eterogenee.

Ma tutto ciò non è sufficiente per determinare l'illegittimità costituzionale delle norme impugnate; per questa ragione la Corte precisa che «l'esclusione della possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei all'oggetto e alle finalità del testo originario non risponda soltanto ad esigenze di buona tecnica normativa, ma sia imposta dallo stesso art. 77, secondo comma, Cost., che istituisce un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario».

È dunque nel «nesso di interrelazione funzionale» tra decreto e legge di conversione la chiave di volta dell'intera decisione; nesso che però non esclude la possibilità che in sede di conversione siano apportati emendamenti al testo del decreto, «a patto di non spezzare il legame essenziale tra decretazione d'urgenza e potere di conversione. Se tale legame viene interrotto, la violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost., non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza per le norme eterogenee aggiunte, che, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sentenza n. 355 del 2010), ma per l'uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge».

Merita qualche ulteriore notazione il richiamo della sentenza n. 355 del 2010, che, invero, sembrava non escludere che in sede di conversione potessero essere apportati emendamenti anche significativi, non collegati ai requisiti di necessità e di urgenza. La posizione oggi assunta dalla Corte esclude siffatta possibilità, sposando una tesi che distingue nettamente i diversi procedimenti legislativi (nella specie, quello di conversione di un decreto-legge da quello di approvazione di una qualsiasi legge ordinaria).

Una conferma di ciò può trarsi dall'ulteriore precisazione contenuta nel punto 4.2 del cons. dir. della sentenza, in cui si legge: «La Costituzione italiana disciplina, nelle loro grandi linee, i diversi procedimenti legislativi e pone limiti e regole, da specificarsi nei regolamenti parlamentari. Il rispetto delle norme costituzionali, che dettano tali limiti e regole, è condizione di legittimità costituzionale degli atti approvati, come questa Corte ha già affermato a partire dalla sentenza n. 9 del 1959, nella quale ha stabilito la propria "competenza di controllare se il processo formativo di una legge si è compiuto in conformità alle norme con le quali la Costituzione direttamente regola tale procedimento"».

Il richiamo della sentenza n. 9 del 1959 - nota, tra l'altro, per il magistrale commento di Paolo Barile a proposito del «crollo di un antico feticcio» - ovvero di una decisione in cui la Corte assunse una posizione rigorosa circa il proprio sindacato sul procedimento di formazione di una legge, probabilmente dà conferma dell'intenzione del giudice costituzionale di segnare un punto di svolta nel controllo di costituzionalità sugli atti aventi forza di legge.