ISSN 2039-1676


2 marzo 2012 |

Secondo la Corte di Strasburgo, un intervento di sterilizzazione forzata rappresenta un ‘trattamento inumano' contrario all'art. 3 CEDU

Nota a Corte EDU, sent. 8 novembre 2011, ric. n. 18968/07, V.C. c. Repubblica Slovacca

1. Con la pronuncia in esame, i giudici di Strasburgo riconoscono che l'esecuzione di un trattamento medico arbitrario di sterilizzazione integri una violazione dell'art. 3 Cedu.

Duplice la rilevanza di un simile intervento.

Da un canto, perché attiene ad una tematica (la sterilizzazione), che non conosce precedenti nella giurisprudenza della Corte.

Dall'altro, perché si fa portavoce di un recente e sempre più diffuso orientamento all'interno del sistema convenzionale, che tende ad individuare nell'art. 3 - con una conseguente sovrapposizione alla garanzia sancita dall'art. 8 Cedu - come la norma cardine per la tutela psico-fisica dell'individuo [sul punto, cfr. Colella, La giurisprudenza di Strasburgo 2008-2010: il divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU), in questa Rivista].

 

2. Nel caso di specie, la ricorrente V.C. - una cittadina slovacca di etnia rom - nel 2000 viene sottoposta ad un intervento di sterilizzazione presso l'Ospedale di Preŝov, ove si trova per partorire il suo secondo figlio.

Durante la fase di travaglio la donna viene interpellata sulla volontà di dare alla luce ulteriori figli e - di fronte alla sua risposta affermativa - le viene fatto presente dal personale medico che un'altra gravidanza sarebbe potuta essere fatale sia per lei che per il nascituro in relazione ai rischi di rottura dell'utero che si erano evidenziati nel corso del parto.

La donna, messa alle strette, sottoscrive il consenso alla sterilizzazione, senza però avere compreso la reale natura e le conseguenze irreversibili dell'intervento, nonché senza essere stata previamente informata su possibili soluzioni (contraccettive) alternative.

 

3. La ricorrente invoca la violazione degli artt. 3, 8, 12, 13 e 14 Cedu: ritiene, infatti, di essere stata sottoposta a tale intervento invasivo e irreversibile senza il suo previo consenso e solamente in ragione della sua appartenenza etnica, unico dato esplicitato nella cartella clinica.

La Corte, unanimemente, riconosce la violazione degli artt. 3 ed 8 Cedu, non ritenendo necessario esaminare le altre violazioni lamentate dalla ricorrente.

I giudici ritengono, innanzitutto, che la sterilizzazione, rappresentando una grave interferenza con lo stato di salute della persona e coinvolgendo i più svariati aspetti dell'integrità personale, deve essere necessariamente preceduta - nel caso di persona adulta, capace di intendere e di volere - da consenso informato.

Dalla documentazione in atti si evince che la donna non è stata adeguatamente informata sul suo stato di salute, sulla sterilizzazione (che non rappresentava una necessità impellente) e su eventuali soluzioni alternative.

Sebbene non vi sia prova che i medici abbiano inteso ledere l'integrità della donna, in ogni caso rileva che essi hanno comunque agito, nella loro qualità di pubblici funzionari, in palese violazione del diritto del paziente ad autodeterminarsi liberamente, ponendo così in essere una condotta integrante una violazione dell'art. 3 Cedu sotto il profilo sostanziale.

I giudici riconoscono altresì, nel caso di specie, una violazione degli obblighi positivi di tutela discendenti dall'art. 8 Cedu, perché ritengono che le autorità slovacche non abbiano garantito una tutela effettiva della capacità riproduttiva della ricorrente, che è stata altresì vittima di una prassi di sterilizzazione attuata con preoccupante frequenza negli ospedali slovacchi nei confronti di donne di etnia rom, puntualmente denunciata da numerosi documenti internazionali.

Merita menzione anche l'opinione dissenziente del giudice Mijovic, il quale ritiene che non dovesse essere disattesa, nel caso di specie, la doglianza relativa all'art. 14 Cedu, dal momento che a suo giudizio il trattamento medico arbitrario denunciato dalla ricorrente integrava, altresì, una grave forma di discriminazione nei confronti della medesima in quanto appartenente all'etnia rom.