ISSN 2039-1676


02 novembre 2010 |

La posizione di garanzia del responsabile del servizio di prevenzione e protezione

Nota a Cass. pen., sez. IV, 18 marzo 2010, n. 16134

La pronuncia della Suprema Corte che può leggersi in calce, in tema di sicurezza sul lavoro, affronta il problema della configurabilità di una posizione di garanzia in capo al responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
 
La normativa di riferimento, rispetto alla pronuncia in esame, è ancora quella prevista dal d.lgs. 626/1994, trattandosi di fatti avvenuti prima dell'entrata in vigore del T.U. in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (d.lgs. 81/2008).
Il fatto è così riassumibile: un lavoratore, “addetto alla foratura mediante impiego di una lancia termica ad ossigeno del bocchello di travaso del forno rotativo” in uno stabilimento industriale, viene colpito, durante tale operazione, da schizzi di metallo fuso incandescente, procurandosi così gravi lesioni. Nel giudizio di primo grado il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (c.d. R.S.P.P.: artt. 8 ss. d.lgs. 626/1994) viene ritenuto responsabile per non aver individuato il rischio – prevedibile in questo genere di operazioni – di contatto con schizzi di metallo fuso, e per non aver conseguentemente provveduto a dotare i lavoratori addetti di dispositivi di protezione adeguati; viene dunque condannato per aver colposamente contribuito a cagionare, con condotte omissive in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, lesioni personali gravi ad un lavoratore (artt. 40 e 589 commi 1, 2 e 3 c.p.).
 
Nel ricorso per cassazione si denuncia l'errore nell'individuazione di una posizione di garanzia in capo al responsabile del servizio prevenzione e protezione, che si nega sottolineando come questi sia “investito solo di un potere consultivo, mentre nessuna sanzione è prevista a suo carico per il caso di inosservanza delle norme poste a tutela della salute e della sicurezza”.
 
La Cassazione rigetta il ricorso, dichiarandolo infondato. La motivazione fa leva sulla “centralità della prevenzione e della informazione nel sistema di tutela della integrità fisica e della personalità morale dei lavoratori”, evidente nel d.lgs. 626/1994 (artt. 8 e 9) e confermata dal d.lgs. 81/2008 (artt. 8, 9, 15 e ss., 28 e ss.): l'omissione di condotte doverose da parte del responsabile o addetto al servizio di prevenzione e protezione – secondo la sentenza annotata – dà luogo ad una “violazione dell'intero sistema antinfortunistico”, e ciò “senza che abbia alcuna rilevanza il mancato apprestamento di una specifica sanzione penale per la violazione di sistema”. In quest'ottica, ove tale omissione colposa sia individuata come “incidente sulla mancata adozione di adeguati presidi personali, di adeguata informazione e in definitiva come causa concorrente nella determinazione dell'evento reato”, per la S.C. è sicuramente configurabile nei confronti del R.S.P.P. un concorso nel reato, aggravato altresì dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
 
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La sentenza annotata è conforme a un orientamento consolidato in giurisprudenza. In passato la S.C. ha ad esempio affermato che ove l’R.S.P.P. “abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale risponderà insieme a questi dell'evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo” (Cass. sez. IV, 23 aprile 2008, n. 25288, Maciocia, in Foro it., 2008, II, 413, con nota di Brusco). E’ d’altra parte pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, che “l'assenza di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale non esclude che l'inottemperanza alle stesse – e segnatamente la mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di informazione e formazione dei lavoratori – possa integrare un'omissione 'sensibile' tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal responsabile del servizio” (così Cass. sez. IV, 15 febbraio 2007 n. 15226, Fusilli, in Cass. pen., 2007, 4278, nonché inNotiziario giurisprudenza lav., 2007, 562 e in Igiene & sicurezza lav., 2007, 449, con nota di Soprani). D’altra parte, secondo quanto già affermato dalla Cassazione in una precedente occasione, l'assenza, nel d.lgs. 626/1994, di una diretta sanzione in relazione ad eventuali comportamenti inosservanti da parte dei responsabili del servizio di prevenzione e protezione “non significa che questi [...] possano e debbano ritenersi in ogni caso totalmente esonerati da qualsiasi responsabilità penale e civile derivante da attività svolte nell'ambito dell'incarico ricevuto”. Occorre distinguere, infatti, “il piano delle responsabilità prevenzionali, derivanti dalla violazione di norme di puro pericolo, per le quali l'assenza di espressa sanzione esclude la responsabilità, da quello delle responsabilità per reati colposi di evento, quando, cioè, si siano verificati infortuni sul lavoro o tecnopatie, riconducibili alle previsioni di cui agli artt. 589 e 590 c.p.” (Cass. sez. IV, 4 aprile 2007, n. 39567, Aimone, in Dir. e pratica lav., 2007, 2740).
 
L’orientamento giurisprudenziale in cui si iscrive la sentenza annotata è stato peraltro criticato da una parte della dottrina, che ritiene che “tra datore di lavoro e R.S.P.P., solo il primo è titolare della posizione di garanzia su cui si radica la responsabilità” (Pesci, La prevenzione degli infortuni sul lavoro, in Giur. merito, 2009, pp. 2652 ss. , cui si riferiscono anche le citazioni che seguono). Condotta rilevante, in quest'ottica, dovrebbe ritenersi “sempre quella del datore di lavoro, mentre la condotta dell'R.S.P.P. assumerebbe rilievo se ed in quanto abbia determinato (o significativamente agevolato) le scelte datoriali”: pertanto, “onde evitare una dilatazione eccessiva dei doveri attribuiti ad un soggetto che [...] rimane pur sempre estraneo al catalogo dei titolari delle posizioni di garanzia in ambito prevenzionale”, sarebbe necessario un rigoroso accertamento dell'incidenza causale della condotta del R.S.P.P. L'accertamento di un concorso del consulente (quale, nell’impostazione dell’autore, il R.S.P.P.) dovrebbe essere subordinato alla verifica di un “sostanziale coinvolgimento del consulente stesso nella gestione dell'attività dell'impresa”: al sostanziale mutamento, dunque, del ruolo di mera consulenza in ruolo di gestione.
Tale tesi, che sostanzialmente nega ogni possibile responsabilità del R.S.P.P. in quanto tale, non pone tuttavia in adeguato rilievo il ruolo effettivamente svolto da tale soggetto nella valutazione dei rischi e nella prevenzione degli infortuni sul lavoro, che rappresenta invero premessa – e, dunque, antecedente causale – imprescindibile per qualsiasi azione positiva volta ad impedire o a ridurre il rischio del verificarsi di un infortunio.
 

Per un'attenta analisi del delicato bilanciamento tra la tendenza ad un eccesso di responsabilizzazione delle figure dei consulenti del datore di lavoro, e quella a dilatare il “dovere di controllo” del datore di lavoro, che potrebbe sconfinare in una violazione del principio della personalità della responsabilità penale, cfr. Veneziani, I delitti contro la vita e l'incolumità individuale, tomo II, I delitti colposi, in Marinucci-Dolcini (diretto da), Trattato di diritto penale. Parte speciale, vol. III, Cedam, 2003, pp. 439 ss.